Incontri (e scontri) culturali all’interno delle comunità giudaiche d’Oriente e d’Occidente
Pubblichiamo una delle relazioni conclusive dell’incontro di presentazione del volume Hebrew Manuscript in the Vatican Library Catalogue svoltosi a Gerusalemme presso la Biblioteca nazionale di Israele. Il volume è stato realizzato dall’Institute of Microfilmed Hebrew Manuscript e dalla Jewish National and University Library (a cura di Benjamin Richler, Malachi Beit-Arié e Nurit Pasternak, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 2008, [Studi e testi, 438], pagine XXIX + 681 + 66*, 16 tavole fuori testo, euro 120).
Menachem Ben Sasson – Presidente della Hebrew University
La biblioteca è una porta che permette di entrare in molti mondi, alcuni dei quali sono descritti in maniera circostanziata nell’introduzione che Delio Vania Proverbio ha scritto per il volume Hebrew Manuscripts in the Vatican Library: Catalogue, a cura di Benjamin Richler, con descrizioni paleografiche e codicologiche di Malachi Beit-Arié e Nurit Pasternak, Città del Vaticano, 2008 (Studi e testi, 438). Ma questi mondi esorbitano comunque dagli angusti limiti di un’introduzione: essi compendiano capolavori eruditi e illustri, frutto del lavoro di generazioni di ricercatori. Per navigare nei mari che circondano il tesoro della Biblioteca Apostolica Vaticana – il mar Mediterraneo, il mar Adriatico, il mar Ionio e il mar Tirreno – bisogna possederne le mappe, che possono essere reperite ad abundantiam in questo catalogo; esse permettono, a chi le consulta, di sbarcare al sicuro nei vari porti, nelle città da cui provenivano i manoscritti prima di giungere nella Biblioteca Apostolica Vaticana per questo “incontro” fra le comunità.
Tutte le strade portano e portavano a Roma, non solo nel mondo antico. Nel mondo dei manoscritti ebraici del medioevo, l’Italia rappresenta un impero. In primo luogo per la sua posizione geografica situata fra Oriente e Occidente, tra Settentrione e Meridione. Non è un caso che la leggenda sull’origine dei centri ebraici nel Mediterraneo, la leggenda dei “quattro prigionieri” – riportata nel Sefer ha-Qabbalah del Avraham ben David of Provence 1125-1198) – inizi a Bari. L’Italia fu terra di rifugio per chi fuggiva dai territori del mondo ebraico a causa della sua divisione e per il concorso di tante circostanze economiche, politiche e religiose. Di conseguenza, malgrado la prevalente presenza di manoscritti ebraici italiani nella Biblioteca Apostolica Vaticana, risalta in essa anche il patrimonio dei mercanti, degli immigrati, dei rifugiati espulsi dai paesi europei, e delle comunità che vivevano a sud del mar Mediterraneo.
L’incontro proposto dai manoscritti si concretizza nell’afflusso di libri da tutto il mondo ebraico. I testi vengono copiati, studiati e inviati da un luogo all’altro, e così si propone un dialogo interebraico. I proprietari dei libri e delle biblioteche vanno ad abitare in luoghi diversi per tutto l’orbe giudaico, accompagnati dai loro libri. L’èthos che presiede alla raccolta dei tesori del passato in collezioni private si trasforma in un’espressione di autorità centrale, di governo e di potere. Presso la corte vaticana, come presso le corti reali, la collezione ebraica cominciò a essere sistematicamente incrementata dall’epoca di Papa Niccolò V, a partire dalla seconda metà del XV secolo. L’evoluzione della biblioteca all’epoca di Sisto v (1585-1590) rappresenta un altro passo verso l’edificazione dell’importante collezione in cui centinaia di scritti ebraici affluirono da luoghi diversi.
Presso la Biblioteca Apostolica Vaticana sono custoditi manoscritti e testi disparati, che testimoniano un “incontro”, benché a un’occhiata anche superficiale si evinca la presenza di un nucleo geograficamente omogeneo per la maggior parte dei manoscritti. Raramente nei manoscritti ci si imbatte nell’incontro fra le comunità giudaiche dei Paesi cristiani e le comunità giudaiche dei Paesi islamici, sia in Oriente che in Occidente. Infatti i centri di produzione e la lingua veicolare erano proprie delle singole comunità appartenenti a uno spazio politico, religioso e culturale continuo e omogeneo. Le vicende della cultura ebraica apparivano a tal punto frammentate che alcuni studiosi sostennero che nel basso medioevo vi fosse stata un’interruzione dei contatti tra le comunità, mentre altri continuano a difendere con forza la visione pragmatica di un continuum socio-culturale ebraico, anche soltanto per richiamarsi alla storica unione dei due concetti di ebrei ed ebraismo.
