Con la parashà di Devarim, questo shabbat inizieremo la lettura del quinto ed ultimo libro della Torà. Il libro è conosciuto anche con il nome di Deuteronomio o “Mishnè Torà” poiché in esso vengono riassunte le parti fondamentali della vita del popolo durante i quaranta anni di permanenza nel deserto.
Il libro contiene una serie di discorsi ammonitivi che Mosè rivolge al popolo, prima di lasciarlo definitivamente all’ingresso della Terra di Israele.
Questi discorsi sono molto duri, paragonabili a quelli di un padre che prima di morire si rivolge ai propri figli ammonendoli e rammentandogli i momenti in cui hanno avuto un cattivo comportamento, perseguendo una strada non buona.La parashà di Devarim è per eccellenza quella che contiene i discorsi più duri di Mosè, una parashà in cui si mettono in luce le nefandezze ed i continui sbagli del popolo, nonostante gli insegnamenti divini e di Mosè stesso.
Non a caso questo shabbat, cade nelle prossimità del giorno più luttuoso della storia del popolo ebraico– tishà beav – giorno in cui il popolo piange la distruzione del II Tempio di Gerusalemme, giornata simbolo per il coincidente susseguirsi di sciagure, avvenute al nostro popolo nel corso degli anni.
La haftarà che leggeremo inizia con le parole “chazon Jeshajahu – visione di Isaia (Isaia1,1), in cui il profeta ammonisce il popolo ebraico per il suo comportamento che si discosta dai principi della Torà, e che per questo verrà presto punito duramente.
Questo sabato infatti è uno dei pochissimi durante l’anno, che prende il nome dalla haftarà, invece che dalla parashà.;è conosciuto infatti con il nome di “Shabbat chazon – sabato della visione” .
Quest’anno poi, è ancora più particolare, perché il 9 di Av cade proprio di shabbat e, dato che di shabbat è assolutamente proibito fare manifestazioni di lutto, i Maestri hanno deciso che nel caso in cui la data del 9 cada di shabbat, di spostare il digiuno e tutte le manifestazioni di lutto, al giorno seguente.
Infatti, anche nel caso in cui muore una persona cara, lo shabbat interrompe ogni forma di lutto che viene ripresa il giorno seguente.
Di conseguenza anche tutte le forme di lutto previste nella settimana di tishà beav, ossia dal sabato precedente ad esso, quest’anno non debbono essere osservate in quanto appena termina lo shabbat inizia il digiuno e quindi non vi è il tempo necessario, secondo il rito Italiano e sefardita per mettere in pratica questo uso.
Questo vale anche per l’uscita del digiuno poiché, essendo le fiamme del rogo del Tempio diminuite solo il mezzogiorno del 10, fino a quel momento è proibito radersi, tagliarsi i capelli e mangiare carne, mantenendo quindi il lutto fino a parte del giorno seguente.
Essendo però il giorno seguente il digiuno, già l’11 del mese, tutto termina con la fine del digiuno stesso, all’infuori del mangiare la carne la sera stessa in cui termina, a causa del lutto della giornata.
E’ importante iniziare il digiuno che sia ancora giorno, quindi un’ora prima del termine di shabbat e cioè alle ore 20, 35, ma è permesso mangiare carne e bere vino a volontà per prendere il digiuno (a differenza degli altri anni), poiché è shabbat.
Possa il Signore D-o Benedetto ricompensarci del nostro lutto per Gerusalemme facendoci gioire nel vedere la sua ricostruzione
Shabbat shalom