Sergio Sierra z”l
In occasione dell’anniversario della scomparsa del grande maestro italiano
La mizvà della Chanuccà, cioè l’accensione della tradizionale lampada di Chanuccà, è legata ad uno dei più fulgidi episodi di eroismo e di resistenza del popolo ebraico. Gli uomini giustamente onorano ed esaltano l’eroismo per la patria, per la libertà, per un ideale. Per questa ragione negli annali della storia d’Israele la lotta che si combatté contro l’assolutismo politico di un regnante ellenista, ha assunto un valore imperituro divenendo simbolo e nobile testimonianza di sacrificio e di martirio per affermare contro tutto e contro tutti una concezione ideale della vita umana.
Dopo la morte di Alessandro Magno il suo vasto impero si divise. Mentre Seleuco, generale del grande Macedone, si proclamava signore della Siria, dell’Asia Minore e della Mesopotamia, la terra d’Israele diveniva preda di Tolomeo, un altro generale che si era assicurato la dominazione dell’Egitto.
Ancora una volta, come ai tempi dei Faraoni e dei potenti re Assiro-babilonesi la Palestina diviene l’anello di congiunzione e il terreno di rivalità tra due grandi potenze, tanto che ora fa parte del Regno Ellenistico d’Egitto, ora di quello Siriaco.
Quando Antioco II, il Grande, caccia gli Egiziani dalla Palestina, questa diviene la sfera d’azione del dominio dei Selèucidi, i più appassionati fautori dell’ellenizzazione sia pacifica che violenta dell’Oriente. Tutta la regione che circonda la Giudea subisce così un processo sempre più intenso di ellenizzazione.
La lingua, il commercio, i costumi greci attraversano l’Oriente e ne abbattono i vecchi confini: la Grecia si appresta cioè a ridurre l’Oriente a sua unitaria e culturale creazione.
Anche nella terra d’Israele il processo di ellenizzazione diviene man mano sempre più intenso. Alcune classi sociali del popolo ebraico, sotto la stringente pressione della nuova forza politica, e, per interna decadenza, vengono attirate e tentate dagli aspetti più materialistici dell’insidia ellenica nel paese. Specialmente gli elementi appartenenti alla classe aristocratica vengono allettati dalle emozioni, dai piaceri, dall’eleganza del vestiario, dai teatri, dalle rappresentazioni popolari, dalle gare ginniche; ma il processo d’imitazione non rimane allo stadio esteriore ed inoffensivo, diviene lentamente, ma inesorabilmente, una vera e propria assimilazione della morale.
Spettò così alla Terra d’Israele, assai più che gli splendori della cultura, sperimentare l’Ellenismo quando assunse una delle più violente forme di proselitismo.
Fu allora che avvenne la reazione e la piccola Palestina si oppose fieramente, con tutta la sua forza, all’invadente religione dell’Olimpo per difendere i suoi valori minacciati.
Dopo che era salito al trono di Siria Antioco IV, autodefinendosi Epìfane, cioè “Illuminato”, e chiamato volentieri dal popolo con l’epiteto di Epìmane – “il pazzo”», la reazione politica assunse caratteri così violenti ed esasperanti che non tardò a scoppiare la rivolta del popolo ebraico il quale insorse a difesa di ciò che costituiva il senso della sua vita interiore.
Il tiranno ellenista, con l’aiuto di una classe di rinnegati, violentò Israele nelle cose che più gli erano care: sotto pena di morte proibì agli ebrei la santificazione del Sabato e di altre feste ebraiche, proibì l’esercizio di importanti precetti religiosi, vietò lo studio dei libri sacri dell’Ebraismo e ne ordinò la distruzione. Giunse perfino a profanare il Santuario di Gerusalemme – centro della vita spirituale ebraica – facendovi erigere il simulacro di Giove Olimpico. Nell’anno 167 a.E.V., per la prima volta, furono offerti nel Tempio di Gerusalemme dei sacrifici alla divinità pagana.
Se non pochi furono i deboli che piegarono il capo e l’animo sotto la veemenza dei colpi dell’oppressione, molti furono tuttavia coloro che affrontarono il martirio per assicurare imperitura vita agli ideali ebraici.
