La Rassegna Mensile di Israel, vol. 55, no. 1 (January-April 1989): 127-132
Riccardo Di Segni
Le Toledoth Jeshu, storie ebraiche su Gesù, pongono numerosi problemi critici e interpretativi, che finora sono stati risolti solo parzialmente[1]. Un problema fondamentale è quello della ricostruzione dei testi e della loro evoluzione e ramificazione nelle numerose varianti.
Un contributo significativo comincia ora a venire dagli studi sui processi contro ebrei e giudaizzanti, che vengono compiuti in questi anni in modo sistematico e approfondito su materiali inediti di archivio, e che forniscono una documentazione importante e spesso esclusiva.
In questa nota si segnalano e si discutono due nuove fonti, rispettivamente del 1341 e del 1476, emerse da documentazione processuale, e che si rivelano di notevole importanza.
1. La prima fonte è di origine catalana; deriva dagli atti di un processo inquisitoriale contro ebrei, conservato nel codice 136 degli archivi della Cattedrale di Barcellona. Un neofita di nome Petrus, già Alatzar (=Eleazar), raccontò in un interrogatorio tenutosi a Calataiud il 28 Maggio 1341 il suo incontro avvenuto mesi prima a la Almunia con alcuni ebrei; costoro, avendo appreso della sua conversione al cristianesimo, cercarono in vari modi di convincerlo ad abiurare pubblicamente e quindi ad affrontare l’inevitabile martirio. Fu appositamente chiamato un esperto ebreo, di nome Jucef de Quatortze, di Calataiud, che tra i vari argomenti raccontò a Petrus una storia «alternativa» su Gesù[2]. Abbiamo quindi questa notevole relazione, che è una versione in lingua latina delle Toledoth di 380 parole:
«Et addiit(!) dictus Jucefus et dixit quod ille Jhesus, quem christiani credunt et adorant, non erat Deus nec est Deus, immo homo spurius maledictus, quem mater sua in adulterio concepit, et hoc tali modo: quod in una magna festivitate iudeorum, Josep maritus Marie, de nocte ivit ad audiendum matutinum ad templum et clausit(!) hostium domus post se et posuit clavem hostii in quodam foramine iuxta portam, ipsa uxore intus remanente.
Et quidam alius iudeus, qui observabat eum et vidit ubi clavem posuerat, post recessum dicti Josep in templum, judeus ille extraxit clave, aperuit hostium et intravit domum et concubuit cum Maria, uxore dicti Josep, et impregnavit eam de uno filio; qui, natus, postquam crevit in etatem quatuor vel quinque annorum; et una die, dum luderet cum aliis pueris ad trochum ante hostium Templi, ubi stant duo leones, unus hinc et alius inde in introitu Templi, qui fuerunt ibi positi ut si aliquis vellet intrare Templum terreretur a leonibus superdictis, ne possent legere nomen Semhammeforas, quod est nomen Dei, et est tante virtutis quod primus qui illud legeret faceret mirabilia magna solus; et cum esset in dicto ludo cum pueris, trocus dicti pueri cecidit infra grados Templi, et puer ille, cum iret post trochum suum, volens ipsum recuperare, elevavit oculos et vidit scriptum in superliminari templi, litteris aureis, Semhammeforas, nomen Dei superdictum; et retinuit et cum proprio sputo scripsit predictum nomen in manu sua, nec propter timorem leonum dimisit quin legeret nomen Dei superdictum et retineret; postea scripsit in pregameno(!) subtili et valde tenuo(!) et incisit et elevavit corium de tibia dextera et posuit ibi et suit corium et conclusit ibi predictum nomen. Et ex tunc virtute istius nominis faciebat mirabilia et miracula multa, ita quod equitabat super radiis solis et sustentabatur ab eo, et de terra faciebat passares(!) vivos, et sanabat omnes infirmos quacumque detinerentur infirmitate. Postquam crevit et venit ad etatem perfectam, fuit ita subtilis et ingeniosus et gratus et cum miraculis que faciebat corda gencium convertebat et tanquam Dei filium se adorari faciebat. Et per hunc modum decipiebat mondum. Et finaliter, tanquam falsarium et reprobum, doctores legis et summi sacerdotes ipsum ad mortem condempnarunt.»
Gli elementi che distinguono questa relazione (che d’ora in avanti verrà chiamata B – da Barcellona) sono numerosi.
In primo luogo va sottolineato l’uso propagandistico e di «controinformazione» della leggenda ebraica su Gesù. Considerata la natura delle argomentazioni, la cosa non cessa di stupire, tantoppiù se si pensa che lo scopo finale era quello di convincere una persona a votarsi al martirio. Eppure questo uso è un dato di fatto; e lo stesso continuava a verificarsi a Venezia nel 1553, più di due secoli dopo[3].
