Yehoshua ci invita a scoprire Shemuel Yosef Agnon, premio Nobel nel 1966, capostipite della letteratura ebraica moderna: nel suo romanzo “Appena ieri” una vitale dialettica tra laicità, fede e arte
Abraham B. Yehoshua
Alcune fra le opere di Shemuel Yosef Agnon, vissuto fra il 1888 e il 1970, sono già state tradotte in italiano. Ma la mia impressione è che, purtroppo, questo scrittore così importante nel contesto ebraico, premio Nobel per la letteratura nel 1966 nonché, almeno secondo la mia modesta opinione, uno fra i più significativi e originali autori della letteratura universale nel Novecento, sia ancora pressoché sconosciuto al pubblico dei lettori italiani. Appena ieri è ritenuto da molti il romanzo più importante di Agnon e l’opera più significativa nella storia della letteratura ebraica del XX secolo. È stato pubblicato in Terra d’Israele nel 1945, cioè prima della fondazione dello Stato ebraico.
Con una pazienza epica, ricca di ispirazione, vi si narrano le vicende di un giovane ebreo di nome Isacco Kumer, che dalla Galizia arriva in Terra d’Israele all’inizio del XX secolo nei panni dell’ardente sionista ansioso di dedicarsi al lavoro manuale e rigenerare la nazione ebraica nella patria avita; ma queste sue aspirazioni unite al destino e al suo personale conflitto interiore fra laicità e vita religiosa, lo conducono infine a legarsi a una ragazza che proviene da una famiglia ultraortodossa di Gerusalemme, dove il nostro eroe andrà incontro a un destino tanto tragico e tanto strano.
Che cosa contraddistingue Shemuel Yosef Agnon dagli altri scrittori in ebraico suoi contemporanei? Secondo me, una combinazione particolare e rara di artista legato, per coscienza e cultura, alla civiltà e alla letteratura europea classica, e al tempo stesso di credente nella fede ebraica e osservante dei precetti, in assidua frequentazione di quei giacimenti testuali che costituiscono la tradizione d’Israele.
Considero particolare questa combinazione, perché il nesso tra fede religiosa e creatività artistica nelle sue forme più diverse è sempre stato problematico, per l’ebraismo. Molto diversamente dal cattolicesimo, che ha assegnato una valenza rituale alla pittura e alla scultura, alla musica e alla letteratura, gli spazi di attività artistica nel contesto della fede ebraica sono sempre stati molti angusti. Mentre l’attività artistica esige libertà, la religiosità che governava i fedeli ebrei dispersi in tutto il mondo e sottoposti a regimi stranieri ha reso possibile solo uno stile di vita rigoroso e delimitato da una disciplina interiore tesa costantemente all’osservanza religiosa nel contesto chiuso della comunità, dove la libertà creativa era alquanto limitata. Solo a partire dalla metà del XIX secolo, quando per l’ebraismo è cominciato il processo di emancipazione, è esplosa di colpo una potente, impressionante energia creativa rimasta repressa per secoli e secoli. Per questo ci stupisce tanto il gran numero di artisti ebrei in tutti i campi, nel corso di questi ultimi duecento anni.
Più di tutti gli scrittori e i poeti di prima e dopo di lui, Agnon è riuscito a stabilire una complessa dialettica fra l’antica cultura ebraica e le tensioni della modernità. La sua opera attinge tanto alla tradizione ebraica quanto ai modelli europei di scrittura nelle sue varie forme, e si dispiega lungo ben sessant’anni. La sua lingua tutta particolare, tanto da essere definita come «agnonica», non è solo un tramite, piuttosto una forma espressiva unica carica di mistero, ricca di voci, humour e ironia, causticità, di frasi composte da un’affermazione e dal suo contrario, di relativismo e uso «sovversivo» delle fonti. Per questo Agnon si rivela sempre un’esperienza eccitante e una sfida per i lettori, gli studiosi e i creativi, e continua a essere una fonte di ispirazione per chiunque.