Ed effettivamente furono rari gli eventi nel basso medioevo ai quali parteciparono in toto le comunità di Israele. Un solo evento in particolare riuscì a unire concretamente in questo periodo le comunità giudaiche – sia quelle d’Oriente sia quelle d’Occidente, nei Paesi cristiani e in quelli islamici – e catalizzò l’attenzione su un solo tema, la controversia sugli scritti di Maimonide – rabbi Mosè ben Maimon, conosciuto nel mondo ebraico con l’acronimo di Rambam. Un certo numero di manoscritti della Biblioteca Vaticana concernono la vexata quaestio della controversia maimonidea, e al contempo la famiglia di Maimonide. Ne sono un celebre esempio i manoscritti Neofiti 11 e 12.
Il Neofiti 11 è un manoscritto vergato su pergamena e su carta. Esso contiene alcune unità codicologiche realizzate nel XIV secolo. Nel corso del tempo, per iniziativa di uno dei possessori, esse furono legate insieme, per meglio preservarle. Analogamente a molti manoscritti di questo genere, anche il Neofiti 11 ha un carattere omogeneo e contiene al suo interno copie di testi, in gran parte accomunati dallo stesso stile. Questa raccolta può essere definita, seguendo la precisa definizione di Malachi Beit-Arié, un composito fittizio. Le varie parti di questo codice composito sono legate alla famiglia di Maimonide e alle controversie intorno ai suoi scritti.
I punti principali della polemica sugli scritti di Maimonide, specialmente le opere giuridiche e filosofiche, vertevano su aspetti di tipo teorico ma con risvolti sociali. I critici ritenevano che il Mishne Torah, privo dell’indicazione di luogo e di citazioni talmudiche, contenesse una mescolanza inaccettabile di precetti halachici e opinioni filosofiche in materia giuridica; un’opera in cui sono espresse idee che possono apparire coraggiose e innovatrici al lettore tradizionale – una particolare attenzione fu dedicata alle sue opinioni sull’eternità dell’anima e sulla resurrezione dei morti – ma che furono considerate inammissibili dall’ebraismo tradizionale.
La controversia era legata a tensioni sociali emerse nella comunità ebraica ancor prima che la disputa vera e propria prendesse corpo e che trovarono un’occasione adatta per esprimersi in tale contesto. Le tensioni investivano la società ebraica sefardita in campo economico e intellettuale e si riverberavano pesantemente sull’osservanza dei precetti da parte delle classi più abbienti. C’erano tensioni tra gli ebrei dell’Europa nordoccidentale e tra gli ebrei sefarditi; tra gli ebrei di estrazione europea e tra quelli orientali nelle comunità del Medio Oriente (Alessandria d’Egitto e Israele). E in Oriente anche tra ebrei orientali tradizionalisti (la popolazione yemenita e irachena) e gli innovatori provenienti dalla Spagna. Si trattò di una polemica alla quale presero parte capi di diverse correnti religiose e di fazioni politiche avverse. Nella documentazione a noi pervenuta, sono espressamente nominate fra i partecipanti a questa polemica più di duecento persone lungo quattro generazioni, esponenti dell’élite intellettuale del popolo d’Israele.
Anche le armi della polemica furono diverse e gli argomenti della controversia ebbero larga diffusione.
