Capitolo 16 – Gli Ebrei d’Europa nell’età napoleonica
Napoleone in Oriente
Francia e paesi soggetti a questa: a) Sentimenti di Bonaparte verso gli Ebrei; b) Progetti di trasformare gli Ebrei; c) L’assemblea di notabili ebrei; d) Il Sinedrio napoleonico; e) Chiusura dell’assemblea di notabili; f) Annullamento dell’emancipazione; g) Organizzazione concistoriale
Italia
Stati d’Europa fondati da Napoleone
Altri stati d’Europa: a) Prussia; b) L’Impero austro-ungarico; c) Russia; d) Inghilterra
Napoleone in Oriente
Quando Napoleone, conquistata parte della Siria e della Palestina, giunse alle porte di Gerusalemme (1799), fece, allo scopo di ottenere aiuti dagli Ebrei, delle dichiarazioni che potevano essere interpretate come intenzione di ricostituire uno stato ebraico; ma gli Ebrei rimasero fedeli alla Turchia e contribuirono a difendere il paese dalle truppe francesi. Napoleone poi, indotto dagli avvenimenti a tornare in Francia, lasciò incompiute le sue imprese in Asia.
a) Sentimenti di Bonaparte verso gli Ebrei
Regolati i rapporti con la Chiesa cattolica (1801), Napoleone pensò di regolare anche quelli del governo con gli Ebrei, ma la natura particolare del problema per le solite incertezze se essi dovessero essere considerati come seguaci di una religione o appartenenti a una nazione fecero sì che per il momento nulla si decidesse. Ad occuparsi degli Ebrei fu in seguito indotto il Bonaparte dalle lagnanze contro di essi che gli furono presentate a Strasburgo (1805) dove egli passò dopo la battaglia di Austerlitz. Gli abitanti di Strasburgo, muovendo agli Ebrei le solite accuse della popolazione cristiana dell’Alsazia-Lorena, miravano a far rinnovare le antiche disposizioni per cui non era ammessa la residenza degli Ebrei nella città e, in genere, a impedire che essi fossero cittadini a parità di diritti con gli altri. Napoleone fu fortemente impressionato dalle accuse che ascoltò a Strasburgo e tornò a Parigi animato da sentimenti ostili agli Ebrei e deciso a prendere dei provvedimenti a loro riguardo. Il Bonaparte ebbe occasione di manifestare tali sentimenti durante le discussioni che ebbero luogo nel consiglio di stato (1806) e si mostrò decisamente contrario alle idee sostenute dai liberali che miravano alla emancipazione, e intenzionato a porre delle limitazioni alla loro attività nel commercio e nel prestito di denaro, dato che essi dovevano essere considerati non come cittadini, ma come residenti stranieri.
b) Progetti di trasformare gli Ebrei
Respinte in seguito da lui stesso nuove proposte restrittive, dichiarò che egli non intendeva perseguitare gli Ebrei, cosa che non gli avrebbe fatto onore, ma migliorarli e renderli adatti a diventare cittadini. I primi atti decisi dall’imperatore nei confronti degli Ebrei furono (maggio 1806) la deliberazione che il pagamento dei debiti contratti verso gli Ebrei dai contadini dei paesi renani venisse differito di un anno, e l’annunzio che nel luglio si sarebbe radunata a Parigi una riunione di appartenenti alla religione ebraica residenti in Francia, nominata dai prefetti dei dipartimenti fra rabbini e altri notabili, allo scopo di fare rivivere negli Ebrei i sentimenti di morale civica che si erano affievoliti e quasi spenti in molti di loro. Da questa riunione doveva risultare che cosa veramente pensassero gli Ebrei, per vedere se erano degni dell’emancipazione.
c) L’assemblea di notabili ebrei
Come membri della riunione, che ebbe carattere di un parlamento ebraico, vennero nominate persone appartenenti alle varie regioni della Francia, e dei paesi tedeschi e italiani (Veneto, Piemonte, Emilia) aggregati alla Francia, scelti in gran parte fra i tendenti all’assimilazione, in tutto poco più di un centinaio.
