Tempio di via Eupili – Milano
Questa settimana leggiamo la Parasha di Emor nella quale sono elencate le halachot che riguardano i Kohanim, le diverse festività dell’anno ebraico, compresi i Shalosh Regalim (Pesach, Shavuot e Sukkot, le tre festività del pellegrinaggio) insieme alle loro mitzvot specifiche e a Kippur. La Parasha passa poi a ripetere le mitzvot relative all’accensione delle luci della Menorà e a quelle relative ai pani speciali (chiamati Lechem Hapanim) sulla Tavola del Bet haMikdash. Dobbiamo capire perché questi comandamenti vengono ripetuti.
Rashi scrive che già in precedenza era stato ordinato di costruire il Mishkan e il ruolo che avrebbe svolto la Menorà. Ora ci viene comandato per la prima volta di accendere effettivamente quella Menorà. Lo Sforno spiega che una certa quantità di olio e farina era stata portata a Moshe quando erano state fatte le prime donazioni in occasione della costruzione del Mishkan. Una volta che quella scorta si era esaurita, fu dato il comando, per quella generazione e per ogni generazione successiva, di portare l’olio e la farina che sarebbero stati necessari.
Per quanto riguarda la connessione tra questi comandamenti e le festività, vengono offerte numerose spiegazioni. Il Ramban, in un precedente commento sull’accensione della Menorà nel Mishkan, scrive che questa serve come accenno alla festa di Channukà e all’accensione della sua Menorà. Sulla base di ciò, alcuni spiegano che la mitzvà dell’accensione della Menorà è riportata immediatamente dopo le festività per suggerire che un’ulteriore festività, le luci di Channukà, sarà stabilita più avanti nel corso della nostra storia. L’Or haChaim scrive che la mitzvà relativa alla Menorà è scritta specificamente dopo la descrizione relativa a Sukkot, la festa in cui ricordiamo e riviviamo le Nuvole di Gloria che circondavano gli ebrei e li proteggevano all’uscita dall’Egitto e nel pellegrinaggio nel deserto. Proprio come quelle nuvole hanno cancellato la luce del sole – non c’era bisogno di quella luce poiché il cammino era illuminato dalla luce di D-o – così anche la luce della Menorà eclissava la luce del sole, servendo come testimonianza della luce di D-o che illumina il mondo.
Il Talmud [Chaghigà 26B] rivela una connessione tra il pane speciale sulla tavola del Mishkan e le festività. Resh Lakish insegna che la tavola e il suo pane erano tenuti davanti a coloro che erano venuti in pellegrinaggio al Bet haMikdash durante i Shalosh Regalim. Questi pani venivano posti durante lo Shabbat e vi rimanevano fino allo Shabbat successivo, quando venivano sostituiti con dei pani nuovi. Questi pani quando venivano rimossi rimanevano miracolosamente caldi e freschi come lo erano quando erano stati originariamente posizionati. Questo serviva come testimonianza dell’amore caldo e fresco che D-o provava per la sua nazione.
I pellegrinaggi al Bet haMikdash servivano come culmine spirituale che dovevano portare attraverso le prove e le sfide dell’intero anno. Proprio come il pane manteneva il suo calore di settimana in settimana, anche noi abbiamo bisogno di mantenere calda la spiritualità di festività in festività. Perché è stato scelto il pane per insegnare questa lezione in contrasto con una qualsiasi delle altre mitzvot del Tempio?
Rav Shimshon Raphael Hirsch scrive che la Tavola e i pani del Mishkan erano espressioni metaforiche di nutrimento, godimento e prosperità materiale. In quanto tali, ci insegnano il modo per meritare e mantenere questa prosperità. I pani erano piatti con le estremità rivolte verso l’alto.
Queste estremità ricurve coprivano una superficie pari a quella della base della pagnotta. Un totale di dodici pagnotte erano disposte sul tavolo in pile di sei ciascuna. Le due pagnotte inferiori coprivano l’intera tavola e i due lati di ciascuna pagnotta si alzavano per sostenere la pagnotta direttamente sopra di essa. Con questa forma, ogni pagnotta aveva una superficie sufficiente per sostenere un’altra pagnotta quanto ne aveva per la propria base. Questa è la condizione di base per la prosperità. Ogni individuo acquisisce e possiede ricchezza per il bene degli altri tanta quanta per il proprio bene. Questo stesso concetto è simboleggiato anche dai due esronim (una misura) di farina usati per ogni pagnotta. Un isaron era la razione giornaliera concessa ad ogni persona quando scendeva la manna. In quanto tali, due esronim contengono il fabbisogno quotidiano per se stessi e per una persona in più. Le pagnotte venivano cotte a coppie e impilate in due pile. L’Oznayim laTorà scrive che questi dodici pani rappresentano le dodici tribù. Una pila di sei rappresentava i sei figli di Lea e l’altra rappresentava i figli di Rachele, Bilà e Zilpà. Ognuna delle tribù aveva personalità, temperamenti e idee diverse eppure erano tutte unite su questo tavolo. Guardando oltre le loro differenze, si sostenevano a vicenda, essendo ugualmente preoccupati per l’altro come lo erano per se stessi.
Le festività sono un momento per riflettere sulle benedizioni che D-o ci ha concesso come nazione e come individui. La lezione che impariamo da questa Parashà è molteplice. Dalla Menorà impariamo a portare la luce e a riconoscere la presenza costante di D-o nella nostra vita. Dai pani impariamo il dovere di coltivare costantemente la nostra spiritualità ma anche ad interessarci al prossimo, a sostenerci l’un l’altro, a riconoscere le nostre peculiarità e quelle del prossimo per coltivare il nostro interesse come l’interesse comune inteso ad un migliore benessere personale e collettivo.