Tali argomenti si propagarono da un posto all’altro grazie ai viaggiatori che le divulgavano e ai sostenitori itineranti; novità e aggiornamenti furono inviati per mezzo di lettere aperte – umoristiche e in rima – in Spagna, e dalla Spagna verso altri angoli del mondo ebraico; le parti in causa si lanciarono scomuniche reciproche e, in vista di queste scomuniche, arruolarono quei fratelli che contestavano l’autorità dei leaders avversari. La diffusione della polemica e le sue fasi acute trovano riscontro nel panorama generale delle reciproche scomuniche. Taluni ebrei spagnoli furono aiutati da loro confratelli provenzali scomunicati; spagnoli e provenzali ottennero aiuto dalla Francia e dall’Egitto; gli ebrei di San Giovanni d’Acri (Acco) si rivolsero agli ebrei francesi, agli ebrei di Mesopotamia e Damasco. Coloro che parteciparono attivamente alla controversia non furono soddisfatti dell’esito che essa ebbe, tanto che alcuni cercarono aiuto presso i non-ebrei: presso gli ordini mendicanti in Spagna – per mandare al rogo gli scritti non ammessi e per far tagliare le lingue alle spie – e in Italia presso il Papa – per ottenere il divieto di studiare gli scritti e, viceversa, per bloccare questa richiesta. Dal momento che la controversia era un fatto interno all’ebraismo, essa si svolse in ebraico, benché in Oriente le parti salienti furono scritte in arabo.
Tre furono le fasi principali della disputa sugli scritti di Maimonide, due delle quali investirono le comunità ebraiche sia in Oriente sia in Occidente. La prima fase si svolse mentre Maimonide era ancora in vita (intorno all’anno 1180), allorché il rabbino Meir Halevi Abulafia di Toledo e il rabbino Samuele ben Eli Gaon dall’Iraq si pronunciarono contro di lui. La seconda fase, quella più aspra (1204-1232), si incentrò sulle domande poste a Rabaam – rabbi Abraham ben Moshe ben Maimon, unico figlio del maestro, vissuto fra il 1186 e il 1237 – in merito agli scritti paterni e alle sue risposte, alle scomuniche in Europa, ai roghi degli scritti e alle reazioni provocate dai roghi. La terza fase ebbe luogo in Oriente negli anni 1285-1287. Anche questa volta i denigratori di Maimonide comminarono scomuniche contro i suoi sostenitori (e furono a loro volta censurati da questi ultimi); richiesero l’intervento degli ebrei di Francia, ricorsero ai membri della famiglia dell’esiliarca e ai geonim, tentando, senza successo, di coinvolgere il Pontefice. Tutto questo al fine di ottenere il divieto di insegnare la dottrina di Maimonide. La quarta fase, che ebbe come obiettivo la controversia sul curriculum studiorum, e in particolare lo studio della filosofia, è legata alla scomunica con la quale Rashba – acronimo del rabbino catalano Salomon ben Abraham ben ‘Adret vissuto fra il 1235 e il 1310 – colpì coloro che si accingevano agli studi filosofici prima di aver compiuto il venticinquesimo anno di età. La scomunica fu promulgata nel 1305 e continuò a suscitare le reazioni dei sostenitori di Maimonide come dei suoi avversari.
Intorno agli scritti di Maimonide si svolse, perciò, un incontro fra le comunità che formavano Israele, incontro documentato dal composito costituito dai manoscritti Neofiti 11 e 12. In occasione della mostra sugli scritti di Maimonide (The Great Eagle at the Jewish National and University Library, 2004), abbiamo brevemente ripercorso la storia della biblioteca di famiglia dall’Egitto ad Aleppo. Una disamina più approfondita di questa vicenda è in corso di stampa.
Consultando “gli scaffali” della biblioteca di famiglia, troviamo notizie delle “comunità della biblioteca” in Egitto e ad Aleppo. La comunità che si trovava in Egitto si raccolse intorno alla casa di Maimonide; i membri della famiglia sorvegliavano a turno il “libro” autentico – sia quello pronto per la pubblicazione sia quello che era rimasto nella forma di “bozza” ormai avanzata. Ai membri della famiglia di Maimonide fu permesso di usare queste “bozze”, perché essi ne detenevano i diritti d’autore. I membri della famiglia allargata promossero la copiatura delle sue opere, le studiarono e spinsero altre persone a studiare presso di loro. All’epoca della controversia sugli argomenti da studiare nell’ambito delle comunità, i membri della famiglia di Maimonide in Egitto e nei Paesi limitrofi rappresentarono le truppe scelte nella lotta contro gli oppositori e gli scomunicati. Presso le biblioteche sorte nell’ambito della famiglia allargata furono approntate diverse copie, che sono ora custodite nelle biblioteche di tutto il mondo.
Il Neofiti 11, che fu copiato nel XIV secolo, contiene diverse opere ed è possibile che provenisse dalla biblioteca di famiglia di Maimonide.