Tra i rabbini provenienti dall’Italia sono da ricordare Abram Vito Cologna di Mantova e Jacob Israel Carmi da Reggio Emilia, che lasciò in alcune sue lettere, pubblicate nel 1905, interessanti notizie su quello che avvenne a Parigi. Alle riunioni assistevano tre commissari governativi, ufficialmente incaricati di spiegare i quesiti che l’imperatore avrebbe sottoposto all’assemblea e che in realtà dovevano far sapere come Napoleone voleva si rispondesse alle domande e esercitare pressioni perché le risposte fossero secondo i suoi desideri.
Un primo segno dell’atmosfera che regnava nella maggioranza dell’Assemblea si ebbe quando, essendosi stabilita la sua apertura per un giorno di sabato (29 luglio) e avendo i membri conservatori proposto che si cercasse di farla rinviare, la proposta fu respinta dalla maggioranza allo scopo di dimostrare al governo che gli Ebrei erano disposti a trascurare l’osservanza delle loro leggi speciali per eseguire i suoi ordini.
Nella seduta di apertura, uno dei commissari pronunciò un discorso nel quale spiegò lo scopo dell’assemblea secondo le intenzioni dell’imperatore: essendosi trovate giuste le accuse mosse contro molti Ebrei l’imperatore, nella sua benevolenza, voleva sentire dall’Assemblea come si potesse rimediare ai mali: l’imperatore desiderava che gli Ebrei fossero dei Francesi; dall’assemblea dipendeva il dimostrare se gli Ebrei volessero essere tali o ne fossero indegni. All’assemblea furono sottoposte dodici domande, nelle quali, fra l’altro, si chiedeva se agli Ebrei fosse permessa la poligamia, se avessero valore divorzi non convalidati dai tribunali del governo, se fossero permessi matrimoni misti, quali dovessero essere i rapporti fra Ebrei e non Ebrei, se gli Ebrei nati in Francia considerassero questa come loro patria e se fossero obbligati a osservarne le leggi e a difenderla; se ci fossero, quanto al prestito con interesse, differenze fra Ebrei e non Ebrei, quali fossero le attribuzioni dei rabbini.
È chiaro come tutte queste domande avessero lo scopo di mettere l’assemblea nell’alternativa di negare l’obbligatorietà di norme o consuetudini ebraiche non gradite all’imperatore, o confermare che gli Ebrei erano indegni dell’emancipazione.
Il presidente dell’assemblea, l’Ebreo sefardita assimilato Furtado, rispose con un discorso ispirato a sentimenti di adulazione verso l’imperatore nel quale dichiarò che l’assemblea intendeva mettere in atto le generose intenzioni dell’imperatore e annullare tutto quello che fosse contrario ad esse.
Le risposte ai quesiti, nonostante l’opposizione dei membri conservatori fra i quali il rabbino di Strasburgo, Isaac Sinzheim, furono quelle che l’imperatore desiderava: si espresse, fra l’altro, il desiderio della soppressione dei tribunali rabbinici, e che i rabbini avessero competenza solo in materia di religione; per la spinosa questione del matrimonio misto, che neppure i più assimilati osarono dichiarare permesso, si adottò una risposta evasiva: il matrimonio misto è valido civilmente per quanto non benedetto religiosamente dai rabbini come pure dagli ecclesiastici cristiani e gli Ebrei che contraggono matrimonio misto non cessano per questo di essere considerati Ebrei. Il testo delle risposte si chiudeva con una dichiarazione che negava l’esistenza di una nazione ebraica e affermava che gli Ebrei francesi consideravano come stranieri gli Ebrei di altri paesi, che essi erano pronti a combattere volentieri contro gli Ebrei appartenenti agli eserciti delle nazioni in guerra con la Francia.
