L’illusione e la speranza di Shai Aghnon (1941)
Scialom Bahbout*
Shai Aghnon (Premio Nobel per la letteratura nel 1963), trasferitosi a Gerusalemme agli inizi del 1900, si stabilisce nella Città vecchia. Spinto dal desiderio di trovare un posto più accogliente e con un’aria più salubre di quella della Città Vecchia, decide di fare una passeggiata verso Talpiot, una zona vicina a Gerusalemme (oggi ne fa pienamente parte), dove l’unico abitante era Eolo, il Re dei venti: un vento forte e impetuoso gli impedisce di fermarsi. Senza darsi per vinto, vi fa ritorno una seconda volta e pianta una tenda, ma anche questa volta il vento travolge la tenda e lo costringe ad andare via. Infine, armato di mattoni e malta, torna per costruire una casa con fondamenta solide. Questa volta il Re dei venti deve riconoscere che non può distruggere la casa e finisce per rivolgersi ad Aghnon in maniera più civile: nasce e si sviluppa così un rapporto di buon vicinato e di amicizia. Forse, aggiunge Aghnon.
Aghnon pubblica questa storia, qui sintetizzata, sul giornale Haaretz il 30 maggio 1941, e le dà il titolo Meoyèv leohèv, da Nemico ad Amico: una parabola di come lui immaginava si sarebbero svolti i rapporti tra gli ebrei e gli arabi.
Aghnon era nato in Ucraina (a Buzciacz città assurta alla cronaca per i recenti bombardamenti da parte dell’esercito russo) e sapeva che il rapporto con i vicini non sarebbe stato facile: c’erano stati diversi attacchi contro i kibutzim e le fattorie ebraiche e anche un vero e proprio pogrom nel 1929 a Khevròn, la città dei patriarchi e delle matriarche, prima capitale del Regno di Davide. Da questo racconto si capisce che Aghnon (e la generazione dei pionieri) manteneva ancora un certo ottimismo nel futuro: prima o dopo il vento avrebbe finito di soffiare nella direzione sbagliata e il buon vicinato avrebbe prevalso.
Negli anni seguenti la guerra mondiale, gli ebrei palestinesi accettarono la risoluzione 181 dell’ONU del 29 novembre del 1947 e, adeguandosi ad essa, nel maggio del 1948 fondarono lo Stato d’Israele: Anche gli arabi palestinesi avrebbero dovuto fare altrettanto, fondando il proprio Stato. Ciò non accadde, per l’influenza dei paesi arabi confinanti e non confinanti (Egitto, Giordania, Siria, Libano, Irak e Algeria) e forse anche per l’influenza del Mufti di Gerusalemme che si era alleato con il Nazismo. Contravvenendo alla risoluzione dell’ONU, gli arabi aggredirono gli ebrei palestinesi con l’intento di occupare tutto il territorio dal Giordano al mare Mediterraneo. La mia famiglia che abitava nella Gerusalemme vecchia, rimasta senza cibo e senza acqua, per l’assedio posto dai giordani (e nessuno corse ad aiutarci) fu costretta ad abbandonare la casa assieme a tutti gli ebrei che abitavano nella città vecchia. Il progetto di una terra per due stati era stato di fatto boicottato e rifiutato dagli arabi palestinesi. Gli ebrei riuscirono a stento a mantenere ilterritorio assegnato dall’ONU, gli arabi palestinesi non fondarono il loro stato e lasciarono che l’Egitto e la Giordania occupassero la striscia di Gaza (Egitto) e la Cisgiordania (Giordania): di fatto Giordania e Cisgiordania costituivano un’unica entità territoriale. La situazione rimase tale fino al 1967 quando gli arabi scatenarono una guerra, con l’obiettivo di gettare gli ebrei a mare. Il rifiuto continuò anche negli anni successivi. Alla luce dei continui rifiuti del progetto una terra per due popoli per due stati da parte di tutti i leader palestinesi, è illusorio pensare che questa possaessere una soluzione praticabile. Sarà necessario inventare un’altra soluzione, andando alla radice dei problemi che spingono i palestinesi a volere cancellare non solo Israele, ma anche gli ebrei: questo era lo slogan pronunciato dai palestinesi il 7 ottobre (come già a Tripoli nel pogrom del novembre 1945): “uccidi l’ebreo”. Ma questa è un’altra storia.
