Non c’è discussione sul fatto che nella nostra parashà si parli di acqua: le acque del Mar Rosso che si aprono per far uscire il popolo ebraico all’asciutto e che si richiudono per annegare l’esercito egiziano che li stava inseguendo; le acque di Marà che sono amare e che, con l’aiuto divino divengono dolci per far dissetare il popolo.
Le acque di Elim che provengono da dodici sorgenti e dove si trovano settanta palme da dattero; il popolo ha così la possibilità di rifocillarsi dal viaggio attraverso il deserto e infine, le “acque della sopportazione e della contesa” dove, giunti in una località chiamata Refidim, il popolo si lamenta contro Moshè e chiede da bere.
Moshè, dietro comandamento divino, batte il suo bastone contro una roccia, da cui scaturisce acqua in abbondanza che permette loro di dissetarsi.
Sono due però i momenti più salienti: quello delle acque amare e quello di Elim.
ll primo episodio narra che il popolo si imbatte, dopo tre giorni di cammino, in un luogo dove c’è acqua, ma che non può bere perché è amara e si lamenta contro Moshè. Il Signore gli mostra un “etz” – letteralmente “albero” e gli dice di gettarlo nelle acque così sarebbero divenute dolci per essere bevute: così avviene.
L’altro episodio invece, ben più positivo, narra che (alla vigilia della manifestazione sinaitica) il popolo si stanzia in un luogo chiamato Elim, dove ci sono dodici sorgenti di acqua e settanta palme da dattero e si accampa lì a causa dell’acqua.
Questi due episodi, abbastanza diversi l’uno dall’altro, sono fondamentali e fortemente legati alla festa di Tu Bishvat.
Nel primo si racconta dell’albero (o un pezzo di esso) che, gettato nelle acque non potabili, le fa diventare dolci e idonee ad essere bevute. Tutto ciò avviene dopo tre giorni di cammino senza acqua. L’altro invece ci illustra un’oasi in mezzo al deserto dove c’è un numero specifico di palme e di sorgenti.
Tutto è legato alla Torà: nel libro di Isaia, troviamo scritto: “tutti gli assetati vadano all’acqua” e i maestri della mishnà dicono: “Non c’è altra acqua che la Torà”.
I maestri del Talmud insegnano che, come non si sopravvive stando tre giorni senza bere acqua, così non si sopravvive stando tre giorni senza studiare Torà. Quindi il popolo si lamenta non solo perché è assetato di acqua ma anche perché ha sete (ha necessità) di Torà. Non a caso nell’altro episodio, si accampano ad Elim dove vi sono dodici sorgenti, in corrispondenza delle dodici tribù di Israele e settanta palme, in corrispondenza dei settanta anziani, preposti da Moshè per amministrare la giustizia e il comportamento del popolo secondo la Torà.
L’acqua quindi, simboleggia la vita – materiale e spirituale – dell’uomo e Tu Bishvat è il momento in cui la pioggia, simbolo di benedizione per il terreno e di conseguenza per l’uomo, inizia a diminuire perché il terreno, da questo momento in avanti, per tutto il periodo estivo, ha sempre meno bisogno di essa.
Quindi Rosh ha shanà La ilanot o Tu bishvat, segna il passaggio fra la fase dell’anno in cui c’è necessità di acqua e di pioggia e quella in cui ne serve meno, proprio agli alberi. Rosh ha shanà La ilanot è quindi l’inizio di una nuova vita per i campi, per gli alberi e per tutto ciò che vive nel mondo vegetale.
Shabbat Shalom e chag sameach