Memorial Church – Cambridge, Massachussets
Oggi mi rivolgo a voi non da Rettore dell’Università (di Harvard n.d.t.), ma come membro della comunità su un argomento che mai avrei creduto potesse diventare così preoccupante — l’antisemitismo.
Sono ebreo, nell’identità, ma non sono un fervente osservante religioso. Durante la mia vita, l’antisemitismo è sempre rimasto lontano dalle mie esperienze. L’intera mia famiglia ha lasciato l’Europa agli inizii del Ventesimo secolo. L’Olocausto rappresenta, per me, una questione storica, non una memoria personale.
Di certo, ci sono stati dei circoli nei quali sono cresciuto, in cui gli ebrei iscritti erano pochi, se non addiritttura assenti, ma nessuno di mia conoscenza. Le mie esperienze al liceo e all’università, come membro di facoltà, funzionario governativo – avevano poca attinenza con la mia religione.
Altresì, sono rimasto colpito, negli anni in cui facevo parte dell’amministrazione Clinton, nel notare che un gruppo leader nell’economia, rappresentato da persone come Robert Rubin, Alan Greenspan, Charlene Barshefsky e molte altre prevalentemente ebraiche, fosse stato accettato senza commenti o far notizia — cosa che sarebbe stata inconcepibile una o due generazioni fa, come sarebbe stato altrettanto inconcepibile, una o due generazioni fa, che Harvard potesse essere presieduta da un Rettore ebreo.
Senza pensarci tanto, ho attribuito tutto questo al progresso — ad un’ascesa dell’illuminismo e della tolleranza. Ho nutrito la convinzione che il pregiudizio fosse stato del tutto emarginato. Ho nutrito la convinzione che, pur se la politica ed il contenzioso del Medio Oriente fossero oltremisura complessi, il diritto dello stato ebraico ad esistere fosse stato pienamente accettato dalla comunità internazionale.
Ma oggi, sono meno convinto. Meno convinto e tranquillo perché sono preoccupato dall’evidenza di un ritorno globale dell’antisemitismo, anche per certi sviluppi più vicini a casa nostra.
Considerate alcuni degli eventi globali dell’anno scorso:
Sono state incendiate delle sinagoghe, assaliti ebrei, oppure delle svastiche sono state dipinte su cimiteri ebraici in ogni paese d’Europa. Gli osservatori di molti paesi hanno rilevato che si sono scatenati i peggiori attacchi contro gli ebrei dalla Seconda Guerra Mondiale.
Candidati che hanno negato l’importanza dell’Olocausto, hanno raggiunto il ballottaggio per l’incarico più alto del loro stato in Francia e Danimarca. Stazioni televisive statali in molte nazioni del mondo hanno vomitato una propaganda antisionista.
La Conferenza Mondiale sul Razzismo organizzata dalle Nazioni Unite — evitando di menzionare la violazione dei diritti umani in Cina, Rwanda, oppure ovunque nel mondo arabo — ha parlato delle politiche di Israele antecedenti agli scontri recenti, riferendosi al governo di Barak come ad un governo responsabile di pulizia etnica e di crimini contro l’umanità. La dichiarazione delle NGO, nella stessa conferenza, è stata addirittura più violenta.
Potrei andare avanti. Ma ora voglio portare la questione più vicino a noi. Naturalmente, le comunità accademiche dovrebbero e dovranno sempre essere luoghi in cui sia possibile esprimere ogni libera opinione. E certamente c’è molto da dibattere sul Medio Oriente e sulla politica estera e di difesa di Israele da poter e dover vigorosamente contestare .
Ma, laddove l’antisemititismo e le opinioni profondamente antiisraeliane erano la prerogativa tradizionale di un incolto populismo di destra, oggi le profonde convinzioni contro Israele stanno aumentando e trovano sostegno nei gruppi intellettuali progressisti. Persone riconosciute per la loro serietà e validità di pensiero rivendicano e propongono azioni che si rivelano antisemite nei loro effetti, se non addirittura negli intenti.
Per esempio:
Centinaia di docenti europei hanno chiesto di interrompere ogni sostegno economico ai ricercatori israeliani, benché non abbiano richiesto lo stesso per i ricercatori di ogni altra nazione.
Studenti israeliani sono stati costretti a lasciare un giornale letterario internazionale, la scorsa primavera.
Nelle stesse manifestazioni in cui i partecipanti condannavano l’FMI (il Fondo Monetario Internazionale, n.d.t.), il capitalismo globale e contestavano la globalizzazione, è diventato normale, e il fenomeno è in aumento, lanciare invettive contro Israele. Infatti, alle manifestazioni contro l’FMI della scorsa primavera, si sono uditi cori scanditi che equiparavano Hitler a Sharon.
Manifestazioni organizzate per accrescere i fondi ad organizzazioni di dubbia fonte politica che, in certi casi, si è poi scoperto appoggiavano il terrorismo, sono state organizzate da associazioni studentesche in questo ed in altri campus.
Alcune di queste associazioni, qui a Harvard, ed in altre Università del paese, hanno richiesto di isolare Israele in campo universitario dal resto del mondo, considerandolo l’unico paese inappropriato per qualsiasi tipo di investimento. Mi sono affrettato a dichiarare che Harvard ha categoricamente respinto tale proposta.
E’ sempre doveroso rispettare la libertà accademica di chiunque assuma una posizione. E’ altrettanto doveroso ricordare che la libertà accademica non include che tale libertà sia esente da critica. L’unico antidoto a simili manifestazioni pericolose sta nell’assumere alternative efficaci.
Durante la mia vita sono sempre stato respinto da coloro che udivano il rumore di vetri rotti, ad ogni insulto o fatto insignificante, e che evocavano le immagini della Notte dei Cristalli di Hitler, ad ogni disaccordo con Israele. Simili timori mi sembravano solo allarmismi o passeggere reazioni isteriche. Ma devo dire che se ancora li considero ingiustificati, questi allarmismi mi sembrano molto meno tali oggi che un anno fa.
Non chiedo di meglio che di essere in errore. La mia più grande speranza e preghiera è che l’espressione di un risorgente antisemitismo riveli la sua profezia di negazione – una predizione che porta con sè i semi della sua stessa falsificazione. Ma questo dipende da tutti noi.
Dal rettore di Harvard, Lawrence H.Summers (Università di Harvard)
17 settembre 2002
Traduzione dall’originale in inglese di Danielle Sussmann Seiteanu