Mito e realtà: l’Islam e il rifiuto arabo
Per capire meglio il motivo del totale rifiuto degli arabi verso il popolo ebraico, dobbiamo considerare due elementi fondamentali del loro pensiero:
1. Gli ebrei sono Dhimmi (essere inferiori)
2. Qualsiasi terra sia stata occupata anche temporaneamente dai musulmani deve tornare ad essere musulmana secondo il principio di Dar El Islam.
Quando esercitavano il potere, i musulmani consideravano gli ebrei Dhimmi, ma in generale li trattarono in maniera meno violenta di quanto fecero cattolici e protestanti. Per i musulmani gli ebrei rimangono sempre Dhimmi e quindi loro non accettano il fatto che gli ebrei possano occupare una terra che loro considerano musulmana.
Non posso fare qui la storia della Terra d’Israele, ma ciò che è chiaro che tutti i popoli che hanno occupato quella terra (Mussulmani, cattolici, crociati, Mamelucchi, egiziani) non hanno mai avuto un rapporto continuativo con quella terra come quello avuto dal popolo ebraico. Anche nei periodi in cui la presenza ebraica è stata modesta, alcune città (Gerusalemme, Tiberiade, Safed, Giaffa) hanno avuto una presenza ebraica continua e questo anche perché gli ebrei della Diaspora continuarono a considerare quella terra e Gerusalemme come la propria terra d’origine cui sarebbero tornati prima o poi. È noto che anche i “laici” rifiutarono proposte allettanti come quella di creare uno stato ebraico in Uganda e in Argentina.
Gli ebrei hanno continuato a trasferirsi in Israele in piccoli gruppi o singolarmente nel corso della Storia: il grande poeta filosofo Yehudà Halevì abbandonò nell’11° secolo la Spagna per andare nella Terra d’Israele: famosa la sua frase il mio corpo è in occidente, ma il mio cuore è in oriente; Nahmanide dopo la vittoria sulla Chiesa nella contesa di Barcellona, abbandonò la città pertrasferirsi a Gerusalemme; anche una personalità come Rabbi Ovadià di Bertinoro lasciò nel 1500 la Romagna per trasferirsi a Gerusalemme. Un’analisi particolare merita la storia di Donna Gracia Mendez, che dopo la cacciata dalla Spagna nel 1492, tentò di creare un’entità statale nella Galilea nel XVI secolo, una specie di provincia autonoma con il consenso del Sultano ottomano di Istambul. Era già pronto il Duca di Nasso che avrebbe dovuto presiederlo. Dona Gracia fece molto di più: investì risorse per creare uno sviluppo economico per facilitare l’immigrazione dalla Siria verso la Galilea.
I flussi del ritorno
Il trend di ritorni continuò a lungo: per esempio, gruppi di ebrei marocchini (tra i quali mio bisnonno Scialom Bahbout) abbandonarono il Marocco per trasferirsi a Gerusalemme intorno al 1830.
Insomma, dopo la deportazione fatta da Roma nel 70, il popolo ebraico è passato attraverso mille traversie, ma continuò a mantenere una presenza attiva e culturale nella Terra d’Israele, l’invasione e le pressioni degli arabi dopo l’Egira (622) non riuscirono a far desistere gli ebrei dal mantenere la propria presenza in quella terra: anche in cittadine come Shekhèm, la città di Giuseppe, oggi nota come Naplus, esisteva una presenza ebraica.
Le accademie rabbiniche di Gerusalemme continuarono a formare rabbini di alto livello che furono poi inviati nei paesi della Diaspora: uno dei più famosi e influenti che svolse la sua missione in Italia fu Rabbi Chaim Azulai, la cui fama da Livorno si diffuse in tutto il Mediterraneo: morto a Livorno ne1806 fu riesumato e traslato a Gerusalemme (in Italia partecipai al suo funerale assieme agli allievi del Collegio Rabbinico Italiano) negli anni ’60.
Vi furono vari momenti di svolta nella storia ebraica: gli eccidi e le persecuzioni non fiaccarono l’animo ebraico, ma furono considerati momenti per reagire e per creare nuovi sviluppi (le accuse di omicidio rituale, l’Affare Dreyfus, i pogrom in Russia, ecc).
Nella seconda metà dell’ottocento quando Mark Twain fece un pellegrinaggio assieme a un gruppo di evangelisti, a parte le città sante degli ebrei, trovò e documentò che aveva trovato una landa desolata: le emigrazioni degli arabi dal nord (Siria) e dal Sud (Egitto) non erano ancora avvenute. Secondo i Maestri la Terra d’Israele sarebbe rimasta desolata fino a quando il popolo ebraico non viavrebbe fatto ritorno per renderla fertile come in antico, perché lo sentì sempre veramente suo.