Il primo “incontro” collega Spagna, Marocco, Israele ed Egitto. Il seguente testo, dalla biblioteca di famiglia di Maimonide, è al momento noto in copia unica (Neofiti 11, fogli 128v-132v): “Risposte – domande al rabbino Maimon, padre del rabbino Moshe di santa memoria”. Il padre aveva esercitato la professione di giudice a Cordoba prima di emigrare a Fez e da qui, via Israele, si diresse in Egitto, nell’anno 1165, e morì poco prima del suo arrivo.
Ancora fra le cose particolari è da menzionare questa dedica, presente soltanto in un Codice di Parigi, (ms. hébr. 347), copiato a Roma nel 1323, e contenente i capitoli VII-XIV del Mishne Torah): “Le rime furono trovate scritte nella cassa che custodiva i libri della Torah e stavano nella stessa cassa e in ogni famiglia c’era un solo libro e la cassa era di legno e i sigilli erano incisi sul coperchio di quella cassa”
“Nel campo della saggezza i mietitori mietono quella sapienza che a ogni persona nobile di cuore è assicurata.
Dietro a loro spigolano anche gli spigolatori. Io sono profondamente unito a loro.
Alcuni covoni si fecero da sé, ma si alzò il mio covone e sta anche in piedi – (attribuito al Maimonide o a Hasdai Hanassi).
“Questa è l’ampolla nel quale custodì la manna che servì a nutrire / i figli di Israele nel deserto per quaranta anni l’ha vuotata. / La manna è la religione che studiò e la parola di Dio che gli fu rivelata / Anche questo uomo Mosè la segue / si accampa presso il suo stendardo / Stese la nube della sua religione e / scavò un pozzo, (anche) il popolo vi attinge / Ha consultato gli “Urim” per le loro azioni / il suo agire fu di insegnamento a tutti / Un itinerario diritto indica la strada / alzò la sua ragione fra quelli che vacillarono / Come lo shofar levò la sua voce / Beato colui che comprende la sua parola / Beato colui che intende ciò che è occulto / a cui Dio rivela la fonte della sua intelligenza / dall’abisso lo fa salire / in cielo per abitare con la sua schiera / lo salva dall’ombra che passa / perché trovi rifugio nel favore di Dio e alla sua ombra / Dall’essere eredità di polvere / a sua eredità malgrado la sua fugacità / Che eredità migliore è questa / di una persona saggia si sentirà parlare” (riferito al suo studente Yosef ben Yehuda)
E a tutto questo va aggiunta anche una preziosa testimonianza sul completamento dell’opera Mishne Torah: “Anche questo fu scritto sulla cassa; ho terminato quest’opera (…) l’ottavo giorno del mese di Kislev 5592 dell’era seleucide in Egitto” (1180).
L’ampio prestigio di cui godeva Maimonide si evince dalle domande che gli venivano poste; pochissimo tempo prima del suo arrivo fu interpellato dalle comunità d’Egitto in merito ai problemi causati dallo scontro con i loro capi, e la risposta di Maimonide fu oggetto di accesi dibattiti pubblici. Quando egli consolidò la sua posizione, piovvero domande da tutto l’orbe ebraico. Una raccolta dalle sue risposte si trova nelle tredici pagine del Neofiti 11, e fra queste pagine vi sono le prime due risposte a Ovadia Hager, probabilmente in terra di Israele, sui proseliti e sui musulmani (copia della terza – “tutto sta nelle mani del cielo tranne il timore divino” – Vaticano ebraico 171, fogli 78v-79r). Egli rispondeva a domande precise e brevi. Da parte loro, però, le comunità posero problemi più grandi concernenti sia la vita pratica sia lo studio, a cui Maimonide dedicò opere e lettere.
La speciale autorità di Maimonide andò costituendosi e consolidandosi grazie alle lettere inviate agli ebrei della diaspora in risposta ai problemi della loro epoca, alle persecuzioni e agli stermini. La prima lettera, inviata ai paesi del Maghreb, concerne la conversione forzata. Nel 1172 spedì la cosiddetta lettera yemenita (Iggeret Teyman), nella quale affrontava l’accusa della conversione e il problema dei falsi Messia. In essa egli ci testimonia una tradizione, coltivata dai membri della propria famiglia, relativa alla profezia del Ritorno nell’anno 1216/7. La lettera yemenita è tràdita fra l’altro dal manoscritto Neofiti 11 e fu tradotta nell’anno 1215 da Shmuel ibn Tibbon: “Questa lettera fu scritta da Rabbi Mose (di benedetta memoria) nell’antica lingua di Kedar e nella lingua ebraica dal dotto rabbino Shmuel ibn Tibbon”.
