Midrash Torà
Giuda disse (a Giuseppe): che diremo al mio signore (Giuseppe)? Come parleremo e come ci giustificheremo? Dio ha trovato (il modo di far ripagare) il peccato dei tuoi servi, eccoci schiavi del nostro signore, insieme a colui presso il quale è stata trovata la coppa (Genesi 44: 16).
Che diremo al mio signore? Per il primo argento (restituitoci nelle nostre sacche) ;
Come parleremo? Per il secondo argento (anch’esso restituitoci nelle nostre sacche) ;
Come ci giustificheremo? Per la coppa (trovata nella sacca di Beniamino).
Che diremo al mio signore? Per il fatto relativo a Tamàr (per il rapporto avuto con Giuda) ;
Come parleremo? Per Bilhà (concubina di Giacobbe, sedotta dal figlio Ruben) ;
Come ci giustificheremo? Per Dinà (violentata da Shechem).
Che diremo al mio signore? Per nostro padre (rimasto in Canaan per Giuseppe) ;
Come parleremo? Per Simone (lasciato come ostaggio in Egitto) ;
Come ci giustificheremo? Per (aver lasciato imprigionare) Beniamino.
Se ti dicessimo che abbiamo peccato, è chiaro e manifesto che non abbiamo peccato;
se ti dicessimo che non abbiamo peccato: Dio ha trovato la colpa dei tuoi servi.
Ha detto rabbi Izchak: il creditore (cioè Dio) ha trovato la possibilità di riscuotere il proprio credito.
Ha detto rabbì Levì: il Signore è simile a quello che scola una botte e ne lascia solo le fecce.
Bereshith Rabbà 92:8
Leggendo la storia di Giuseppe, si nota immediatamente che, a seconda delle circostanze, la Torà chiama i fratelli in vari modi: i figli di Giacobbe, i fratelli di Giuseppe, i figli d’Israele (altro nome di Giacobbe): il percorso che dovranno fare i figli di Giacobbe, per divenire veramente i fratelli di Giuseppe e di Beniamino, è piuttosto lungo e passa attraverso varie fasi, nelle quali Giuseppe gioca un ruolo fondamentale.
I commentatori si interrogano sul duro atteggiamento assunto da Giuseppe nei confronti dei fratelli: cosa si propone Giuseppe quando si comporta come un estraneo verso i fratelli: è spinto dalla vendetta? Vuole che i sogni che aveva fatto si realizzino entrambi e quindi, tenendo Simone in ostaggio in prigione, costringe i fratelli a tornare una seconda volta in Egitto a inchinarsi davanti a lui (come descritto nei sogni)? Vuole verificare la reazione dei fratelli di fronte alla sua decisione di tenere in ostaggio prima Simone – il fratello che probabilmente aveva avuto un ruolo importante nella sua vendita – e poi Beniamino, fratello anche da parte di madre e quindi più esposto all’odio dei fratelli.
Nahmanide afferma che lo scopo di tutte le angherie cui Giuseppe sottopone i fratelli è di metterli alla prova e di indurli a provare rimorso verso ciò che gli avevano inflitto. In effetti, per ben tre volte i fratelli mostrano che la colpa commessa nell’aver causato la perdita di Giuseppe e il conseguente dolore del padre pesano come un macigno all’interno della famiglia e gli uni incolpano gli altri per quanto era accaduto:
Si dicevano l’un l’altro: “noi siamo colpevoli verso il nostro fratello perché vedemmo quanto fosse angosciato l’animo suo e non lo ascoltammo quando ci supplicava; perciò ci accade questa disavventura!”(Genesi 42, 21) ; – Disse ai fratelli: mi è stato restituito l’argento; è qui nel sacco” Rimasero sbigottiti e tremanti dissero l’uno all’altro: “perché Dio ci ha fatto questo”- Giuda disse: “che diremo al mio signore? Come parleremo e come ci giustificheremo? Dio ha trovato (il modo di far ripagare) il peccato dei tuoi servi, eccoci schiavi del nostro signore, insieme a colui presso il quale è stata trovata la coppa” (Genesi 44: 16).
Secondo il Midràsh la locuzione mio signore può essere interpretata in tre modi diversi: Giuseppe, Dio e Giacobbe. Il processo della teshuvà è lungo e, per essere veramente completo, è necessario che la persona riesca a superare una prova simile a quella in cui ha commesso la colpa.