Sono ormai personaggi leggendari nella storia del martirologio ebraico: Eleazar, vecchio di 90 anni, che preferì la morte piuttosto che trasgredire – sia pure in apparenza – un precetto religioso dell’Ebraismo; Hannà, l’eroica e dolorosa madre che, dopo aver assistito al martirio dei suoi sette figli, si tolse la vita. Ma gli ultimi sospiri dei martiri sembravano trasformarsi in tuoni forieri di un temporale non lontano. Offesi nella loro dignità umana anche gli uomini divennero leoni ruggenti, ed un popolo, che pur sempre aveva preferito rifuggire dalla guerra, in quel periodo, divenne un popolo unito e cosciente della lotta che intraprendeva, fu pronto a difendere la sua idea e la libertà di vivere secondo le sue concezioni spirituali. Nel momento del tremendo pericolo la coscienza di un popolo, educato per secoli dai suoi Profeti e dai suoi Maestri secondo un sistema di vita fondato sulle norme morali della Bibbia, affermò la sua volontà di resistenza all’ideologia pagana profondamente diversa dai suoi ideali.
La rivolta scoppiò violenta – nel 165 a.E.V. – a Modiìn, un piccolo villaggio montano vicino a Gerusalemme.
Narra il libro dei Maccabei che Mattatià figlio di Johannan, sacerdote della famiglia degli Asmonei, respinse indignato l’invito degli emissari reali che proponevano proprio a lui persona ragguardevole e stimata da tutti nel paese – di rinnegare pubblicamente la fede dei suoi padri. Fu Mattatià che diede inizio alla rivolta chiamando alla riscossa i suoi concittadini. Da allora tutti gli oppressi fanno alleanza, tutti coloro che non avevano smarrito la coscienza del proprio essere si raccolgono sotto il vessillo degli Asmonei.
Quando muore il vecchio sacerdote è suo figlio Jehudà che prende il comando dei combattenti il cui numero aumenta di giorno in giorno: egli martella incessantemente le truppe dell’invasore e le sconfigge dopo una dura guerriglia ed aspri combattimenti.
Il 25 del mese ebraico di Chislèv dell’anno 164 a.E.V. gli ebrei poterono restaurare il Tempio profanato; di qui derivò il nome della festa, Chanuccà, cioè restaurazione e purificazione delle cose sacre. Vuole la tradizione che un’ampolla d’olio puro, che cli solito serviva a far ardere la lampada davanti all’ara del Tempio per un solo giorno, questa volta bastasse per otto giorni. In omaggio alla tradizione, ma soprattutto per ricordare le gloriose vittorie dei Maccabei – gli eroi che guidarono la rivolta contro l’invasore ellenico, nelle case ebraiche e nelle Sinagoghe di tutto il mondo, si accendono per otto giorni i lumi di una lampada tradizionale, assolvendo così alla mizvà della Chanuccà. La festa di Chanuccà celebra non soltanto la purificazione contro i nemici esterni, ma anche contro i nemici interni. Celebra infatti la lotta vittoriosa della maggioranza contro una minoranza potente che, per mantenere i propri privilegi sociali, non esitò a sacrificare i genuini valori spirituali della sua gente. Secondo questa prospettiva possiamo dire che quella lotta segnò la vittoria del principio democratico sopra quello aristocratico.
Le luci della festa di Chanuccà risplendono da vent un secoli, ogni anno, per commemorare il primo sci-io tentativo storico effettuato da un popolo per difendere il diritto di vivere e di governarsi secondo i propri ideali cd aspirazioni. Per questo – nel suo umano significato Chanuccà non soltanto ha un carattere nazionale, ma ha pole un valore universale, poiché, più che celebrate la conseguita indipendenza di una nazione, esalta il diritto alla libertà di tutte le nazioni e condanna ogni sistema cii governo che pretenda fondarsi sull’intolleranza politica e spirituale. Israele, allora, “difese il principio secondo il quale in ogni società eterogenea la funzione dello Stato è quello di conglobare e non di sottomettere le culture che entrano a far parte della sua compagine”.
Per quanto quella lotta, combattuta più di duemila anni or sono, fosse ispirata ad una situazione propria ad un solo popolo, essa era gravida di conseguenze universali. Infatti se il popolo ebraico avesse ceduto allora alla violenza e alla persecuzione del monarca ellenista, avrebbe chiuso la sua storia nel II sec. a.E.V. e l’ideale monoteistico – succube del paganesimo – non avrebbe conquistato gli spiriti dell’Occidente.
Le fiammelle di Chanuccà, dunque, illuminano la resistenza di un popolo che, insidiato dalla tirannide, custodisce il fuoco dell’Idea e della fede e trasmette, intatto, agli uomini il tesoro morale e spirituale della Bibbia; un popolo che si rifugia sulle montagne per difendere i suoi ideali di vita e prepara il suo riscatto col sacrificio e con il martirio.
In questi lumi brillano non soltanto le vittorie degli eroi Maccabei, ma la passione di tutta una gente che, insieme al suo sacrosanto diritto alla vita e alla sua autonomia spirituale, difese soprattutto – per se stessa e per l’Umanità – la sostanza del suo ideale etico-religioso: l’unità di Dio e l’unità del genere umano.