La diffusione del Mishne Torah fu il frutto di un’azione cosciente e deliberata di Maimonide. Inoltre, coloro che si dedicarono allo studio del libro formarono dei gruppi di studio, e lo stesso fecero i loro avversari, analizzandone i contenuti, la struttura e la maniera di citare le fonti. Un’eco di questa situazione risuona in tre lettere private ai suoi. La prima in ordine di tempo, scritta nell’anno 1185 in terra di Israele a Yafet Ben Eliahu, giudice a San Giovanni d’Acri, fa riferimento al viaggio della famiglia dall’Africa settentrionale e alla morte del fratello nell’Oceano Indiano.
Maimonide inviò una lettera dettagliata e sdegnata al giudice di Alessandria Pincas ben Meshullam, un ebreo provenzale emigrato in Egitto, ove aveva ottenuto la nomina a giudice grazie all’intervento di Maimonide. In essa egli parla di come fosse giunto a scrivere il Mishne Torah e della polemica che aveva accompagnato la ricezione del libro nelle comunità giudaiche.
Un posto speciale tra i destinatari delle lettere di Maimonide ebbe il suo studente prediletto, Yosef ben Yehuda, per il quale scrisse la Guida ai Perplessi.
Le discussioni con Maimonide sono legate al suo commentario all’ultimo capitolo del trattato Sanhedrin della Mishnah: “Tutto Israele ha parte nel mondo futuro”. Una delle tre traduzioni note, attribuita a Shmuel ibn Tibbon si trova ai fogli 1v-15v del manoscritto Neofiti 11. Ecco le parole del copista: “Si è conclusa la discussione sul mondo futuro da parte del nostro rabbino Mosè (di benedetta memoria)”. Queste parole e quelle simili del Mishne Torah nel libro della conoscenza conducono al secondo “incontro”, tra Baghdad, Aden e Il Cairo. Esse spinsero Samuel ben Eli e gli yemeniti a contestare a Maimonide di non credere alla risurrezione dei morti. Maimonide scrisse allora una lettera nell’anno 1191, tradotta poco dopo da Shmuel ibn Tibbon (Neofiti 11, fogli 30v-50v), che si conclude con queste parole: “Ho trovato ciò che ha fatto il copista alla fine della discussione della risurrezione dei morti dalle parole straniere che hanno bisogno di delucidazione nel loro ordine alfabetico”.
Nello stesso anno il fronte del dibattito si allargò verso Oriente. Maimonide replicò infatti al Gaon Samuel ben Ali di Baghdad circa la questione se fosse lecito o meno viaggiare sui grandi fiumi di sabato.
A seguito della diatriba fra Maimonide e il Gaon, un anno più tardi, nel 1192, Yosef Ibn Gabir inviò da Baghdad alcune domande a Maimonide, che replicò con risposte circostanziate. La traduzione della sua lettera a Yosef Ibn Gabir è contenuta nei fogli 66v-70v del manoscritto Neofiti 11.
Volgiamoci verso Occidente. Nel 1195 Maimonide scrisse una lettera ai saggi di Montpellier sull’astrologia: “In grande fretta il 12 del mese Tishri (un giorno dopo Yom Kippur) dell’anno 1507 dell’era seleucide nel paese d’Egitto. Non fatemi colpa, signori, della brevità delle mie parole; lo scritto svela che il mio tempo stringeva; ero infatti molto affaccendato in una quantità di impegni pubblici. La lettera sia inviata là dove sono delle salde colonne della terra (Michea, 6, 2), i dotti sapienti della terra di Francia che abitano a Montpellier, la cui guida è il prezioso dotto rabbi Jonatan ha-kohen”.
Poco prima di morire Maimonide scrisse una lettera al traduttore delle sue opere, Shmuel ibn Tibbon, nella quale fornisce dettagli biografici e una risposta ai problemi della traduzione della Guida ai Perplessi. Anch’essa è contenuta nel Neofiti 11.