Per quanto riguarda il contenuto si impongono diverse osservazioni. Il tipo di racconto, per la traccia essenziale della vicenda, appartiene genericamente alle Toledoth Jeshu del gruppo «Elena», quello cioè dove Gesù viene giudicato da una regina con questo nome. Di questa regina però non si parla affatto nel documento B, che attribuisce la condanna di Gesù ai dottori della legge e ai sommi sacerdoti. Per questo tipo di omissione (come per molte altre) non possiamo dire con certezza se si tratti veramente di una lacuna o di una importante variante della tradizione.
Certo è che la versione B presenta, almeno su questo punto, una tesi più lineare, che si accosta a quella talmudica e che perlomeno è libera dalla confusione e dagli anacronismi che la presenza di Elena comporta nelle altre varianti.
L’importanza della versione B appare evidente se si considera che i manoscritti ebraici che conosciamo del gruppo «Elena» sono tutti successivi al 1500, e che prima di questa data possediamo solo:
(a) la relazione in latino di Raimondo Martini, nel Pugio Fidei, del 1278;
(b) la sintesi in ebraico dell’Even Bochan, di Shem Tov ibn Shaprut, scritta in base a una testimonianza del 1341;
(c) una breve notizia sull’adulterio per equivoco di Maria, nel Qeshet uMaghen di Shimon ben Tzemach Duran (1361-1444).
Tutte queste fonti, come anche la relazione B, sono di provenienza spagnola.
La nostra fonte si distingue prima di tutto per la storia della nascita di Gesù; una storia che manca in (a) e in (b), ed è quindi la più antica in assoluto di cui disponiamo. La versione differisce significativamente da quella di (c), e da tutte le altre successive, per il particolare dell’innocenza di Maria, di notevole importanza mitica[4], che viene omesso in B. Inoltre manca anche il particolare della condizione mestruale di Maria, la cui fonte più antica viene discussa più avanti in questo articolo. Un’altra differenza è rappresentata dal motivo della chiave di casa nascosta dal padrone e trovata dal seduttore; anche questo particolare è assente in tutte le fonti successive; ma può avere la sua fonte nel racconto talmudico (Ghittin 90a) su Pappos ben Jehuda, che quando usciva di casa chiudeva dentro la moglie; storia ripresa in vario modo nelle leggende successive, apertamente nella versione di Huldreich[5].
Altri elementi distintivi sono nella particolare estensione della fase «dell’infanzia». È in questo periodo di età – quattro o cinque anni, come nell’Evangelo della Natività – che viene concentrata la storia del furto del nome divino. A differenza di tutte le altre fonti (comprese le precedenti (a) e (b)), l’ingresso nel Tempio, che sarà l’occasione del furto, è assolutamente casuale. Il fatto che lo determina è un gioco che Gesù fa con i coetanei, con il «trochum», cioè il cerchio, che rotola nei gradini del Tempio. Il motivo del cerchio scompare in tutti i testi successivi, sostituito nelle fonti molto tarde dalla palla, con cui Gesù gioca nella versione di Huldreich e nei testi Slavi[6]. In queste fonti, non anteriori al XVI secolo, il gioco della palla compare quasi casualmente, e non è inserito in una sequenza logica della fonte B. Ma appare ora evidente che queste fonti avevano una precisa tradizione a cui si collegavano, anche se ne ignoravano il significato; come anche noi non siamo ancora in grado di comprendere il significato reale del riferimento al gioco del cerchio, che certamente è la più antica delle fonti ora disponibile.
Più in generale possiamo però notare come il motivo della penetrazione di Gesù nel luogo più santo del Tempio possa contenere un elemento polemico alla tesi paolina della Lettera agli Ebrei, cap. 8, dove si parla del ruolo sostitutivo del sacerdozio di Gesù.
Tra i miracoli di Gesù la fonte B parla di cavalcatura dei raggi del sole. Questo motivo è presente in apocrifi cristiani come l’Evangelo armeno dell’infanzia (15:5), mentre nelle fonti ebraiche si riscontra solo nella relazione di Sandys, scritta in base a fonti ebraiche raccolte in Palestina nel 1610[7].
Il racconto della fonte B, dopo tutti questi dettagli, diventa generico e affrettato e si chiude bruscamente con la condanna rabbinica e sacerdotale di Gesù. Quindi nel suo sviluppo complessivo la struttura differisce sostanzialmente sia da (a) e (b) che da tutte le fonti successive.
In definitiva la fonte B si caratterizza per una sua certa autonomia e individualità anche se è difficile stabilire le ragioni delle varianti e la loro reale consistenza come tradizione autonoma. Si pensi anche alla natura speciale di questa fonte, e alle modalità con cui è stata raccolta.