La mizvà della Chanuccà, cioè l’accensione della tradizionale lampada di Chanuccà, è legata ad uno dei più fulgidi episodi di eroismo e di resistenza del popolo ebraico.
Gli uomini giustamente onorano ed esaltano l’eroismo per la patria, per la libertà, per un ideale. Per questa ragione negli annali della storia d’Israele la lotta che si combatté contro l’assolutismo politico di un regnante ellenista, ha assunto un valore imperituro divenendo simbolo e nobile testimonianza di sacrificio e di martirio per affermare contro tutto e contro tutti una concezione ideale della vita umana.
Dopo la morte di Alessandro Magno il suo vasto impero si divise.
Mentre Seleuco, generale del grande Macedone, si proclamava signore della Siria, dell’Asia Minore e della Mesopotamia, la terra d’Israele diveniva preda di Tolomeo, un altro generale che si era assicurato la dominazione dell’Egitto.
Ancora una volta, come ai tempi dei Faraoni e dei potenti re Assiro-babilonesi la Palestina diviene l’anello di congiunzione e il terreno di rivalità tra due grandi potenze, tanto che ora fa parte del Regno Ellenistico d’Egitto, ora di quello Siriaco.
Quando Antioco II, il Grande, caccia gli Egiziani dalla Palestina, questa diviene la sfera d’azione del dominio dei Selèucidi, i più appassionati fautori dell’ellenizzazione sia pacifica che violenta dell’Oriente. Tutta la regione che circonda la Giudea subisce così un processo sempre più intenso di ellenizzazione.
La lingua, il commercio, i costumi greci attraversano l’Oriente e ne abbattono i vecchi confini: la Grecia si appresta cioè a ridurre l’Oriente a sua unitaria e culturale creazione.
Anche nella terra d’Israele il processo di ellenizzazione diviene man mano sempre più intenso. Alcune classi sociali del popolo ebraico, sotto la stringente pressione della nuova forza politica, e, per interna decadenza, vengono attirate e tentate dagli aspetti più materialistici dell’insidia ellenica nel paese. Specialmente gli elementi appartenenti alla classe aristocratica vengono allettati dalle emozioni, dai piaceri, dall’eleganza del vestiario, dai teatri, dalle rappresentazioni popolari, dalle gare ginniche; ma il processo d’imitazione non rimane allo stadio esteriore ed inoffensivo, diviene lentamente, ma inesorabilmente, una vera e propria assimilazione della morale.
Spettò così alla Terra d’Israele, assai più che gli splendori della cultura, sperimentare l’Ellenismo quando assunse una delle più violente forme di proselitismo.
Fu allora che avvenne la reazione e la piccola Palestina si oppose fieramente, con tutta la sua forza, all’invadente religione dell’Olimpo per difendere i suoi valori minacciati.
Dopo che era salito al trono di Siria Antioco IV, autodefinendosi Epìfane, cioè “Illuminato”, e chiamato volentieri dal popolo con l’epiteto di Epìmane – “il pazzo”», la reazione politica assunse caratteri così violenti ed esasperanti che non tardò a scoppiare la rivolta del popolo ebraico il quale insorse a difesa di ciò che costituiva il senso della sua vita interiore.
Il tiranno ellenista, con l’aiuto di una classe di rinnegati, violentò Israele nelle cose che più gli erano care: sotto pena di morte proibì agli ebrei la santificazione del Sabato e di altre feste ebraiche, proibì l’esercizio di importanti precetti religiosi, vietò lo studio dei libri sacri dell’Ebraismo e ne ordinò la distruzione. Giunse perfino a profanare il Santuario di Gerusalemme – centro della vita spirituale ebraica – facendovi erigere il simulacro di Giove Olimpico. Nell’anno 167 a.E.V., per la prima volta, furono offerti nel Tempio di Gerusalemme dei sacrifici alla divinità pagana.
Se non pochi furono i deboli che piegarono il capo e l’animo sotto la veemenza dei colpi dell’oppressione, molti furono tuttavia coloro che affrontarono il martirio per assicurare imperitura vita agli ideali ebraici.
Sono ormai personaggi leggendari nella storia del martirologio ebraico: Eleazar, vecchio di 90 anni, che preferì la morte piuttosto che trasgredire – sia pure in apparenza – un precetto religioso dell’Ebraismo; Hannà, l’eroica e dolorosa madre che, dopo aver assistito al martirio dei suoi sette figli, si tolse la vita. Ma gli ultimi sospiri dei martiri sembravano trasformarsi in tuoni forieri di un temporale non lontano. Offesi nella loro dignità umana anche gli uomini divennero leoni ruggenti, ed un popolo, che pur sempre aveva preferito rifuggire dalla guerra, in quel periodo, divenne un popolo unito e cosciente della lotta che intraprendeva, fu pronto a difendere la sua idea e la libertà di vivere secondo le sue concezioni spirituali. Nel momento del tremendo pericolo la coscienza di un popolo, educato per secoli dai suoi Profeti e dai suoi Maestri secondo un sistema di vita fondato sulle norme morali della Bibbia, affermò la sua volontà di resistenza all’ideologia pagana profondamente diversa dai suoi ideali.