Il rogo dei libri di Maimonide in Provenza nel 1232 segnò una svolta nella controversia maimonidea che spinse taluni oppositori a studiare gli scritti di Maimonide. La notizia del rogo giunse al figlio Abraham solo tre anni più tardi, inducendolo a prendere posizione in modo netto.
Dalle sue parole sembra che tra coloro che giunsero in terra d’Israele fossero sia persone note per la loro ostilità verso gli scritti di Maimonide sia persone che manifestavano una certa apertura verso la sua dottrina. Il personaggio più noto era il rabbino Shimon da Shantz, che arrivò in quella regione dopo il 1214.
Sull’esistenza di posizioni ostili a Maimonide, così commentava Abraham: “Se la cosa fosse vera, pagheranno il fio delle loro azioni e se ne asterranno; se non fosse, colui che avrà sparso la voce su di loro ne riceverà una brutta reputazione”. E alle domande relative al pericolo di diffondere queste opinioni, affermò che non c’era ragione di preoccuparsi, distinguendo tra “i più intelligenti fra i saggi”, che erano arrivati dai Paesi europei, e “coloro che avevano una fede erronea” come per esempio il rabbino Shimon da Shantz:
“E quelli che hanno una fede erronea in questi princìpi nella terra di Shinar [Babilonia] e d’Oriente e di Siria e nella terra splendida [la terra di Israele] e nel Paese dell’Egitto e nella terra dell’occidente non contano niente, e ammesso che divulghino il loro segreto, persino davanti al popolo del Paese, si copriranno di ridicolo e di disprezzo e per loro sarà sufficiente il disonore di fronte a coloro che parleranno davanti a lui. E per questo motivo i più intelligenti fra i saggi giunti d’oltremare, sia dalla Francia che dagli altri paesi non ricordavano la fede sbagliata ed essa non uscì dalla loro bocca”.
Fra le comunità d’Oriente e d’Occidente ci si attendeva da parte di Abraham una scomunica degli oppositori. Invece nelle Milhamot Adonai – “Le guerre di Dio” – (Neofiti 11, fogli 83r-99v) Abraham si rifiuta di bandire coloro che non approvavano la dottrina del padre e persino coloro che avevano provocato il rogo dei suoi scritti: “Ho allontanato la mia mano dal giudizio, (…) perché sarebbe stato come offendere Dio; allo stesso modo i nostri maestri hanno insegnato: “Non giudicare una persona a meno di non aver misericordia di lui, e non per odiarlo””.
Nell’ambito della controversia maimonidea, le vicende del rabbino David Hanaggid (detto Radba), figlio di Abraham, assumono particolare rilievo. David nacque nel 1222 e fu eletto capo degli ebrei all’età di 16 anni. Quando aveva 63 anni, il 13 giugno 1285, Radba fu allontanato dalla guida degli ebrei e si trasferì nella città crociata di San Giovanni d’Acri.
I sostenitori della dottrina maimonidea, che durante la seconda controversia erano ricorsi al figlio Abraham, si rivolsero al nipote David.
Dall’Italia Hillel da Verona, che in una lettera inviata a Isaac ben Mordechai aveva parlato delle precedenti polemiche, intrattenne rapporti con i membri della corte di David Hanaggid ad Alessandria e al Cairo. In un’altra sua lettera suggerì di chiamare in giudizio coloro che si opponevano agli scritti del Rambam in primis i saggi di Francia: “Quest’anno io intendo spedire delle grandi lettere al nipote del nostro rabbino e ai saggi del Paese d’Egitto e ai capi delle comunità di Babilonia per destare lo spirito e il cuore e per iniziare una guerra contro i saggi del paese di Ashkenaz e della Francia che disapprovano le parole del nostro rabbino (…) e consiglierò un’adunanza nella città di Alessandria che sta sul mare e là terranno consiglio e da lì spediranno i messaggeri (…) e i saggi di Babilonia decideranno su quella cosa (…) e se i saggi della Francia e dell’Ashkenaz si rifiuteranno di venire al posto del giudizio saranno espulsi, anatematizzati e scomunicati in tutte le comunità della Babilonia e dell’Egitto”.