2. La seconda fonte proviene dagli atti del processo contro gli ebrei di Trento, relativi alla famosa accusa di omicidio rituale del bambino Simone[8]. È una testimonianza raccolta agli inizi del 1476, durante gli interrogatori degli imputati minori. Consiste in una breve notizia che viene fornita da Lazzaro nipote di Angelo, che riferisce quanto avrebbe detto Samuel di Norimberga, uno dei maggiori imputati del processo, prima del delitto. Samuel, racconta Lazzaro, «fecit quandam predicationem» dicendo tra l’altro:
«Non esse verum quod Iesus Christus fuisset ex virgine natus, sed quod eius mater, videlicet beata virgo Maria, fuerat meretrix et adultera et Christus ex adultera natus et quod fuerat exginta tempore quo menstrua patiebatur»[9].
La principale tesi sostenuta in questa testimonianza, la nascita da un adulterio, non rappresenta una novità particolare; si noti solo la assoluta semplificazione delle circostanze, e in particolare il silenzio sulla innocenza di Maria.
Invece è importante l’ultimo dettaglio, che parla di una fecondazione in periodo mestruale. Deriva probabilmente da una fonte ebraica dell’ottavo secolo, la Massekheth Kalla 92:1), che non si riferisce direttamente a Gesù; il riferimento esplicito a Gesù compare in tutti i manoscritti ebraici del gruppo Elena, a partire dalla seconda metà del XVI secolo, ma non nei vari testi precedenti[10]. Quindi l’importanza della notizia desunta dal processo tridentino sta nel fatto che per il momento è la fonte più antica che considera esplicitamente Gesù come «figlio di mestruata».
Degna di nota è l’origine tedesca del narratore, che potrebbe far presumere che anche la notizia abbia la stessa origine.
[1] L’opera critica classica sull’argomento è S. Krauss, Das Leben Jesu nach juedischen Quellen, Calvary, Berlin 1902, ristampa anast. Georg Olms, Hildesheim – New York, 1977; aggiornamenti in G. Schlichting, Ein juedische Leben Jesu. Die verschollene Toledot-Jeshu-Fassung Tarn u-mu’ad, Mohr, Tubingen, 1982, e nel mio Il Vangelo del Ghetto, Newton Compton, Roma 1985.
[2] Il processo è stato studiato e pubblicato da Josep Perarnau, El Proces Inquisitorial Barceloni contra els jueus Janto Almuli, la seva muller Jamila i Jucef de Quatortze (1341-1342), «Revista Catalana de Teologia» 4, 1979, pp. 309-353. La relazione è alle pp. 340-342. Ringrazio Micaela Procaccia e Anna Esposito che mi hanno segnalato l’esistenza di questo processo, che nel 1988 è stato oggetto da parte del p. Perarnau di una relazione a un convegno a Erice; e al p. Perarnau che mi ha messo a disposizione una copia del testo.
[3] Cfr. P. C. Ioly Zorattini, Processi del S. Uffizio di Venezia contro ebrei e giudaizzanti (1548-1560), Olschki Firenze, 1980, p. 97; cfr. anche ID., Leandro Tisanio, un giudaizzante sanvitese del seicento, Olschki, Firenze 1984, p. 88.
[4] Cfr la mia relazione «Le origini di Gesù nelle Toledoth Yeshu», al convegno Le Recit des Origines dans l’Espace Mediterraneen, Carcassonne 2-3-4 Dicembre 1988, in corso di pubblicazione.
[5] Cfr. Il Vangelo del Ghetto, cit., p. 84, 118-9, 131.
[6] Cfr. ibid p. 82, 86 e 140.
[7] Cfr. ibid. p. 22 e 157.
[8] Sul processo di Trento cfr. tra l’altro G. Volli, Contributo alla storia dei Processi Tridentini del 1475, «La Rassegna Mensile di Israel», 31, 1965, pp. 570-578; W.P. Eckert, Il Beato Simonino negli “atti” del Processo di Trento contro gli ebrei, «Studi Trentini di Scienze Storiche», 44, 1965, pp. 193-221; Battista de’ Giudici, Apologia Iudaeorum – Invectiva contra Platinam. Propaganda antiebraica e polemiche di Curia durante il pontificato di Sisto IV (1471-1484), a cura di D. Quaglioni, Roma 1987.
[9] La testimonianza è conservata nell’Archivio Storico di Trento, Archivio Principesco Arcivescovile, sez. lat. capsa 69 n. 163. È in corso l’edizione integrale degli atti del processo tridentino, a cura di Anna Esposito e Diego Quaglioni; sta per uscire il primo volume, relativo agli imputati maggiori. Sono grato a Anna Esposito e Diego Quaglioni che mi hanno segnalato anticipatamente questa testimonianza e mi hanno consentito di pubblicarla.
[10] Sulla storia di questo motivo e la sua importanza cfr. Di Segni, Il Vangelo del Ghetto, cit., pp. 120-123, e Le origini cit..