Quindi, solo quando i fratelli riconoscono le colpe commesse nei confronti dell’uomo e di Dio, solo quando tutti i fratelli dichiarano di essere pronti a condividere la sorte di Beniamino e a rimanere come schiavi nella casa del Faraone, il percorso della teshuvà, del pentimento, è arrivato a compimento. Ma solo quando Giuda – colpevole più degli altri fratelli della vendita – è pronto a prendere il posto del fratello Beniamino, affinché torni dal padre, Giuseppe potrà finalmente rivelarsi e i figli di Giacobbe diventeranno veramente fratelli.
Scialom Bahbout
(Scritto per la Comunità ebraica di Trani)
Torà in rima
Massimo Foa
Mikkètz
Genesi 41-1/44-17
Trascorsi due anni interi da quel fatto,
il Faraone sognò di trovarsi
presso il Nilo, quando dal fiume a un tratto
emergevan sette vacche belle a guardarsi
e grasse, e pascolavan sul laghetto.
Dietro a quelle poi dal fiume arrivavano
altre sette vacche magre e brutte d’aspetto
che con le altre sulla riva si fermavano.
Le vacche magre le altre divoravano.
Il Faraone si destò e riaddormentò:
sette spighe belle che su uno stelo stavano
ed altre sottili e battute dal vento sognò.
Quelle sottili, le belle vide ingoiare.
Si svegliò e si accorse di aver sognato
e tutti i maghi e i saggi mandò a chiamare,
perché il suo spirito era molto agitato.
Il Faraone i suoi sogni raccontò,
che nessuno riuscì ad interpretare.
Allora il capo dei coppieri gli parlò:
“Oggi le mie colpe mi vien di ricordare:
il Faraone che si era irritato,
il capo dei panettieri e me imprigionò.
In una stessa notte entrambi abbiam sognato
due sogni che un giovane ebreo interpretò;
e poi accadde che si verificasse
proprio come lui aveva interpretato:
che il Faraone mi reintegrasse,
mentre l’altro veniva impiccato.”
Il Faraone mandò a chiamar Giuseppe
che subito fu tratto di prigione,
si rase e si cambiò appena seppe
di doversi recar dal Faraone
che gli disse di avere fatto un sogno
che nessuno riusciva a interpretare:
“E’ per questo che di te ora ho bisogno,
perché mi han detto che tu lo sai fare.”
Giuseppe gli rispose: “Non son io,
ma il Signore che ti darà risposta.”
E il Faraone: “Ecco il sogno mio:
mi trovavo del Nilo sulla costa,
emersero dal fiume sette vacche
grasse e belle di aspetto a pascolare,
poi ne emersero altre sette fiacche
e smunte e così brutte da guardare,
che come quelle mai vidi in Egitto.
Le vacche magre, le grasse divorarono:
queste entrarono nel loro ventre dritto,
però nel loro aspetto non cambiarono.
Mi destai, poi vidi ancor sognando
sette spighe sane e belle ed unite
in un unico stelo, e dietro van spuntando
altre sette sottili, rinsecchite
e sbattute dal vento orientale;
quelle sottili, quelle belle ingoiarono.
Il sogno ai maghi volli raccontare,
però essi non lo interpretarono.”
Giuseppe disse: “Il sogno è uno soltanto;
il Signore ti mostra ciò che sta per fare.
Le sette vacche valgono altrettanto
quanto le spighe: sette anni puoi contare.
Sette anni di grande abbondanza
stanno per giungere in terra d’Egitto;
dopo verran sette anni di doglianza,
la carestia lascerà il paese afflitto.
Nel paese l’abbondanza precedente,
a causa della carestia che seguirà,
non si riconoscerà più assolutamente.
Ciò che Dio ha stabilito, realizzerà!
Il Faraone, un uomo saggio e intelligente
metta a capo della terra d’Egitto,
nomini dei commissari immantinente
che mettan gli anni abbondanti a profitto.
Grano e altri viveri dovranno accumulare
durante queste sette annate buone,
nelle città li dovranno conservare
sotto la potestà del Faraone.
Questi viveri nei depositi staranno
in modo tale che verranno a frutto
nei sette anni di carestia che seguiranno
e così il paese non sarà distrutto.”
La cosa piacque al Faraone e ai suoi ministri,
ai quali disse: “Come possiam trovare
un altro uomo tale che amministri
come questo ciò che ha saputo interpretare?”