La presenza in San Giovanni d’Acri di David, nipote di Maimonide, cambiò l’equilibrio fino ad allora vigente fra le varie componenti della comunità ebraica, privilegiando gli orientali rispetto agli ashkenaziti. Sebbene in quel tempo la città non subisse nessun mutamento demografico significativo, il predominio degli orientali determinò una rivalutazione delle opere di Maimonide nei programmi didattici delle locali scuole midrashiche.
Un ebreo di origine europea, Solomon ben Samuel, detto Salomon Petit, si oppose al predominio culturale di Maimonide, imputandogli diversi errori dottrinari. David scrisse un esposto a Yshai ben Hizkiah, l’esiliarca residente a Damasco. Yshai minacciò il rabbino Salomon Petit, avvertendolo che qualsiasi tentativo di vilipendere Maimonide e il suo insegnamento avrebbe comportato la scomunica e che sarebbe stato disposto ad adire i tribunali dei gentili nel caso fosse stato necessario al fine di applicare i suoi ordini.
Salomon Petit si rivolse ai non ebrei per trovare sostegno nella sua lotta; oltre a ciò, richiese di raccogliere i documenti ufficiali che proibivano di studiare le opere di Maimonide. Dai capi delle comunità ebraiche di Francia si aspettava una scomunica che impedisse agli ebrei d’Europa e a ai loro discendenti in terra d’Israele di occuparsi delle opere di Maimonide. Dal Papa di Roma si attendeva un editto che proibisse lo studio dei suoi scritti; un tale divieto, se fosse stato reso pubblico, avrebbe avuto serie conseguenze a San Giovanni d’Acri, allora governata dai crociati.
Così sono narrati i fatti in alcune lettere di scomunica che datano al 1286-1289, tramandate dal manoscritto Neofiti 11. A una lettera di scomunica che Yshai Ben Hizkia Hanassi inviò da Damasco nel 1286 (Neofiti 11, fogli 98r-100v), è aggiunto il testo seguente: “Anche noi, la comunità che abita in Safed nell’alta Galilea, deponemmo le nostre armi all’inizio e sostammo presso la tomba del Gaon di santa memoria con alcuni fra i saggi di San Giovanni d’Acri e abbiamo parlato e abbiamo stipulato un accordo, e abbiamo scomunicato ed espulso chiunque avrà disprezzato le nostre parole e l’accordo dei nostri capi e non si sarà convertito con tutto il suo cuore e avrà abbandonato tutto ciò che ha in mano (…) in potere del Nagid, il nostro rabbino David, capo delle Yeshiva del Gaon di santa memoria o in potere dei preferiti dei Negidim o in potere di colui che comanda sotto di lui”.
L’importanza di David ben Abraham nell’istituzionalizzazione della dinastia maimonidea si evince dalla genealogia dei membri della famiglia di Maimonide, da lui redatta – vi indica anche il giorno della propria nascita e della nascita dei propri figli – e parzialmente testimoniata dal Neofiti 11 al foglio 125r.
Aggiungo un altro dettaglio: nel Neofiti 12 vi è una collezione di lettere, in centoventi capitoli distribuiti su centonovantuno fogli, intitolata Il dono della gelosia, di Mari ben Mosè Astruc di Lunel. Essa comprende anche scritti di Solomon ben Abraham Ibn Adret, che nel 1205 aveva lanciato una scomunica contro chi si occupava dello studio della filosofia.
L’escussione del codice Neofiti 11 ci ha permesso di entrare in contatto, di assistere all'”incontro” fra le più disparate comunità ebraiche: in India, Aden, Bagdad, Aleppo, Damasco, Tiberiade, Safed, San Giovanni d’Acri, Gerusalemme, Alessandria, Il Cairo, Roma (l’archivio della Biblioteca Apostolica Vaticana), Venezia, Marsiglia, Genova, Fez, Cordoba, Barcellona, Monopoli, Lunel e le comunità della Francia.
Auspico che tale “incontro” avvenga ancora attraverso la comparazione con quanto è presente nei cataloghi della Bodleian Library di Oxford e della Biblioteca Palatina di Parma. Questi tre cataloghi sono il frutto del lavoro erudito e tenace di un gruppo di ricercatori dell’Institute for Microfilmed Hebrew Manuscripts e della collaborazione internazionale che l’Istituto è riuscito a organizzare nel corso della sua esistenza.
(©L’Osservatore Romano – 18 settembre 2009)