S’intende che queste dichiarazioni non erano approvate da tutti i membri dell’assemblea, ma i contrari erano in minoranza e non osarono esprimere pubblicamente il loro dissenso.
d) Il Sinedrio napoleonico
Napoleone fu in genere soddisfatto delle dichiarazioni dell’Assemblea, ma non si contentò di queste; esse avevano un valore puramente accademico, e l’imperatore voleva che l’esecuzione del loro contenuto diventasse obbligatoria per gli Ebrei. Per questo decise la convocazione di una nuova assemblea che chiamò con l’antico nome di Sinedrio, della quale dovevano, come di questo, fare parte 71 membri. Le decisioni di questo sarebbero state, come quelle dell’antico Sinedrio, vincolanti per gli Ebrei dal punto di vista religioso. Per questo volle che esso fosse costituito in maggioranza (2/3) da rabbini, ma non mancò di dare istruzioni tali da essere sicuro che le deliberazioni fossero quali egli le voleva, e di affermare che eventuali opposizioni da parte di “fanatici” avrebbero avuto per conseguenza di mettere questi nell’alternativa di cedere o di esser causa dell’espulsione degli Ebrei, che avrebbe avuto luogo se il Sinedrio non avesse confermato le dichiarazioni dell’assemblea. I membri di questa, che non venne disciolta, prepararono la convocazione del Sinedrio, che ebbe la sua prima seduta il 9 febbraio 1807. Ne fecero parte 46 rabbini e 25 notabili: i più provenivano dalla Germania e dall’Italia. A presiederlo furono nominati, con le designazioni tradizionali, il rabbino Sinzheim, come presidente (nasì) il rabbino piemontese Yehoshùa Segre come av bet din, e il rabbino mantovano Abram Cologna come chakhàm.
L’aspetto esteriore e la disposizione dei membri imitavano quelli dell’antico Sinedrio, e i suoi membri indossavano abiti speciali. Le discussioni furono pubbliche e vi assistettero anche numerosi non Ebrei, e anche questo contribuì a limitare la libertà di parola dei membri del Sinedrio.
Naturalmente questo, a maggioranza, sancì le dichiarazioni dell’assemblea e, a giustificare l’annullamento di molte norme ebraiche, affermò che queste vanno distinte in religiose e civili: le prime non possono essere modificate, le seconde sono automaticamente abrogate da quando gli Ebrei hanno cessato di costituire un corpo nazionale. In pratica però anche molte altre norme “religiose” vennero dal Sinedrio subordinate alle leggi del paese, e fu chiaramente affermato che durante il servizio militare gli Ebrei sono esenti dall’osservanza di tutte le norme che siano in contrasto con l’adempimento dei doveri inerenti a quel servizio. Le sedute del Sinedrio durarono un mese, fino al 9 marzo 1806.
Non occorre dire che la massa degli Ebrei non considerarono né considerano come aventi valore legale, dal punto di vista ebraico, le decisioni del Sinedrio, che vennero, di fatto, imposte dal volere di un despota, al quale i suoi membri non sentirono il coraggio di opporsi. Quelli che vi si uniformarono lo fecero o perché esse corrispondevano alle loro idee individuali, o per ragioni di opportunità.
e) Chiusura dell’assemblea di notabili
Come detto sopra, l’assemblea non cessò di funzionare durante l’attività del Sinedrio. Tra l’altro, essa diede una nuova organizzazione alle Comunità, con istituzione dei Concistori che ne abolirono quasi interamente le autonomie, propose pene per gli Ebrei usurai e robivecchi e decise di adoperarsi per l’abrogazione del decreto per cui veniva differito il pagamento dei debiti verso molti Ebrei.
Essa si chiuse il 6 aprile 1807.
f) Annullamento dell’emancipazione
La politica dell’impero napoleonico verso gli Ebrei dopo la chiusura del Sinedrio e dell’assemblea di notabili è, nel complesso, una politica di oppressione, che veniva di fatto ad annullare l’emancipazione ottenuta nel 1791. L’imperatore e i suoi ministri e funzionari affermavano che questo era il mezzo per rendere gli Ebrei degni di essere cittadini francesi, e non poche voci di celebrazione adulatrice per l’opera “benefica” dell’imperatore a vantaggio degli Ebrei si sentirono anche da parte ebraica.
