Gerardo Verolino (Italia-Israele-Today)
Da Militalia, la fiera del collezionismo militare che quest’anno non si è tenuta a causa del covid, alle offerte su e-bay, esiste un mercato ripugnante degli oggetti appartenuti alle vittime dei campi di concentramento nazisti che attira schiere di “collezionisti”.
Negli anni scorsi, a Novegro, in provincia di Milano, a Militalia, la più grande fiera di cimeli di guerra, è stata venduta per 11 mila euro la divisa di un deportato ebreo del campo di concentramento di Dachau, ancora sporca delle macchie del suo sangue. “È la seconda – ha detto il venditore – la prima l’ho venduta ad un museo di Vancouver”.
Ma anche i capelli e i denti dei prigionieri della Shoah vanno molto forte. Così come i barattoli di Zyklon B, in uso nelle camere a gas, venduti a 400 euro.
È il supermarket dell’orrore che attira schiere di collezionisti del macabro da ogni parte del mondo. Ma il fenomeno non è nuovo. E gode di molte imitazioni.
Su e-bay viene messa in vendita la divisa completa di un panettiere polacco morto ad Auschwitz, Wolf Gierson Grundmann, al prezzo di 11 mila e 300 sterline. Ma si possono trovare anche scarpe di legno, spazzolini, stelle di Davide e bracciali dei prigionieri. Solo dopo la denuncia del britannico “Mail of Sunday”, la merce, con tante scuse, viene ritirata da e-bay.
In fondo poteva benissimo rimanere in commercio dal momento che a differenza di Francia, Austria e Germania dove è vietata per legge la messa all’asta di cimeli nazisti, in Inghilterra, tale proibizione non esiste.
E che dire delle imitazioni. Urban Outfitters è un marchio di moda che, qualche anno fa, ha messo in vendita delle magliette a righe orizzontali grigie e col triangolo rosa stampigliato sopra maledettamente simili a quelle indossate dai prigionieri omosessuali reclusi nei campi di sterminio.
Stessa cosa fatta da Zara che ha prodotto un pigiama per bambini che ricorda le uniformi dei deportati con tanto di stella gialla in bella vista. La stella, sostiene Zara, si rifà “ai western classici”. Ma non convince nessuno finché la ritira dal commercio.
Qualche anno fa il famigerato storico negazionista, David Irving, mette in vendita oltraggiosi souvenir nazisti: ciocca di capelli (raccolti dal suo barbiere personale) e bastone da passeggio di Hitler; e ancora ossa del Fuhrer e della sua amante Eva Braun.
Per qualcuno che vende ci deve essere qualcuno che compra. Come Kevin Wheatcroft, un signore inglese che vive nel Leicestershire, il più grande collezionista al mondo di memorabilia nazista. Dall’età di cinque anni quando si fa comprare dal padre, ricco magnate delle costruzioni, un elmetto nazista, fino ai giorni d’oggi che ha creato la Wheatcroft Collection, la più grande raccolta al mondo di cimeli del Terzo Reich, del valore circa di 140 milioni di euro, la sua spasmodica ricerca non ha conosciuto tregua.
Questo bizzarro e po’ matto nostalgico delle camicie brune possiede, fra l’altro, 88 carri armati, centinaia di uniformi della Wehrmacht, svariati mobili e oggetti d’arredo del dittatore, dal letto nel quale egli stesso, lugubramente riposa ogni notte, al mobile dove Eva Braun custodisce il grammofono e la personale collezione di dischi.
Nella sua immensa proprietà, Wheatcroft, fa ricostruire “con meticolosa precisione” anche la cella del carcere di Landsberg nel quale Hitler scrive il Mein Kampf. In fondo è un mercato che tira.
Ogni anno il commercio clandestino di questi oggetti del disgusto muove cifre che si aggirano intorno ai 45 milioni di euro.
Il solo bastone da passeggio di Hitler ha fatto intascare ad Irving 7 mila euro ed altri ne ha ricavati da vendite simili.
E che dire di quella casa d’asta del Maryland, negli Stati Uniti, che ha messo in vendita per 7.500 dollari un paio di mutande indossate da Hitler nel 1930 e dimenticate in una camera d’albergo di Graz in Austria.
Ma la scelta è ampia. Si possono trovare gli occhiali che Heinrich Himmler indossa il giorno del suicidio come il famoso telefono rosso del dittatore che un anonimo signore acquista per 243 mila dollari da una casa d’aste americana.
Ma anche il portasigarette d’argento con le iniziali del Fuhrer o le zollette di zucchero con l’aquila imperiale.
“L’80 per cento del nostro mercato è fatto di amanti di cimeli nazisti” ha affermato il titolare dello stand della Rbrn Militari di Prato. Mentre, per la fiera, si trovano anche “divise delle SS, manganelli Dux Mussolini, busti in bronzo di Benito, piatti e foto ricordo con la faccia di Hitler, svastiche di ogni dimensione, medaglie, berretti, stivali, pistole, mitragliatrici, pugnali” (cit.“Repubblica”).
È noto che non molto tempo fa gli orologi e i cappelli con le svastiche si potevano tranquillamente acquistare anche in edicola e con pochi euro si gustava l’ebbrezza di essere un capitano della Waffen SS in casa propria.
Ma se quello della memorabilia nazista può essere considerato un collezionismo bizzarro e alquanto kitsch, quello di chi acquista le divise dei poveri deportati dell’Olocausto sconfina, naturalmente, nell’abiezione, nella turpitudine umana, se non nella vera e propria patologia mentale.
Quale può essere il “piacere” di possedere i vestiti degli infelici, sporchi del loro sangue, per ricordarne i patimenti e le sofferenze, non è dato sapere, se non a qualcosa che attiene ai più reconditi abissi dell’animo umano. Non è collezionismo. È feticismo macabro che appesta di orrido chi lo coltiva. È follia animalesca. È degrado e miseria umana.