Conferenza di Rav Di Porto c/o Centro Culturale Soka Gakkai nell’ambito di “Religione e ambiente: Sviluppare un profondo rispetto a tutela della vita di tutti gli esseri – 29/9
a) Il rapporto fra ebraismo e natura, per essere investigato, necessita di una importante premessa sulle caratteristiche principali della fede ebraica: secondo la tradizione ebraica infatti il mondo è creato, e il Signore si è rivelato al popolo ebraico, consegnando la Torah, che contiene i precetti, che regolano la vita dell’ebreo. L’investigazione della natura conduce ad una maggiore consapevolezza dell’esistenza di un Creatore. Il Salmo 19[1] esprime poeticamente questo punto: “I cieli narrano la gloria di D., e l’opera delle Sue mani espone il firmamento”. D’altra parte però la contemplazione non deve distogliere l’uomo dalla sua pratica fondamentale che è quella dello studio.
La mishnah[2] biasima chi tralascia lo studio per ammirare un bel panorama. All’interno della precettistica ebraica vari comandamenti, come il divieto di incrociare specie di animali[3], quello di mescolare lana e lino[4], o la distinzione fra specie animali pure e impure, sono destinati a porre dei confini ben precisi all’interno del mondo naturale. Lo stesso si può dire della concezione del tempo: il Sabato, l’anno sabbatico ed il Giubileo mostrano all’uomo che il suo dominio sul creato non è assoluto. Anche in situazioni estreme, come quella della guerra, bisogna fare attenzione a non distruggere la natura: durante l’assedio di una città ci si deve astenere dal distruggere alberi da frutto[5]. Alcuni interpreti[6] leggono però quest’ultimo divieto in chiave marcatamente antropocentrica, riferendosi ai soli alberi da frutto.
Nella letteratura rabbinica il principio viene notevolmente esteso, al punto di vietare la distruzione, anche parziale, di un qualsiasi oggetto che possa essere di beneficio per l’uomo. L’avere cura della terra è uno dei compiti fondamentali affidati ad Adamo[7]: “e lo pose nel giardino dell’Eden perché lo coltivasse e lo custodisse”. Il Midrash[8] esprime così la responsabilità umana nei confronti della natura: passando fra gli alberi dell’Eden disse al primo uomo “guarda quanto sono belle ed eccellenti le mie opere; le ho create tutte, e le ho create tutte per te. Rifletti su ciò e non rovinare o rendere desolato il Mio mondo; se farai ciò non ci sarà nessuno a ripararlo dopo di te” L’approccio dei Maestri, volto a sviluppare il rispetto del creato e la contemplazione delle bellezze, ma anche ad affermare che l’utilizzo delle risorse naturali è destinato ad ampliare il benessere della civiltà umana[9], è ben sintetizzato nella benedizione che viene recitata nel mese di Nissan, quando ci si imbatte in un albero nel periodo in cui si sviluppano le gemme dopo il riposo invernale: “Benedetto sii Tu Signore Re del mondo che non ha fatto mancare nulla al Suo mondo ed ha creato in esso buone creature e alberi buoni e belli affinché se ne giovi l’uomo[10]”. Non dobbiamo però credere che il mondo sia perfetto: per raggiungere tale livello sono indispensabili gli atti degli uomini. I Maestri coltiveranno una sensibilità particolare anche nei confronti degli animali, articolando il principio del tza’ar ba’alè chayim (sofferenza degli esseri viventi). I rabbini arrivano persino a vietare di consumare il proprio pasto prima di avere nutrito i propri animali.
