La parasha’ di questo shabbat dà inizio al quinto ed ultimo libro della Torà, e ne prende appunto il nome. Il libro di Devarim è anche conosciuto con l’appellativo di “Mishne’ Tora’” o dal greco Deuteronomio.
Nel libro sono contenuti una serie di discorsi che Mosè rivolge al popolo prima di accomiatarsi definitivamente.
Le raccomandazioni sono in funzione del comportamento, molte volte scorretto, che il popolo ha avuto durante i quaranta anni di permanenza nel deserto e sono fortemente legati alla Terra di Israele e alla vita su quella Terra.
Forse per questo motivo, questa parashà coincide sempre con il sabato che precede il digiuno di tishà’ be av – il giorno più luttuoso della storia del nostro popolo.
Tishà’ be av infatti commemora non una sola disgrazia avvenuta al popolo ebraico nel corso dei millenni, ma le più svariate sciagure che si sono abbattute sugli ebrei nel corso della nostra storia e tutte coincidono più o meno con questa nefasta data.
Il primo ed il secondo Tempio di Gerusalemme furono distrutti il 9 di Av, rispettivamente dai babilonesi e dai romani con le relative diaspore.
Lo stesso giorno nel 1492, Ferdinando di Castiglia e Isabella d’Aragona – la cattolica, decretarono l’espulsione degli Ebrei dal loro Regno. Iniziò ancora un’altra diaspora, e tante altre sciagure avvenute.
Durante la settimana che precede il digiuno – che inizia al tramonto di lunedì’ e termina con l’uscita delle stelle di martedì sera – è proibito fare e partecipare a qualsiasi tipo di festa o manifestazione mondana; ci si astiene dal mangiare carne, dal radersi la barba e tagliarsi i capelli.
Durante la giornata sono proibite cinque azioni specifiche: mangiare e bere, lavarsi e profumarsi, indossare scarpe di cuoio, avere rapporti coniugali, salutarsi.
Chiaramente è proibito radersi il giorno stesso, studiare Torà come segno di lutto e, secondo la nostra tradizione, quella ashkenazita e buona parte di quella sefardita, durante la preghiera della mattina, non si indossa il taled e i tefillin, che verranno poi indossati durante la preghiera del pomeriggio – minchà- che viene recitata preferibilmente nelle primissime ore.
E’ uso seguire la preghiera serale a lume di candela, la quale dopo la tefillà dovrà essere custodita come buon segno, per accendere, quando sarà il momento, la lampada di chanuccà.
Questo come augurio in base a ciò che è scritto: “meafelà le orà – dalle tenebre alla luce”.
Possano tutti coloro che fanno lutto per Gerusalemme, gioire per la sua ricostruzione.
Shabbat shalom