Ed a Giuseppe: “Poiché Dio ti ha permesso
di capire tutto ciò, saggio e intelligente
non c’è nessuno, come sei tu stesso:
perciò sarai tu della mia casa il reggente
e tutto il mio popolo ti ubbidirà;
solo per il trono io su di te eccello,
tutto il paese da te dipenderà.”
Nel dito di Giuseppe pose il suo anello,
gli fece indossare abiti di lino
e gli mise al collo una collana d’oro,
gli diede la carrozza del vicerè persino
e al suo passaggio gridavan “Avrech!” in coro.
Disse poi a Giuseppe il Faraone:
“Nessuno in tutta la terra d’Egitto
alzerà mano o piede senza la tua adesione”
e il nome Tsafenath Pa’nèach gli diede per editto
e per finire Asenat in moglie gli diede,
che del sacerdote di On era la figlia.
Giuseppe ha trent’anni quando col Faraone siede
e poi percorre in Egitto molte miglia.
Nei sette anni che furon di abbondanza
la terra diede prodotti proprio tanti.
Giuseppe ammassò tutti i cibi ad oltranza
nelle città, dalle campagne circostanti.
Raccolse grano quanto la rena del mare,
tanto che contarlo non si seppe.
Prima di veder la carestia arrivare,
Asenath due figli partorì a Giuseppe.
Chiamò il primo Menascé, dicendo:
“Perché grazie a Dio ho dimenticato
la sofferenza, ogni affanno tremendo
e la casa paterna ove avevo abitato.”
E chiamò Efràim il secondo,
“perché Dio mi ha fatto aver prole
nel paese in cui fui tremebondo
e grazie a Lui è ritornato il sole.”
Finirono i sette anni di abbondanza
e ci fu carestia per altri sette.
L’Egitto aveva viveri abbastanza
anche se tutto il paese in crisi stette.
Quando il popolo cibo al Faraone chiese,
lui diceva a tutti: “Da Giuseppe andate”,
che dai magazzini il grano prese
e si mise a vender le derrate.
Dai paesi vicini vennero in Egitto
chè la carestia si contrastava invano.
Quando Giacobbe che pure ne era afflitto
seppe che in Egitto c’era grano,
disse ai figli: “Perché state a guardarvi?
Ho saputo che in Egitto c’è del grano:
dovete dunque subito andarvi
e comprarne per non morire invano.”
Dieci fratelli andarono con premura,
ma Giacobbe Beniamino non mandò
perché non gli accadesse una sventura.
Quando il gruppo a comprar si presentò,
Giuseppe vide i suoi fratelli prostrati.
Li riconobbe, ma non lo fece mostrare
e duramente così li ha interrogati:
“Donde venite?” – “Da Canaan per comprare.”
Loro non l’han saputo identificare
e Giuseppe, ricordati i sogni, chiese:
“Siete forse venuti per spiare
dove il paese è privo di difese?”
E loro: “No, solo a comprar l’annona:
siam persone per bene, della stessa tribù,
dodici figli di una stessa persona;
il più piccolo è col padre e l’altro non è più.”
“E’ proprio quel che dico, spie voi siete”
disse Giuseppe, “e vi metto alla prova.
Com’è vivo il Faraone, non uscirete
da qui, finchè vostro fratello non si trova.
Uno di voi a prenderlo mandate
e prigionieri voi qui rimanete:
con ciò si proverà ciò che affermate,
altrimenti proprio spie voi siete.
Per tre giorni prigionieri vi terremo.”
Al terzo giorno Giuseppe disse a quelli:
“Fate questo e vivrete; Iddio io temo!
Se siete onesti, uno di voi fratelli
imanga qui dove siete imprigionati
e gli altri vadano a portare da mangiare
ai vostri familiari affamati.
Vostro fratello minore mi dovete recare
a prova che non mentivate, e non morrete.
Fecero così, dicendo questo a quello:
“Invero noi siamo colpevoli, sapete,
perché vedemmo che nostro fratello
era angosciato quando ci supplicava,
ma noi non gli abbiamo dato ascolto:
questa disavventura ora ci grava!”
Ruben replicò: “Io vi ho pregato molto
di non peccare contro il ragazzo;
voi non mi deste ascolto. Ecco che adesso
ci vien chiesto conto del nostro andazzo.”
Non sapevan che quanto aveano espresso
era stato compreso da Giuseppe
perché l’interprete era al loro lato.
Quando Giuseppe queste cose seppe,
si allontanò e pianse, e poi tornato
Simone fece segregare.