b) Molti, confrontandosi con i problemi ambientali, li considerano questioni tecniche, scientifiche, o tuttalpiù politiche e legislative. Ma è evidente che vi sono delle implicazioni ben più profonde[11]. Già se pensiamo al modo in cui educhiamo i nostri figli, ci accorgeremo che la tendenza a distruggere piante e piccoli esseri viventi viene considerato come qualcosa di assolutamente innocuo, ma questi bambini un giorno saranno adulti, e le loro potenzialità saranno notevolmente accresciute. La Bibbia non è un libro di scienza: come diceva Galileo “la Scrittura non ci insegna come vada il cielo, ma come si vada in Cielo”. Quindi voler individuare nel testo sacro delle indicazioni puntuali su come risolvere i problemi ecologici sarebbe un approccio fuorviante, ma le religioni di certo possono svolgere un ruolo importante. Le questioni ambientali sono entrate nell’agenda di molti attivisti, educatori e leaders ebrei negli anni ‘80 dello scorso secolo, come reazione all’accusa secondo la quale la tradizione ebraico cristiana, fondata su un modello antropocentrico, derivante dal versetto della Genesi (1,28) “empite la terra e rendetevela soggetta”, secondo il quale l’intero creato è subordinato all’uomo[12], creato ad immagine divina[13]. Questo verso è stato letto da molti rabbini, fra cui Rav Kook, come un invito ad applicare all’assoggettamento del creato le stesse misure di giustizia ed equilibrio che il Creatore ha usato, stabilendo le fondamenta del mondo[14]. Per questo l’ideale ebraico del tiqqun ‘olam (riparazione del mondo) è stato riadattato e declinato in difesa dell’ambiente.
Ad oggi non è possibile parlare di una costruzione etico-filosofica sistematica basata sulle fonti ebraiche[15], sebbene vari pensatori ebrei del XX sec., primi fra tutti Hans Jonas e Avraham Yehoshua Heschel si siano dedicati alla questione. Emergono tuttavia alcuni punti fermi: sarebbe un errore trattare le fonti tradizionali apologeticamente per dimostrare l’assunto che l’ebraismo è una religione ecologica[16]; l’ebraismo non può accettare l’idea che non vi sia nulla oltre il mondo. Il “biocenrismo” deve essere pertanto considerato una forma di paganesimo[17]. D’altra parte il voler riformare la halakhah (normativa ebraica), per conciliarla con la mentalità della nostra società “postpositivista, pluralista e globale[18]” non è una soluzione accettabile. L’ispirazione per guidare i nostri comportamenti può venire dalle parole dei profeti, come quelle di Isaia[19] secondo cui verrà un tempo in cui alcuna creatura sarà costretta ad ucciderne un altra per il proprio sostentamento, e non vi saranno più guerre o ingiustizie nella società umana. La riconciliazione fra l’umanità ed il resto del creato richiama il ritorno al giardino dell’Eden, e questo dovrebbe essere il nostro obiettivo. Ma la strada per raggiungere questo scopo è lunga è accidentata. Cosa si può fare? Aryeh Carmell scrive che “c’è un solo modo per evitare il disastro che minaccia di schiacciare il genere umano. Gli obiettivi materiali devono essere sostituiti con obiettivi spirituali”[20].
[1] Sal.. 19,2.
[2] Avot 3,7.
[3] Lev. 19,19.
[4] Lev. 19,19.
[5] Deut. 20,19.
[6] Ad esempio Abravanel.
[7] Gen. 2,15.
[8] Qohelet Rabbà 7,13.
[9] A. SPAGNOLETTO, Ecologia: la prospettiva ebraica; spunti di riflessione, p. VII.
[10] TB Berakhot 43b.
[11] K. KLOSTERMAIER, World religions and the ecological crisis, Religion 3 (2), 1973, p.133.
[12] H. T. SAMUELSON, Nature in the sources of Judaism, Daedalus: Journal of the American Academy of Arts and Sciences ,” 130 (4) (2001) , p. 99-100.
[13] Gen. 1,26.
[14] A. SPAGNOLETTO, cit., p. VIII.
[15] H. T. SAMUELSON, cit. p. 100.
[16] H. T. SAMUELSON, cit. p. 100.
[17] H. T. SAMUELSON, cit. p. 116.
[18] Come scriveva J. Cohen, citato da G. Israel in Ebraismo e natura.
[19] Is. 11,10.
[20] Citato da G. Israel, cit.