Marek Edelman, combattente nel ghetto di Varsavia
Joseph Halevi
Il 2 ottobre è morto nella capitale polacca Marek Edelman che fu vice-comandante dell’insurrezione del ghetto di Varsavia e ne divenne il capo dopo la morte del suo leader Mordechai Anielewicz.
Nato a Homel, oggi in Bielorussia, presumibilmente nel 1919 Edelman proveniva dal Bund, il partito socialista operaio ebraico formatosi nella Russia zarista e decisamente anti-sionista. Prima della Rivoluzione d’ottobre del 1917 tale partito ebraico era più numeroso di quello social-democratico (Posdr) benché quest’ultimo coprisse l’intero territorio dell’impero. Nel 1942 come dirigente della gioventù del Bund, Edelman fondò nella clandestinità l’Organizzazione ebraica di combattimento che unificava nella resistenza ai nazisti il Bund, le organizzazioni socialiste sioniste ed i comunisti.
Nei riguardi dell’epica insurrezione del 1943 Edelman ha sostenuto che, sebbene la sconfitta fosse inevitabile, la rivolta dimostrò le capacità di resistenza degli ebrei una volta sconfitta l’apatia e passività dei dirigenti tradizionali della comunità, passività che portò, prima della rivolta in breve tempo alla deportazione e morte dei due terzi delle 400 mila persone racchiuse dai nazisti nel ghetto della capitale polacca. Marek Edelman riuscì a salvarsi dalla distruzione completa del ghetto fuggendo attraverso le fognature aiutato dai partigiani dell’Armya Ludowa, l’esercito popolare, prevalentemente comunista, cui si associò continuando la resistenza e participando all’insurrezione di Varsavia nel 1944.
Dopo la guerra Edelman si rifiutò di emigrare sia in Israele che negli Stati uniti. Studiò cardiologia a Lodz lavorando poi come cardio-chirurgo. Tuttavia l’orientamento nazionalistico-antisemita dominante nel Poup, il Partito comunista polacco, nel 1968 portò alla sua sospensione dal lavoro. Ma anche in quel frangente Edelman scelse di restare malgrado sua moglie si fosse trasferita a Parigi, dove sarebbe morta nel 2008. Nel 1981 appoggiò il movimento sindacale Solidarnosc e dopo la fine del regime comunista sostenne il Partito della libertà.
I rapporti tra Edelman ed Israele sono stati alquanto problematici per non dire negativi. Ne testimonia anche il laconico e breve necrologio pubblicato ieri sul quotidiano israeliano Haaretz. Il momento di maggiore tensione verte su un episodio del 2002 nel quadro del processo intentato da Israele al leader palestinese Marwan Barghouti. In quell’occasione Edelman inviò una lettera alle autorità militari e della resistenza palestinese, chiamandole proprio con quei termini.
Leggendo la lettera (disponibile in rete), si nota che era notevolmente critica in quanto sosteneva l’impossibilità di vittoria militare della guerriglia in un contesto urbanizzato. Edelman adduceva come esempi positivi il fatto che in Polonia senza sparare un colpo «era stato sconfitto il criminale sistema comunista», nonché la soluzione irlandese. Malgrado ciò il tono formale di rispetto verso gli organismi militari palestinesi suscitò un vespaio in Israele e, proprio su Haaretz, Edelman venne presentato come una persona obnubilata dall’anti-sionismo del Bund.
Il Manifesto 4/10/2009