Intervista a rav Riccardo Di Segni
ROMA – Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma, si trova da giovedì 28 dicembre a Gerusalemme. È tra i relatori di un convegno internazionale dedicato proprio agli ebrei di Roma, la più antica comunità della Diaspora. Tra gli organizzatori, il Museo italiano di Gerusalemme. E proprio parlando di cultura, in particolare della tradizione rabbinica, Di Segni risponde alla domanda che mezzo mondo si sta ponendo in queste ore: l’ esecuzione di Saddam è stata una barbarie o un atto di giustizia? «La questione della pena capitale per l’ ebraismo è complicata, sia dal punto di vista morale che giuridico. Nella Bibbia appare con chiarezza una lunga serie di reati per i quali la pena di morte è prevista. Ma il dato biblico è fortemente integrato dalla tradizione rabbinica che è arrivata a stabilire una procedura estremamente rigorosa, direi quasi pedante, per tutte le sentenze capitali. Per arrivare poi a una conclusione».
Quale, rabbino? «Secondo un insegnamento un tribunale che emetta una sentenza capitale “ogni sette anni o ogni settant’ anni” dev’ essere considerato un tribunale omicida. Per spiegarci, nell’ evoluzione del diritto ebraico la pena di morte non viene abolita ma resta sospesa in un ambito preferibilmente teorico».
Il rabbino Di Segni aggiunge un altro dato storico: «Da una data che per tradizione coincide con quarant’ anni prima della distruzione del Tempio, il Sinedrio non decise più condanne a morte. Quella pena è insomma “congelata” da circa duemila anni, per la tradizione ebraica. Ce n’ è traccia anche nei vangeli cristiani quando le autorità ebraiche si dichiararono incompetenti a decidere per la condanna di Gesù. E non era certo per l’ occupazione romana». Un salto nell’ oggi, nello Stato di Israele che prevede la pena di morte per terrorismo ma non ne ha mai fatto uso: non è un caso che l’ unica condanna eseguita sia stata quella per il criminale nazista Eichmann».
Quindi anche lei ritiene che l’ impiccagione di Saddam sia stato un errore? «Molto probabilmente è stato un errore politico. Ma stiamo attenti perché la sfera politica e quella morale si possono intersecare ma non sono certo la stessa cosa». In quanto all’ uso mediatico di questo avvenimento, alla pubblicazione del video on line e della continua «esposizione» del cadavere dell’ ex dittatore? «Anche questo è del tutto alieno dalla nostra cultura. Un’ offesa a un cadavere è un’ offesa anche all’ immagine di Dio che è in ogni uomo. Bisogna rispettare tutti i corpi, anche quelli dei peggiori criminali come Saddam Hussein».
Ma qual è il giudizio personale di Riccardi Di Segni? Un sospiro: «Per fortuna non abbiamo dovuto compiere noi questa scelta… Ma io rispondo con un insegnamento rabbinico molto forte ma che esprime il mio pensiero: “Chi è misericordioso con i malvagi rischia di diventare malvagio con le persone buone”».
Che atmosfera ha trovato in Israele, rabbino Di Segni? «Ho parlato con molti esponenti israeliani, ho letto giornali e seguito i commenti in tv, soprattutto ho girato per le strade. Tutta la vicenda è stata accolta con un certo gelo, diciamo come se fosse una realtà ineluttabile con cui fare i conti. Nessuno si è messo a piangere per l’ ex dittatore iracheno, questo è evidente. Ma nessuno, e questo è ancora più importante, si è messo a ballare per le strade per festeggiare la sua morte come abbiamo visto altrove e in altre circostanze. Eppure parliamo di un nemico giurato di Israele, di un uomo che ha bombardato con i missili questo Paese, che assoldava i kamikaze pronti a farsi esplodere tra i cittadini israeliani».
E qui Di Segni si ferma un momento: «Il perché di questo atteggiamento è chiaro. È completamente alieno dalla nostra cultura il gioire quando il tuo nemico cade».
Conti Paolo
(2 gennaio, 2007) Corriere della Sera