Nel dibattito sulla 194, poco rilievo è stato dato a posizioni diverse da quella della Chiesa? Anche se le norme della legge ebraica si applicano solo a una piccola minoranza, può esser interessante descrivere le linee essenziali sia del comportamento cui dovrebbe conformarsi un ebreo, sia più in generale delle implicazioni del concetto di diritto alla vita del feto.
Innanzitutto, il ricorso all’aborto può essere circoscritto se la donna fa uso, secondo norme precise, dei metodi contraccettivi consentiti dalla legge ebraica (per esempio la pillola). Se la prosecuzione della gravidanza mette in pericolo la vita della madre, è doveroso intervenire per salvarla; infatti, a differenza di quella della madre, la vita del feto è ancora da ritenersi dubbia. L’uomo non è padrone del suo corpo: quindi “Io sono mia” non è un’affermazione compatibile con il pensiero e la legge ebraica. Da qui la necessità per la donna di interpellare un’autorità rabbinica competente che, dopo averla ascoltata ed essersi consultata con un medico, deciderà caso per caso. L’autorità interpellata ha il dovere di salvaguardare la vita del feto, ma compatibilmente con la salute psicofisica della madre.
Ma il potere morale, per parlare di diritto alla vita del feto, si acquisisce dimostrando di rispettare in concreto la vita dell’uomo; il diritto alla vita del feto potrà essere meglio salvaguardato se prima si saranno create le condizioni per salvaguardare il diritto alla vita di quanti sono già nati.
Non mi sembra abbiano questo potere coloro che hanno ispirato la propria azione a ideologie idolatrie totalitarie che sono state la causa prima delle camere a gas e dei gulag: il Fascismo, il Nazismo e il Comunismo di Stato. Prima di parlare di diritto alla vita, gli eredi di quelle ideologie aberranti devono fare un esame di coscienza e rinnegare il proprio passato, per poter poi iniziare una seria autoeducazione al rispetto della vita di ogni uomo, indipendentemente dalla religione che professa, dalle idee che ha e dal colore della sua pelle. Secondo l’Ebraismo, questo scopo si raggiunge attenendosi a procedure precise che non consentono scorciatoie e che hanno bisogno di tempi lunghi e di una continua verifica.
Ma il concetto di diritto alla vita ha altre importanti implicazioni. Nel corso dei secoli la Chiesa e molte fra le culture che si sono ispirate all’insegnamento cristiano, hanno negato il valore alla vita umana in quanto espressione di modi diversi di esprimere la propria umanità; superati e condannati i metodi dell’Inquisizione rimane irrisolto il nodo dell’evangelizzazione e della politica conversionistica, che rappresenta la negazione totale del concetto del diritto ad esprimere il proprio senso della vita, dell’accettazione dell’altro, del diverso, così com’è senza malcelati rimpianti per la sua mancata conversione.
È pur vero che con il Concilio Vaticano II, la Chiesa ha iniziato un processo di revisione nei confronti del popolo ebraico; tuttavia, le vicende degli ultimi tempi sembrano chiaramente dimostrare che sarà necessario ancora molto tempo perché le nuove idee possano veramente trovare applicazione nella quotidianità e radicarsi nei cuori cristiani.
Il problema non riguarda tanto il popolo ebraico che ha alle spalle secoli di resistenze alle lusinghe conversionistiche. La Chiesa si prepara infatti ad aprire il terzo millennio con un ampio programma di evangelizzazione di popoli che esprimono antiche civiltà, diverse da quella cristiana, spingerli alla conversione, spesso mascherata o edulcorata con il mantenimento di alcuni usi locali, espropriarli della propria cultura per colonizzarli, non è un’azione che va nel senso del riconoscimento del diritto ad esprimere il proprio senso della vita, ma piuttosto nella direzione opposta.
La molteplicità delle culture e la diversità sono un segno di ricchezza.
All’uomo moderno spetta il compito di combattere le politiche espansionistiche che tendono a cancellare le caratteristiche peculiari di importanti civiltà, per imporre modelli culturali dell’Occidente cristiano: la sopravvivenza dei Vatussi o delle tribù dell’Amazzonia è forse obiettivo meno importante della salvaguardia del panda?
La Repubblica 1995