Le persecuzioni cristiane e i pogrom in Russia spinsero sempre più gli ebrei ad abbandonare l’Europa: la Shoà si manifestò quando una importante comunità ebraica era oramai stabilmente nella Terra d’Israele. Gli ebrei non avevano bisogno di un rifugio, ma dell’unico luogo in cui manifestare la propria cultura e creare una società indipendente basata sui valori ebraici espressinella Bibbia e nelle fonti del pensiero ebraico. Se lo Stato ebraico fosse stato fondato prima, molti ebrei avrebbero potuto essere accolti dalla Comunità ebraica già presente in quella terra: una Brigata ebraica si sarebbe unita per combattere i nazisti. I soldati ebrei della Brigata caduti nella guerra sono sepolti a Piangipane in Romagna.
Ogni evento tragico che ha colpito il popolo ebraico ha prodotto una reazione che ha creato una svolta nella storia ebraica: l’idea portante del pensiero ebraico (e della Kabbalà in particolare) è quella del Tikùn, una riparazione che è nelle mani dell’uomo. La cacciata dalla Spagna è stata seguita dalla diffusione in tutto il mondo ebraico (e non solo) della Kabbalà di Rabbi Izchak Luria:all’inizio del XVI secolo il centro della Kabbalà era a Safed nella Galilea, ripopolata dopo che Dona Gracia Mendez aveva avviato il tentativo di ricostruzione dello Stato ebraico. L’affare Dreyfus e tutti i pogrom accaduti in Russia dettero un’ulteriore svolta all’idea del ritorno a Sion che si andava affermando in tutti paesi dell’Est Europa.
Un bagno di verità
La Shoà con l‘eliminazione di un terzo del popolo ebraico (un milione e mezzo di bambini!)sembrava annunciare la fine del popolo ebraico: anche i palestinesi arabi plaudevano al progetto attraverso il Mufti di Gerusalemme. Più volte il popolo ebraico si è trovato di fronte a un bivio: affermare la propria identità o rinunciare e assimilarsi,
L’Islam ha acquisto alcuni dei suoi principi fondamentali dall’Ebraismo: Maometto li imparò frequentando le tribù ebraiche in Arabia, ma gli ebrei non lo accettarono, cosa che suscitò la sua ira e poi quella dell’Islam. In Europa la Chiesa dopo secoli di persecuzioni e pogrom, arrivò alla dichiarazione di Giovanni Paolo II che nella Sinagoga di Roma dichiarò che gli ebrei erano i fratelli maggiori dei cristiani. Questa dichiarazione è arrivata al termine di un processo di riavvicinamento con gli ebrei che ha poi portato al riconoscimento politico dello Stato d’Israele: anche se ancora oggi non mancano perfino tra i prelati pregiudizi antiebraici (si pensi alla solita accusa dellacosiddetta legge del taglione), passi avanti sono stati fatti.
L’Islam è diviso, ma ciò nonostante i leader delle varie correnti dovrebbero decidere una volta per tutte se gli ebrei sono ancora esseri inferiori (Dhimmi) o se sono esseri umani da rispettare, essendo stati creati anche loro a immagine divina. Inoltre se è valida la dichiarazione che fece Maometto a La Mecca (“la terra d’Israele era stata promessa ai figli d’Israele”) oppure se valgono i ripensamenti successivi. Prima ancora di risolvere i problemi politici i Paesi arabi dovrebbero riconoscere questo principio elementare e fare un bagno di verità per riconoscere due fatti fondamentali: la presenza ebraica è stata l’unica a essere costantemente attiva nella Terra Santa: da quasi duemila anni solo gli ebrei dichiaravano l’anno prossimo a Gerusalemme, e auspicavano il ritorno a Zion nelle loro preghiere almeno tre volte al giorno; Maometto aveva imparato alcuni tra i principi fondamentali dell’Islam dagli ebrei.
Se i musulmani faranno questo percorso culturale e ligioso (la Bibbia è un testo sacro anche per loro) e non continueranno a negare la verità storica e il diritto dei figli d’Israele ad abitare ed amministrare quella terra, un accordo potrà essere raggiunto. Per raggiungere questo risultato è necessario un bagno di verità e una rilettura della storia della Terra d’Israele negli ultimi duecento anni.
° Ebreo palestinese, Discendente di Rav Scialom Bahbout, rabbino cabbalista a Gerusalemme nel 19° secolo