Centenario del tempio di Roma, in sinagoga anche islamici
Magdi Allam
ROMA – Per la prima volta in modo così formale ed esplicito tre esponenti delle comunità islamiche hanno messo piede nella sinagoga di Roma. Sarebbe tuttavia enfatico parlare di svolta storica nei difficili rapporti religiosi e politici tra musulmani ed ebrei. Perché in due, Mario Scialoja e Omar Camiletti, sottolineano di esserci andati a titolo personale. Il terzo, Abd al Wahid Pallavicini, è il presidente della Coreis (Comunità religiosa islamica italiana), una piccola anche se influente associazione. E tutti e tre sono italiani convertiti all’Islam. Mentre il 97% dei musulmani sono immigrati. Principale assente è un rappresentante ufficiale della Grande moschea di Roma.
Per non parlare del boicottaggio scontato di chi, come l’Ucoii (Unione delle comunità e organizzazioni islamiche in Italia), pretende di rappresentare la maggioranza dei musulmani nel nostro Paese. E che nei confronti degli ebrei mantiene un veto ideologico. Mistero sugli ambasciatori del Marocco e della Giordania. Avevano confermato la loro partecipazione ma nessuno li ha visti. Di sicuro era assente l’ambasciatore dell’Egitto che ha declinato l’invito. Ecco perché la cerimonia commemorativa del centenario del Tempio Maggiore verrà probabilmente ricordata come il primo passo nella strada di un dialogo tutta in salita.
Certamente l’attesa della comunità ebraica era elevata. I tre esponenti islamici sono stati fatti accomodare in prima e seconda fila, al fianco di cardinali, ambasciatori e alte cariche istituzionali. «Ci sono andato a titolo personale», chiarisce Scialoja, «E’ un evento romano e italiano. Non ho neanche pensato di chiedere l’autorizzazione alla Lega Musulmana Mondiale» (di cui è il presidente in Italia, ndr ). Con Scialoja affrontiamo la questione più scottante: «Mi avrebbe fatto piacere che la Grande moschea di Roma fosse stata rappresentata a livello ufficiale», ammette.
Rilevo un fatto singolare. Ventiquattr’ore prima della cerimonia in sinagoga è ripartito definitivamente per il Cairo l’imam Abdulwahab Hussein Gomaa, allontanato all’improvviso perché troppo moderato. Soltanto oggi, 24 ore dopo la cerimonia, si insedierà il nuovo imam Mahmoud Hammad Sheweita, che aveva già ricoperto dignitosamente questo incarico a Roma. «E’ una pura coincidenza – assicura Scialoja -, non credo proprio che l’assenza dell’imam nella giornata di domenica fosse premeditata per sollevarlo dalla presenza in sinagoga».
«Mi hanno accolto in modo eccezionale. Sono stato abbracciato da decine di ebrei. Gente comune. Romani come me. Cittadini della mia stessa città», confessa emozionato Camiletti. «Non è ammissibile vivere come negli anni Trenta. Non possiamo vedere le persone in uniforme. Bisogna vedere i cuori». E ancora: «Nel Corano non c’è nessuna maledizione degli ebrei. E’ gente del Libro. La Torah è citata nel Corano. Bisogna andare al di là degli schemi. Io la penso come San Francesco, Maimonide e il Saladino. Loro avevano capito che la guerra non può durare all’infinito. Già parlarsi significa tanto. Significa che non siamo estranei. Possiamo essere in disaccordo. Ma non nemici».
Camiletti, che è un funzionario della Grande moschea di Roma ma ha partecipato alla cerimonia a titolo personale, manifesta il suo turbamento interiore: «Dentro la sinagoga non potevo dimenticare le sofferenze dei palestinesi. Però c’è un momento in cui gli ebrei devono essere visti come esseri umani, credenti nell’unico Dio. Con cui si può parlare. Se tu li trasformi in nemici, se neghi la loro umanità, allora li puoi solo ammazzare. Salvaguardiamo invece la nostra e la loro umanità».
Il più euforico è lo sheikh Pallavicini: «La cerimonia in sinagoga è l’apoteosi delle nostre speranze di un riavvicinamento delle grandi religioni abramitiche». Un traguardo che, a suo avviso, «solo noi musulmani italiani possiamo conseguire perché meglio di altri conosciamo le leggi e i valori italiani». La Coreis da anni mira a stipulare un’intesa con lo Stato italiano a nome dei musulmani. Scontrandosi con l’ostacolo della scarsa rappresentatività. Un problema irrisolto. Probabilmente irrisolvibile. E che la cerimonia per il centenario della sinagoga di Roma ha nuovamente evidenziato.
24 maggio 2004