La rivolta scoppiò violenta – nel 165 a.E.V. – a Modiìn, un piccolo villaggio montano vicino a Gerusalemme.
Narra il libro dei Maccabei che Mattatià figlio di Johannan, sacerdote della famiglia degli Asmonei, respinse indignato l’invito degli emissari reali che proponevano proprio a lui persona ragguardevole e stimata da tutti nel paese – di rinnegare pubblicamente la fede dei suoi padri. Fu Mattatià che diede inizio alla rivolta chiamando alla riscossa i suoi concittadini. Da allora tutti gli oppressi fanno alleanza, tutti coloro che non avevano smarrito la coscienza del proprio essere si raccolgono sotto il vessillo degli Asmonei.
Quando muore il vecchio sacerdote è suo figlio Jehudà che prende il comando dei combattenti il cui numero aumenta di giorno in giorno: egli martella incessantemente le truppe dell’invasore e le sconfigge dopo una dura guerriglia ed aspri combattimenti.
Il 25 del mese ebraico di Chislèv dell’anno 164 a.E.V. gli ebrei poterono restaurare il Tempio profanato; di qui derivò il nome della festa, Chanuccà, cioè restaurazione e purificazione delle cose sacre. Vuole la tradizione che un’ampolla d’olio puro, che cli solito serviva a far ardere la lampada davanti all’ara del Tempio per un solo giorno, questa volta bastasse per otto giorni. In omaggio alla tradizione, ma soprattutto per ricordare le gloriose vittorie dei Maccabei – gli eroi che guidarono la rivolta contro l’invasore ellenico, nelle case ebraiche e nelle Sinagoghe di tutto il mondo, si accendono per otto giorni i lumi di una lampada tradizionale, assolvendo così alla mizvà della Chanuccà. La festa di Chanuccà celebra non soltanto la purificazione contro i nemici esterni, ma anche contro i nemici interni. Celebra infatti la lotta vittoriosa della maggioranza contro una minoranza potente che, per mantenere i propri privilegi sociali, non esitò a sacrificare i genuini valori spirituali della sua gente. Secondo questa prospettiva possiamo dire che quella lotta segnò la vittoria del principio democratico sopra quello aristocratico.
Le luci della festa di Chanuccà risplendono da vent un secoli, ogni anno, per commemorare il primo sci-io tentativo storico effettuato da un popolo per difendere il diritto di vivere e di governarsi secondo i propri ideali cd aspirazioni. Per questo – nel suo umano significato Chanuccà non soltanto ha un carattere nazionale, ma ha pole un valore universale, poiché, più che celebrate la conseguita indipendenza di una nazione, esalta il diritto alla libertà di tutte le nazioni e condanna ogni sistema cii governo che pretenda fondarsi sull’intolleranza politica e spirituale. Israele, allora, “difese il principio secondo il quale in ogni società eterogenea la funzione dello Stato è quello di conglobare e non di sottomettere le culture che entrano a far parte della sua compagine”.
Per quanto quella lotta, combattuta più di duemila anni or sono, fosse ispirata ad una situazione propria ad un solo popolo, essa era gravida di conseguenze universali. Infatti se il popolo ebraico avesse ceduto allora alla violenza e alla persecuzione del monarca ellenista, avrebbe chiuso la sua storia nel II sec. a.E.V. e l’ideale monoteistico – succube del paganesimo – non avrebbe conquistato gli spiriti dell’Occidente.
Le fiammelle di Chanuccà, dunque, illuminano la resistenza di un popolo che, insidiato dalla tirannide, custodisce il fuoco dell’Idea e della fede e trasmette, intatto, agli uomini il tesoro morale e spirituale della Bibbia; un popolo che si rifugia sulle montagne per difendere i suoi ideali di vita e prepara il suo riscatto col sacrificio e con il martirio.
In questi lumi brillano non soltanto le vittorie degli eroi Maccabei, ma la passione di tutta una gente che, insieme al suo sacrosanto diritto alla vita e alla sua autonomia spirituale, difese soprattutto – per se stessa e per l’Umanità – la sostanza del suo ideale etico-religioso: l’unità di Dio e l’unità del genere umano.
Da “Il valore etico delle mizvot”
Grazie a A.M. Rabello