Questa è la prima parashà del quarto libro della Torà, intitolata “Bemidbàr”, che significa “nel deserto”. Il titolo deriva dalla prima parola nella parashà. In latino questo libro è chiamato “Numeri” perché in questa prima parashà, e in quella seguente, viene fatto il censimento dei figli d’Israele. L’ordine di fare il censimento, nel quale ogni uomo censito, dai venti ai sessant’anni, doveva portare mezzo siclo, venne dato così: “Contate le persone di tutta la comunità dei figli d’Israele secondo le famiglie e le case paterne enumerandole per nome, ogni maschio individualmente” (Bemidbàr, 1:2).
La parola “contate” nel testo è “seù et rosh”, che letteralmente significa, “elevate la testa”. R. Joseph Pacifici (Firenze, 1929-2021, Modiin Illit) in Hearòt ve-He’aròt (p. 143) commenta che lo scopo del censimento è quello di elevare i figli d’Israele. Il conto denota importanza e dà ai figli d’Israele il “feeling” di essere importanti, anche se poco numerosi. Il conteggio viene fatto tramite il mezzo siclo contribuito da ogni uomo per non contare le persone, cosa che può generare invidia. Il conteggio mostra l’importanza delle persone contate e le persone importanti possono facilmente attrarre l’invidia della gente. Infatti la benedizione di Bil’àm, che elogiò tanto i figli d’Israele, fu la causa dell’invidia e dell’odio delle nazioni nei confronti d’Israele. Questo è anche il motivo per cui, quando i figli di Ya’akov andarono in Egitto a comprare viveri, Ya’akov disse loro di non farsi vedere tutti insieme.
Rashì (Troyes, 1040-1105) spiega che per farsi contare, gli israeliti vennero da Moshè e dai capi tribù con i rispettivi alberi genealogici per mostrare a quale tribù appartenevano e che erano tutti discendenti del patriarca Avraham. R. Pacifici aggiunge che in questo modo essi mostrarono che non vi erano tra di loro persone nate da unioni proibite o da matrimoni misti. Egli fa notare che è strabiliante il fatto che un popolo di seicentomila uomini che si era reso colpevole di praticare culti estranei, aveva mantenuto l’integrità della famiglia.
R. Meir Leibush Wisser detto Malbim dalle sue iniziali (Ucraina, 1809-1879) fa notare che la Torà ci fa sapere che i capi delle dodici tribù furono presenti al conteggio di tutti e non solo degli uomini delle rispettive tribù. E questo per controllare che qualche membro della propria tribù non venisse contato in un’altra tribù, cosa che avrebbe influito sulla suddivisione dei territori di Eretz Israel, che dipendeva dal numero degli uomini censiti.
Nel Midràsh (Bemidbàr Rabbà, 2:6) è raccontato che che ogni tribù aveva la sua bandiera. La tribù di Reuvèn aveva una bandiera con il disegno di una mandragola, i fiori che aveva portato a sua madre. La bandiera di Shim’on raffigurava la città di Shekhèm. Quella di Levi era bianca, nera e rossa con gli Urìm e Tumìm. Yehudà aveva una bandiera di colore blu con un leone. Quella di Issakhàr era di colore blu scuro con il sole e la luna, perché la tribù era nota per i suoi astronomi. Quella di Zevulùn era chiara con l’immagine di una nave, per riflettere il fatto che la tribù era composta da mercanti. Quella di Dan era di color zaffiro con un serpente. Quella di Gad era grigia, con un accampamento di truppe. Quella di Naftalì era di rosso pallido con un cervo. Quella di Ashèr era di colore dell’olio d’oliva. Le bandiere delle tribù di Yosef erano nere: quella di Efraim aveva il disegno di un toro e quella di Menascè di un unicorno. La tribù di Binyamin aveva una bandiera multicolore con il disegno di un lupo.
Alcuni anni fa la Israel’s Medal Company chiese a Salvador Dalì di disegnare dodici medaglie con le bandiere delle dodici tribù.