Purim è l’unica festa con due date diverse a seconda della città in cui si festeggia
Dal momento in cui Purim fu istituito, furono fissate due date diverse per la sua celebrazione. Secondo il racconto della Meghillà(cap. 9), il giorno scelto per il massacro degli ebrei doveva essere il 13 di Adar; in quel giorno gli ebrei ricevettero il diritto di difendersi e il giorno dell’annunciato massacro si trasformò in quello di una battaglia vinta; a suo ricordo in quel giorno si fa il digiuno di Ester. Il giorno successivo, 14 di Adar, si festeggia Purim. A Shushan, Susa, la capitale dell’impero, la battaglia durò ancora un giorno, il 14, per cui la festa per la salvezza fu fatta il 15. Da allora Susa fa Purim il 15 e le altre città il 14.
I Maestri non vollero lasciare sola Susa e decisero che in onore della terra d’Israele altre città di nobile storia dovessero celebrare con lei il 15. Il criterio adottato fu di includere tutte le città, sia in terra d’Israele che ovunque nel mondo, che potessero vantare una cinta muraria dai tempi di Giosuè (Sh. ‘Ar. Orach Chayym 688). In base a questo criterio da sempre Gerusalemme festeggia il 15, altre città di Israele (Jafo, Ako, Tiberiade) sono in posizione dubbia.
Ma cosa succede in Italia? Sembrerebbe che nessuna città italiana possa rispondere ai requisiti della regola rabbinica. Giosuè entrò in terra di Israele, secondo i calcoli basati sulle informazioni della Bibbia, nel 2488 dalla creazione (quaranta anni dopo il Decalogo, TB AZ 9a), che corrisponde al 1272 prima dell’era volgare. E’ la tarda età del bronzo, in cui in altre regioni del mondo esistevano città cinte di mura, ma in Italia forse ancora no. Un’eccezione potrebbe essere il nord est, con la cultura detta dei castellieri che hanno lasciato resti di fortificazioni, specialmente in Istria. Sembra che qualcosa ascrivibile a questa cultura sia stato trovato di recente ad Udine, che fu rifondata molto più tardi e che se le cose venissero dimostrate potrebbe essere l’unica città italiana a dover fare il Purim Shushan. Altri tipi di mura, dette ciclopiche per le dimensioni delle pietre, circondano molti siti italiani, ma questo tipo di fortificazioni che altrove possono essere antiche fu introdotto in Italia molto più tardi (VI sec. av. EV).
Contro questi dati c’è una tradizione molto strana che identifica una città italiana come cintata di mura dai tempi di Giosuè, ed è la città di Ravenna, dove però non c’è apparentemente alcuna traccia di insediamenti così remoti. La fonte di questa informazione è in una nota del libro di Marco Mortara, Indice Alfabetico dei rabbini e scrittori di cose giudaiche in Italia, Padova 1886. Mortara quando scrisse il libro era l’anziano rabbino di Mantova; suo figlio sarebbe diventato Ministro di Grazia e Giustizia del Regno. Alla voce Graziano Abram Josef Salomon ben Mordechai, a pag 28, Mortara si dilunga su questo rabbino di Modena, morto nel 1685, che è perloppiù noto come collezionista di libri e manoscritti segnati con la sua sigla Ish Ger; in nota 1 cita una sua annotazione in ebraico a SH. Arukh 688:1, che traduco: «Ricordo che il pio saggio R. Azriel Graziano… mi disse che per la città di Ravenna, che è nella regione Lamarca, quegli ebrei hanno una memoria, su una lapide di marmo, che fosse circondata di mura dai tempi di Giosuè bin Nun; e mio zio abitava vicino a quella città con il padrone di una bottega, e leggevano la Meghillà il 15 di Adar e così era scritto in quella lapide: “Ricordo di come la città di Ravenna era circondata da mura dai tempi di Giosuè bin Nun”».
Questa curiosità fu segnalata nella stampa ebraica italiana all’inizio del secolo scorso con una richiesta di chiarimenti, che mai arrivarono. Chissà se qualcuno oggi può contribuire al dibattito con qualche novità.