Il decreto che differiva il pagamento dei debiti verso gli Ebrei, anziché venire abrogato, come aveva chiesto l’assemblea, venne prorogato a tempo indeterminato.
g) Organizzazione concistoriale
Fu approvata l’organizzazione concistoriale: il concistoro centrale risiedeva a Parigi, e concistori regionali nei vari dipartimenti. Facevano parte di ogni concistoro alcuni rabbini e alcuni notabili ebrei eletti da un piccolo gruppo di venticinque persone ritenute ragguardevoli: l’elezione era sottoposta all’approvazione governativa. Funzioni principali dei concistori erano: sorvegliare che i rabbini si attenessero alle decisioni del Sinedrio; indurre gli Ebrei a darsi a professioni “utili” e specialmente a prestare servizio militare: essi dovevano comunicare annualmente al governo l’elenco dei giovani giunti all’età di doverlo prestare. Fu stabilito che gli Ebrei non dovessero essere più designati nei documenti ufficiali come Giudei (Juifs) ma come Israeliti. Vennero dichiarati inesigibili molti dei debiti contratti o da contrarsi da Cristiani verso gli Ebrei: a questi fu negato il diritto, concesso ai Cristiani, di sostituire una persona ad un’altra nella prestazione del servizio militare obbligatorio. Furono rinnovate ed estese molte restrizioni relative al commercio degli Ebrei e alla loro libertà di residenza. Dalle restrizioni vennero esclusi gli Ebrei di Bordeaux e del dipartimento della Gironda. Alcune di queste norme, contenute in un decreto che fu chiamato “il decreto infame” vennero poi parzialmente mitigate in seguito a lagnanze che esse sollevarono: così i privilegi degli Ebrei di Bordeaux e della Gironda vennero estesi a quelli di Parigi, di alcuni distretti della Francia meridionale, di Livorno e di alcune altre regioni d’Italia; fu concesso agli Ebrei di farsi sostituire da altri Ebrei (ma non da Cristiani) nel servizio militare.
Relazioni di funzionari governativi del tempo notano con soddisfazione che i decreti relativi agli Ebrei, dovuti alla benignità dell’imperatore verso questi, vanno ottenendo il loro scopo, cioè la graduale assimilazione degli Ebrei al resto della popolazione.
Gli Ebrei d’Italia
Penetrato a Roma l’esercito napoleonico, (1808) espulso il papa Pio VII, lo stato pontificio venne incorporato nell’impero francese e vi ebbero vigore le disposizioni del Sinedrio: nel 1811 venne istituito a Roma un concistoro centrale per le regioni che erano state soggette al papa: a capo di esso venne posto il rabbino Leone De Leoni. Nella seduta inaugurale vennero, come al solito, pronunciate parole di lode e di adulazione a Napoleone. Non occorre dire che le autonomie delle Comunità vennero quasi a cessare. Caduto Napoleone e ricostituitosi il potere papale (1814), si tornò alle condizioni di prima della rivoluzione.
Analoghi furono gli avvenimenti nelle altre regioni d’Italia che furono per qualche tempo sotto il dominio francese, e nelle quali vennero istituiti concistori.
In Italia si fecero notevolmente sentire, e quasi senza opposizione, le tendenze all’assimilazione: le riforme governative furono in genere viste di buon occhio, e la maggior parte dei membri italiani della assemblea di notabili e del Sinedrio seguirono di buon grado le idee di Napoleone.
Quasi tutte le regioni d’Italia vennero eccettuate dal “decreto infame” ma Roma non venne compresa fra le eccezioni.
Nel complesso si può dire che gli Ebrei d’Italia, sotto il regime napoleonico, ebbero quasi dappertutto uguaglianza civile al resto della popolazione: molti di essi ebbero cariche pubbliche e furono assunti come funzionari governativi, nonostante l’opposizione di alcune parti della popolazione cristiana. Economicamente essi furono in genere danneggiati dalle continue guerre e dai continui cambiamenti di regime.