Ebreo religioso, Agnon non soltanto incarna un’eccezione nel panorama smaccatamente laico della letteratura ebraica, ma esprime anche l’immenso potenziale che possiede l’incontro fra la fede ebraica e l’arte. Un incontro che è ancora tutto da sviluppare. La multiforme produzione di Agnon comprende racconti brevi, novelle e romanzi, in un ampio spettro di forme espressive che spaziano dal realismo puro sino alla fantasia più sconfinata. I diversi luoghi e tempi – tortuosamente legati alla biografia personale di Agnon – in cui si svolgono le sue trame, non compromettono il tratto identificativo del grande scrittore, che è riuscito a calarsi negli abissi dell’animo individuale e nazionale, dando a tutto ciò un’espressione artistica irripetibile.
Appena ieri è stato scritto quasi tutto durante la seconda guerra mondiale. A prima vista ciò può sembrare un poco strano: mentre una larga parte del suo popolo veniva sterminata, e più che mai in quell’Europa dell’Est in cui egli era nato e che ben conosceva, lo scrittore nazionale sceglie di rivolgere lo sguardo indietro, verso l’inizio del secolo XX, per affrontare con questo romanzo epico dal ritmo largo e fitto di dettagli storici impeccabili, le radici del sionismo e l’intima dialettica fra concezioni nazionali laiche e codici religiosi. La scelta di un protagonista passivo e in un certo senso sprovveduto, ma soprattutto non intellettuale, ha permesso allo scrittore di guardare alle cose attraverso i fatti e gli eventi, e non le idee astratte.
La tensione narrativa si muove nel romanzo fra due città agli antipodi malgrado siano distanti soltanto una sessantina di chilometri. Per un verso Giaffa (che diventerà poi Tel Aviv, e con il passar degli anni esprimerà l’energia laica d’Israele) e per l’altro Gerusalemme, la città storica che concentra in sé così tanti simboli religiosi. Il fatto che in questo romanzo Gerusalemme finisca per conquistare il nostro eroe sionista, il quale preferisce come moglie una fanciulla gerosolimitana religiosa a una donna telaviviana emancipata, è in fondo una sorta di presagio del futuro: a distanza di sessantacinque anni, il sionismo laico sta di fatto ancora conducendo la sua battaglia ideologica e politica contro quegli ambienti religiosi secondo cui non esisterebbe alcun Israele senza la Torah.
A metà del libro c’è poi in serbo per i lettori una sorpresa: la figura di un cane randagio di nome Balac che accompagnerà Isacco Kumer in veste di coprotagonista. Incastonare in un romanzo decisamente realistico una tale misura di surreale e fantastico – in figura di cane randagio che Isacco Kumer, in quel momento imbianchino, lega a sé pennellandogli sul pelo le parole «cane matto» –, è stato da parte dello scrittore un atto di coraggio, una sfida. Diversamente dal protagonista del romanzo, il cane Balac non è né passivo né taciturno, bensì loquace, pieno di pensieri e dotato di una coscienza storica e mitologica, oltre che di un’acuta prospettiva sociologica. In veste di cane, è libero di vagare per tutti i quartieri di Gerusalemme, ebraici e non, tratteggiando questi luoghi e i loro abitanti con assoluta libertà.
Chi è questo animale che fa irruzione in un romanzo tanto realistico? Che ruolo ha? Che cosa esprime? Il «cane matto» ha dal canto suo fatto ammattire molti critici letterari, arrovellatisi nel tentativo di definire il suo ruolo entro il libro, e sarebbe troppo lungo elencare tutti i diversi significati che gli sono stati attribuiti. Quando a me, credo che proprio perché il protagonista del romanzo, Isacco Kumer, è così passivo e taciturno, Agnon abbia voluto incarnare la sua coscienza in un cane capace di esprimere le contraddizioni insite nel sionismo: sorto, davvero con tragico ritardo, per dare una normalità a un popolo il cui rapporto con il proprio ambiente naturale s’era concluso a suo tempo con una terribile sofferenza. Ma non ci si può sbagliare: il tessuto ideologico del romanzo è occultato in un realismo spinto che esprime una variegata galleria di personaggi affascinanti, fra i quali compaiono anche delle figure storiche di quel periodo. E non mancano suggestive descrizioni di situazioni umane. Ma bisogna soprattutto porre mente allo humour di Agnon, che è secondo me il segreto della sua forza e della sua attualità letteraria.
(trad. di Elena Loewenthal)
(fonte: Tuttolibri, in edicola sabato 20 novembre)