25 aprile. La componente ebraica in tutta la Resistenza europea è indubitabile e va riconosciuta
Maria Grazia Meriggi
Come cittadina democratica con qualche competenza storica vorrei condividere alcune riflessioni sul «25 aprile romano». Innanzitutto definire «coloniale» o imperiale la presenza ebraica nei territori palestinesi dell’Impero turco significa rimuovere una presenza storica ebraica di lunga durata, da una parte. E, dall’altra, va ricordato il carattere di un’emigrazione che è parte del movimento che coinvolge tanti proletari e operai ebrei russi e polacchi in fuga dai pogrom e dal crollo economico. Attribuire una identità nazionale solo araba o solo ebraica a quei territori o è anacronistico, oppure appartiene alla categoria della «invenzione della tradizione».
Sul piano storico, l’Inghilterra mandataria gioca con il nazionalismo arabo nascente: presentare le potenze occidentali come sostenitrici dell’emigrazione ebraica cozza contro la verità storica.
Nella II guerra mondiale una parte della classe dirigente araba collabora con la Germania nazista, una scelta suscitata dalla lotta contro il mandato ma anche dalla speranza in Hitler distruttore degli ebrei. Si può spiegare, ma non “giustificare”, il gran Muftì con la lotta antimperialista; Messali Hadj (dirigente del primo movimento democratico di liberazione dell’Algeria), dal carcere, ha rifiutato la stessa proposta, in situazione identica, contro la Francia.
Si potrebbero citare altri casi. Il gran Muftì non rappresenta tutti gli arabi palestinesi dell’epoca: bisogna ricordare quelli che combatterono con gli inglesi e quelli che salvarono gli ebrei nel pogrom di Hebron. Ma nemmeno si può rimuovere quell’episodio.
Anche la continuità presunta fra la Brigata ebraica, la minoritaria corrente sionista ultranazionalista di Jabotinski e l’esercito dello Stato d’Israele è contestabile. Coloro che lasciarono il territorio palestinese per l’Europa – come Enzo Sereni – lo facevano proprio perché rifiutavano l’esclusivismo nazionalista e si riconoscevano in una lotta universalistica e umanistica contro i fascismi, che conferiva il suo significato più innovativo all’impresa sionista.
Certo l’attività della Brigata ebraica non esaurisce il ruolo della componente ebraica nella lotta di liberazione.
Migliaia di ebrei democratici, socialisti, comunisti hanno partecipato, nei loro Paesi, alla lotta antifascista esprimendovi i contenuti migliori della loro identità. Ma nel bilancio dei protagonisti – come ha ricordato Wlodeck Goldkorn – tutte queste forme di impegno facevano parte allo stesso titolo della rivendicazione degli ebrei – le vittime principali, anche se in terribile e dolorosa compagnia, del nazismo – all’autodifesa e insieme alla partecipazione alla difesa della civiltà. Nella lotta antifascista sionisti e militanti del Bund (il partito operaio ebraico russo-polacco aderente alla II Internazionale) riconoscono la reciproca dignità e il reciproco valore.
Inoltre: rifiutiamo il principio del «sangue e del suolo» ovunque, quindi anche in Medio Oriente. Lo Stato d’Israele nasce, con il sostegno determinante dell’Urss, per un voto dell’Onu e da esso trae la sua legittimità, entro i confini allora stabiliti. Fra il ‘45 e il ‘50 ci sono stati spostamenti di popolazione e disegni di nuovi confini e nuovi Stati.
La nascita di Israele si può capire solo in questo contesto e la mancata creazione di uno stato arabo nella Palestina mandataria si deve al cinismo delle «classi dirigenti» arabe, che hanno usato i palestinesi per alimentare (non da soli, certo) guerre infinite. Se fra i dirigenti di quel futuro Stato ci fosse stata una mente come quella del Lenin che impose la pace di Brest Litovsk (cediamo territorio e cerchiamo di fare del nostro meglio al suo interno)…
Ciò non significa sminuire le sofferenze di quelle popolazioni ma collocarle nel loro contesto e cercare di capire perché non hanno in seguito trovato una sistemazione territoriale definitiva in nessun paese arabo circostante.
Inoltre: la cultura politica a cui appartengo individua i proprio alleati e avversari trasversalmente e non per «blocchi di alleanze internazionali». I movimenti che abbiamo chiamato «Occupy…» e che hanno coinvolto Israele pochi anni fa, sono nostri interlocutori al di là dei loro governi, in attesa di vedere sorgere – e ogni tanto se ne ha notizia ma presto soffocati – movimenti democratici simili fra i palestinesi.
La Bandiera della Brigata ebraica appartiene a una delle formazioni che sono state in prima fila nella liberazione d’Europa. È quindi a casa propria il 25 Aprile.
I movimenti di liberazione attuali – come quello palestinese – hanno tutto da guadagnare in credibilità politica nel rispettare questa presenza.
Il Manifesto 21.4.2015
http://ilmanifesto.info/perche-nella-liberazione-la-brigata-ebraica-e-a-casa-propria/