Gli Ebrei negli stati d’Europa fondati da Napoleone
Dopo che gli eserciti napoleonici ebbero abbattuto quasi tutti i governi d’Europa e si costituirono dei nuovi stati foggiati sul modello dell’impero francese, molti dei quali furono governati da parenti di Napoleone, si ripeterono in essi, per quel che riguarda gli Ebrei, le vicende dell’impero francese.
In tutti fu sollevata la questione ebraica e in tutti prevalsero le idee di coloro che miravano a concedere nuovi diritti agli Ebrei, a patto che essi si dessero a qualche occupazione che i governi ritenevano utile, abbandonassero molte delle loro caratteristiche, cessassero di essere membri di una nazione dispersa e diventassero seguaci di una religione, le pratiche della quale dovevano essere sottoposte al controllo dello stato e dovevano essere abbandonate se non conformi alle leggi di questo o al volere dei governanti.
In seguito a discussioni interminabili, a cui presero parte rappresentanti dei governi e rappresentanti degli Ebrei, quasi dappertutto furono concessi a questi diritti, furono abrogate alcune disposizioni restrittive nei loro riguardi, ma in nessun luogo si giunse all’emancipazione completa. Le nuove concessioni erano generalmente disapprovate per ragioni religiose od economiche da alcuni elementi delle popolazioni che non di rado mostrarono anche con azioni violente la loro avversione verso gli Ebrei. L’assimilazione fece grandi progressi e spesso ebbero luogo contrasti fra gli assimilatori e i conservatori. In genere furono soppresse le autonomie delle Comunità e fu imposta l’organizzazione concistoriale.
Gli Ebrei degli altri stati d’Europa
a) Prussia
Condizioni analoghe si ebbero anche in quello che rimase del regno di Prussia, gran parte del quale venne però a far parte dei nuovi stati costituiti da Napoleone.
b) Impero austro-ungarico
Il governo austriaco fu vivamente preoccupato dalle disposizioni di Napoleone per l’assemblea di notabili e il Sinedrio e temeva che si formasse fra gli Ebrei un gruppo di favorevoli a Napoleone, della quale l’Austria era nemica, e per questo proibì ogni contatto degli Ebrei con le assemblee parigine, pose restrizioni a viaggi a Parigi e sottopose a censura la corrispondenza con la Francia e a interrogatori speciali coloro che provenivano da questo paese.
Nulla fu sostanzialmente modificato per quello che riguarda gli Ebrei e le disposizioni restrittive furono applicate con grande rigore, per quanto molti Ebrei avessero servito nell’esercito austriaco nelle guerre del 1813-15 e molti fossero caduti sui campi di battaglia.
c) Russia
Dopo lunghe discussioni e numerose polemiche e i lavori di una commissione speciale, venne, nel 1804, sotto il regno di Alessandro I, emanata una legge per regolare la posizione degli Ebrei secondo principi comuni ad altre legislazioni del tempo tendenti a “migliorare” gli Ebrei. Con questa legge si confermavano le restrizioni relative alla libertà di residenza, si ammettevano nei luoghi permessi gli Ebrei a cariche comunali, e si concedeva loro il diritto di possedere beni stabili; si vietavano tutte le professioni che costituivano la base della vita economica degli Ebrei, e specialmente l’esercizio di alberghi e osterie, si incoraggiavano con l’esenzione di tasse e altri mezzi l’agricoltura e l’industria.
