Lo Yotzer dello Shabbat Bereshit si trova presso alcuni ashkenaziti come Yotzer dello Shabbat Rosh Chodesh. In un manoscritto compare come Yotzer per lo Shabbat, senza alcuna ulteriore determinazione. Le prime 22 strofe dello Yotzer seguono l’ordine alfabetico, mentre le iniziali delle prime parole dell’ultima strofa (prima, seconda, quarta, quinta, settima parola) formano il nome Biniamin, che doveva esserne l’autore. Alcuni sostengono che si tratti di Biniamin Ben Zerach, vissuto in Francia o in Germania nell’XI sec., altri Biniamin ben Shemuel, che visse in Normandia nel XII sec., altri ancora uno dei vari Biniamin vissuti a Roma nel Medioevo.
Il testo, che si riferisce alla creazione del mondo, presenta numerosi riferimenti al midrash. I riferimenti più interessanti e al contempo più ostici nel brano riguardano probabilmente i luminari, i cui cicli sono conoscibili attraverso le lettere dell’alfabeto ebraico, ciascuna delle quali come è risaputo ha un valore numerico. La Toràh, parlando dei luminari dice che saranno “leotot ulmoa’dim – per i segni e per i mo’adim”, vale a dire che in basi ai luminari verrà stabilito il calendario. Con un gioco di parole l’autore del piut dice che le otiot – le lettere, termine che ha un’assonanza con otot, modi’ot, fanno sapere, termine simile a mo’adim. Le lettere dell’alfabeto, comprese le cinque finali, sono complessivamente 27. Disponendole su tre righe, troviamo nella prima riga le unità, nella seconda le decine, nella terza le centinaia. Sommando le prime sei cifre di ciascuna riga otteniamo 21, 210, e 2100, che corrispondono agli anni di un ciclo lunare, dieci e cento cicli.
Al termine del ciclo, i cui anni non corrispondono a quelli solari, ma equivalgono a 12 mesi lunari, la luna torna nella stessa posizione alla stessa ora e nello stesso giorno dell’inizio del ciclo. C’è da segnalare che questo ciclo è differente da quello di 19 anni, detto machzor qatan, sul quale è costruito lo schema degli anni embolismici, che vengono fissati sette volte ogni 19 anni, ma risulta dalla ripetizione per sette volte del ciclo di tre anni, e assume il nome di machzor gadol (grande ciclo lunare). Questo ciclo è descritto nel settimo capitolo dei Pirqè deRabbì Eli’ezer, e determinato da un calcolo differente del mese lunare, composto da 29 giorni, 12 ore e 720 parti, anziché 29 giorni 12 ore e 793 parti come universalmente accettato al giorno d’oggi, con una differenza di circa quattro minuti nella durata del mese, vista la differenza di 73 parti, considerato che in un’ora ci sono 1080 parti, e quindi una parte corrisponde a 3 secondi e un terzo.
La scelta del 1080 è analoga a quella che ci ha portato al sistema esadecimale. Difatti sia il 1080 che il 3600 sono divisibili per tutti i numeri sino a 10 escluso il 7. Shadal, autore di un dottissimo articolo sul tema, pubblicato nella rivista Kerem Chemed n. 8 (1854, pp. 37 e ss., disponibile su Google Books), in cui ricostruisce la particolare concezione dell’autore del piut, scrive che anche i cristiani nell’anno 46 iniziarono a fare uso di un ciclo basato su questo sistema, che comprendeva cicli di 84 anni, multiplo di 21. E’ possibile ricordare questo particolare ciclo attraverso le iniziali dei nomi dei patriarchi Avraham Ytzchaq e Yaaqov (א-י-י, che sommati fanno 21), o attraverso la somma delle lettere con cui iniziano i libri della Toràh (ב-ו-ו-ו-א). Se ai risultati ottenuti attraverso la somma delle prime sei cifre della riga si aggiunge la settima cifra, otteniamo gli anni del ciclo solare, che dura 28 anni, terminati i quali il sole, in base alle concezioni astronomiche dei chakhamim, ritorna esattamente nella stessa posizione dell’inizio del ciclo alla stessa ora e nello stesso giorno della settimana.
Questo calcolo è rilevante per stabilire quando recitare la birkat ha-chamàh, la benedizione del sole, che si recita appunto ogni 28 anni. Con ogni probabilità proprio per via di questi riferimenti nel mondo ashkenazita questo piut è stato scelto per lo shabbat Rosh chodesh.