Poi ordinò che di grano fosse colmato
ogni loro sacco e ci fosse infilato
il denaro che avevano pagato,
e provviste per il viaggio fece dare.
Così fu fatto e la comitiva partì.
Nel luogo dove si fermarono a pernottare,
uno dei fratelli che il proprio sacco aprì
per dare al suo asino da mangiare,
vide il denaro che aveva pagato
dall’imbocco del suo sacco spuntare,
e disse ai fratelli: “Mi è stato ridato!”
Rimasero sbigottiti e spaventati
chiedendosi: “Perché da Dio ciò abbiamo avuto?”
Dal padre Giacobbe in terra di Canaan arrivati,
gli raccontarono quel che era accaduto:
“Il signore del paese duramente
come se fossimo spie ci trattiene.
Noi abbiam replicato prontamente:
“Non siamo spie, siam persone per bene:
siamo dodici figli di un padre solo,
uno non c’è più e col padre è il minore.”
Ed il signore: “Adesso vi dò un ruolo
da cui mi accorgerò se è buono il vostro cuore:
lasciate uno di voi fratelli con me,
da sfamare i familiari prendete
e portatemi quello che minore è.
Sarò convinto che voi spie non siete,
vi restituirò vostro fratello
e voi potrete commerciare nel paese.”
Trovando nei sacchi del denaro il fardello,
il timore loro e del padre fu palese.
Il loro padre Giacobbe: “Non potete
privarmi dei figli; già Giuseppe non c’è,
né Simeone, e ora Beniamino volete:
tutto questo si ripercuote su di me!
Ruben al padre, così dicendo parlò:
“Tu i miei figli potrai far morire
se io indietro non lo ricondurrò.
Affidalo a me e lo rivedrai venire.”
Egli rispose: “Questo figlio non andrà:
suo fratello è morto, lui solo rimane,
se una disgrazia nel viaggio gli accadrà,
andrò nello sceol con dolore immane.”
La carestia nel paese era grave assai.
Quand’ebbero finito di mangiare
i viveri portati dall’Egitto, ormai,
Giacobbe disse: “Tornate a comperare.”
Giuda replicò: “Quell’uomo ha dichiarato:
“Non mi vedrete se vostro fratello
non sarà con voi.” Perciò se hai deliberato
che insieme con noi venga quello,
andremo e torneremo dopo aver comprato,
ma se non lo lasci venir via, noi non andiamo.”
Ed Israele: “Perché lo avete informato
che un altro figlio noi abbiamo?”
Risposero: “Quell’uomo ci ha interrogato,
le sue domande furono queste:
“Vostro padre è vivo? Un fratello vi è dato?”
Noi abbiam risposto alle sue richieste;
come potevamo sapere che avrebbe detto:
“Portate quaggiù vostro fratello”?
Giuda disse a suo padre con rispetto:
“Manda il ragazzo con me, partiam con quello,
così potremo vivere e non morire
sia noi che tu e ogni nostro figliolo.
Ne chiederai conto a me, lo posso garantire;
se non lo riporterò indietro, io solo
nei tuoi confronti in eterno avrò peccato.
Se non ci avessi fatto tanto indugiare,
a quest’ora già due volte sarei tornato:
dunque, ti prego, ora lasciaci andare.”
Israele: “Ecco quel che dovete fare.
Prendete del paese i prodotti più buoni:
a quell’uomo in dono li dovete portare.
Un po’ di balsamo, miele ed aromi,
laudano, mandorle e pistacchi.
Con voi denaro doppio prendete
e ciò che vi è stato rimesso nei sacchi,
forse per errore, restituirete.
Con vostro fratello da quell’uomo ritornate.
Iddio onnipotente gli ispiri pietà
verso di voi, in modo che possiate
con l’altro fratello e Beniamino tornar qua;
se dovrò rimaner privo di figli, rimarrò.”
La comitiva con denaro doppio e il ragazzino
si recò in Egitto e a Giuseppe si presentò.
Quando Giuseppe vide con loro Beniamino,
disse al maggiordomo: “Conducili a casa con te,
macella e prepara, che io poi verrò
e a mezzogiorno mangeranno con me.
Egli eseguì l’ordine e a casa li accompagnò.
Alla casa di Giuseppe condotti,
quelli si impensierirono vieppiù:
“Quel denaro nei sacchi ci ha ridotti
ad esser presi con gli asini in schiavitù.”