L’esercizio dei diritti civili concessi era subordinato alla conoscenza di una delle tre lingue tedesca, polacca o russa; i membri dei consigli comunali dovevano adottare il modo di vestire tedesco, russo o polacco; anche ai rabbini, ai quali era concesso solo autorità “religiosa” e ai quali era vietato pronunziare scomuniche, era imposta la conoscenza di una di quelle lingue; gli Ebrei erano ammessi alle scuole pubbliche; era permesso il funzionamento di scuole ebraiche purché vi si insegnasse una delle tre lingue sopra indicate; in una di queste lingue dovevano essere scritti tutti i documenti e veniva stabilita una organizzazione analoga a quella dei concistori. Le autonomie delle Comunità venivano quasi totalmente soppresse. Ai Chassidìm fu concesso di organizzarsi in Comunità speciali.
Nei confronti dell’assemblea dei notabili e del Sinedrio la Russia assunse lo stesso atteggiamento dell’Austria e adottò disposizioni analoghe.
L’applicazione del decreto del 1804 comportava l’allontanamento degli Ebrei dai villaggi e la loro rovina economica, vietava a loro le occupazioni dalle quali i più traevano il loro sostentamento, e non era loro possibile trovare subito altre risorse. Ciononostante, e senza tener conto di proteste non solo da parte ebraica, fu iniziata nel 1808 l’espulsione forzata degli Ebrei dai villaggi, espulsione che avrebbe dovuto effettuarsi gradualmente negli anni 1808-1810, un terzo per ogni anno, ma che poi fu concesso di differire. In seguito però, sia perché fu presentata al governo una relazione obiettiva nella quale si mostrava non solo l’ingiustizia dei provvedimenti ma anche il danno che da questi derivava anche alla popolazione non ebraica, sia e soprattutto perché, iniziatasi l’invasione francese in Russia, il governo temeva che gli Ebrei malcontenti aiutassero il nemico, fu sospesa l’esecuzione del decreto del 1804.
Durante la guerra tra Francesi e Russi, i Polacchi, che speravano nella restaurazione del loro stato indipendente, parteggiarono naturalmente per i primi. Invece gli Ebrei di tutte le tendenze cercarono di favorire i Russi: i conservatori perché contrari alle riforme napoleoniche, gli assimilatori perché erano rimasti delusi dal contegno di Napoleone che non era stato, come essi speravano, il protettore e l’emancipatore degli Ebrei. Questo atteggiamento degli Ebrei ebbe per conseguenza che nel periodo delle guerre furono commesse violenze contro di loro sia dai Polacchi che dai Francesi. L’imperatore Alessandro I, apprezzando l’atteggiamento degli Ebrei, promise provvedimenti in loro favore, ma la restaurazione e la reazione che seguirono alla sconfitta di Napoleone peggiorarono invece ulteriormente le condizioni degli Ebrei.
Va notato che, in seguito alle spartizioni della Polonia, la Russia divenne il paese d’Europa in cui la popolazione ebraica fu più numerosa, non solo in via assoluta, ma anche in proporzione al resto degli abitanti.
La spinta che il decreto del 1804 dava agli Ebrei perché si occupassero di agricoltura non rimase senza effetto. Numerosi abitanti di villaggi, obbligati ad abbandonarli, chiesero e ottennero terreni da coltivare, e particolarmente nella Russia meridionale si fondarono colonie agricole ebraiche. Non tutte però prosperarono, specialmente perché gli Ebrei non erano abituati ai lavori agricoli e perché nei nuovi stanziamenti dovettero vivere in difficili condizioni di clima, di abitazione e di alimentazione; nel 1810 il governo si vide costretto a sospendere lo stanziamento di Ebrei in colonie agricole. Comunque alle classi già esistenti di Ebrei, commercianti, artigiani, affittuari di aziende nei villaggi, venne ad aggiungersi quella degli agricoltori.
d) Inghilterra
In Inghilterra, che rimase del tutto fuori dell’influenza di Napoleone, del quale fu uno dei più forti nemici, nulla fu sostanzialmente modificato per quello che riguarda le condizioni civili degli Ebrei. La banca Rothschild continuò a prosperare, e il matrimonio di uno dei suoi membri con una appartenente alla famiglia sefardita dei Montefiore ebbe per conseguenza che gli elementi ashkenaziti cominciarono a fondersi con quelli sefarditi.