Temendo il maggiordomo accusatore,
sulla soglia iniziarono a parlare:
“Venimmo per comprare, o signore,
e giunti nel luogo dove pernottare,
trovammo nei sacchi il denaro contato.
Siam venuti a riportare quello stesso,
ed altro per comprare abbiam portato;
non sappiam chi nei sacchi lo abbia messo.”
Egli disse: “Non abbiate timore,
il Dio vostro e dei vostri padri è stato,
che vi ha messo nei sacchi gran valore:
il vostro denaro a me è arrivato.”
Quindi mise in libertà Simeone,
li fece entrare in casa dalla strada,
diede loro acqua per l’abluzione
e fornì ai loro asini la biada.
Nell’attesa prepararono il dono da elargire
a Giuseppe che a mezzogiorno sarebbe arrivato,
perché avevano sentito dire
che in quel luogo avrebbe pranzato.
Quando Giuseppe a casa fu arrivato,
ognun di loro fino a terra si protese
e gli presentarono il dono portato.
Si informò della loro salute e chiese:
“Il vecchio padre di cui mi parlaste, ebbene,
come sta? E’ ancora vivo?” E loro:
“Il tuo servo, nostro padre, e vivo e sta bene.”
E si inchinarono e prostrarono al suolo.
Poi Giuseppe alzò gli occhi e vide suo fratello
Beniamino, dalla stessa madre nato:
“Vostro fratello minore è quello?”
E soggiunse: “Figlio mio, Dio ti renda fortunato!”
Alla vista del fratello s’era commosso;
per piangere andò nella sua stanza,
poi lavò il viso e dopo che il pianto ebbe rimosso,
disse: “Portate il cibo in abbondanza.”
Una tavola per lui solo fece apparecchiare,
una per loro e un’altra per gli egiziani,
perché gli egiziani non potevano mangiare
con gli ebrei che avevan cibi per loro insani.
Essi davanti a lui vennero fatti sedere,
il primogenito al posto che gli spettava,
il più giovane a quello di suo dovere,
sì che stupito l’un l’altro si guardava.
Tutti, porzioni da Giuseppe han ricevuto,
ma quella di Beniamino fu notevolmente
superiore a quella che gli altri hanno avuto.
Bevvero insieme con lui abbondantemente.
Giuseppe ordinò al suo maggiordomo:
“Riempi per quanto ne possan contenere
di viveri i sacchi di ogni uomo
e in cima il denaro di ciascuno fai cadere;
metti la mia coppa nel sacco del minore,
la mia coppa d’argento, oltre al denaro.”
L’ordine di Giuseppe eseguì il servitore,
e al mattino partirono appena fu chiaro.
Usciti dalla città, ma non lontani,
Giuseppe disse al maggiordomo: “Presto vai,
insegui quegli uomini stamani;
quando li avrai raggiunti, loro dirai:
“Perché in cambio del bene siete stati malvagi?
Questa è la coppa in cui beve il mio signore
e mediante la quale trae i presagi;
e voi avete agito con disonore.”
Li raggiunse e parlò loro in questo senso.
E loro: “Siam lungi dall’aver fatto quel che hai detto:
se ti abbiam riportato il denaro, è un controsenso
pensar che abbiam rubato in modo abbietto.
Se da uno dei tuoi servi, come pensavi,
verrà trovata la coppa, a morte sia messo
e noi pure, o signore, saremo tuoi schiavi!”
E lui: “Che siate persone per bene è ammesso,
perciò solo quello presso il quale si trova
sarà schiavo, e gli altri liberi lascerò andare.”
Si affrettarono ad aprire i sacchi a riprova,
e il maggiordomo cominciò a frugare
partendo dal maggiore e col minore terminò.
La coppa nel sacco di Beniamino si trovò.
Si stracciarono le vesti e ciascuno caricò
il proprio asino e in città ritornò.
In casa di Giuseppe, Giuda e i suoi fratelli
entrarono quand’egli non era ancora uscito;
si gettarono in terra e lui a quelli
disse: “Ciò che avete fatto è inaudito!
Non sapete che io traggo gli auspici?”
E Giuda: “Che possiamo dir che ci preservi?
Come giustificare i nostri malefìci?
Dio ha trovato un mezzo per punire i tuoi servi.
Ecco, noi saremo schiavi del mio signore,
tanto noi quanto colui nel cui possesso
la coppa fu trovata.” A cui Giuseppe con ardore:
“Lungi da me far questo! Sarà schiavo solo esso.”
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