Un paese costretto a uccidere per non essere ucciso. Le ragioni dell’inimicizia e del terrorismo sono le stesse a Gaza e a Mosul. Anche i cristiani dovrebbero unirsi, invece di fare sofismi di tipo umanitario
Giuliano Ferrara
Israeliani di tutto il mondo, unitevi! Avete un mondo da guadagnare e nient’altro che le vostre catene da perdere. Chiunque conosca e a qualunque titolo la storia degli ebrei, quella del sionismo e quella di Israele non deve avere dubbi su quale parte prendere nella guerra di Gaza. E quando infuriano le armi c’è un solo problema per le persone rette: da che parte stare. Chi si tira fuori parteggia senza dirlo, affetta un sentimento che è privo di vere basi etiche, insomma se la cava con poco e con poco si lava la coscienza. Se si guardi a Mosul e alla fuga funesta che una banda di predoni impone a una comunità perseguitata di “miscredenti”, anche i cristiani di tutto il mondo, intesi non come credo cultuale ma come nazione occidentale, dovrebbero unirsi. E contro gli stessi identici nemici.
E’ vero che la sproporzione delle forze colpisce, intimidisce, favorisce la favola umanitaria. Israele è grande in confronto alla Striscia di Gaza, pur essendo un paese piccolo. E’ più ricco, più popoloso, più attrezzato militarmente e tecnologicamente. Paga e ha pagato un prezzo alto al terrorismo, ma in confronto alle vittime di guerra palestinesi i suoi morti civili o in divisa, si contano sulle dita di due mani, per adesso. Se solo si abbia voglia di riflettere onestamente sulla realtà, però, tutto cambia. A parte gli accordi di Camp David, che hanno restituito agibilità politica e diplomatica al confronto statale di Israele con Egitto e Giordania, per tutto il resto Israele è un fazzoletto di terra accerchiato dall’inimicizia armata e dal terrorismo deliberato contro i civili, il vero collante di tutti i suoi vicini: inimicizia per la terra contesa, ma anche per il culto, che l’islam sunnita e sciita del nostro tempo non prevede possa sussistere in piena legittimazione fuori dai confini dell’islam stesso, e questo su basi profonde, che si rintracciano anche nel libro nella profezia coranica intoccabile, e anche per l’estraneità razziale (sono ebrei, una non entità, discendenti di scimmie e maiali).
A guardarla bene, la sproporzione si rovescia come un guanto. Ma sono in pochi a voler guardare nella tragedia di un popolo, quello israeliano, costretto a difendersi con le unghie e con i denti, costretto a uccidere per non essere ucciso, a infierire contro organizzazioni armate parastatuali che fanno del loro popolo uno scudo umanitario permanente allo scopo di vincere, a colpi di bambini e vecchi massacrati, la battaglia decisiva dell’opinione pubblica internazionale.
Israele protegge i suoi con i missili, come ha giustamente detto Edward Luttwak, mentre Hamas protegge i missili con i suoi. E’ anche per questo che suonano vacue le perorazioni facili contro le barriere di difesa e contro i muri, quando vengono offerte in terra israeliana e palestinese. E’ anche per questo che sono ingiuste le accuse contro il governo del destro Netanyahu, come furono ingiuste le accuse al socialista Rabin durante la dura repressione della Prima Intifada. E’ anche per questo che risulta non solo fallimentare ma spietatamente ingiusta la riluttanza dell’Amministrazione americana a fare fronte alle proprie responsabilità nel governo dell’ordine mondiale, la tendenza a idealizzare una retorica politica senza conseguenze a favore di telecamere (comprese le gaffe di Kerry segretario di stato).
Noi qui in Europa, affetti da nanismo etico e da impotenza politica, bravi solo a tutelare il valore commerciale delle materie prime di cui abbiamo bisogno per la nostra vita e il loro costo, facciamo un titolo al giorno in cui non si parla di vittime di guerra, ragionando sulle ragioni della guerra e sulle condizioni della pace, ma di strage, di massacro dei civili, di ecatombe dei bambini. E’ comodo. E ci danno manforte tutti quegli israeliani, in particolare i testimoni di un mondo che non esiste, quello della reciproca fiducia e della generale benevolenza e della disponibilità universale alla pace, i quali si sottraggono al compito naturale di un cittadino: proteggere la propria comunità, aiutare chi lo fa in prima linea, capire che ci sono momenti in cui si discute e momenti in cui cessa ogni discussione. Non ci sono dall’altra parte testimoni capaci di sollevare l’indignazione pubblica. I resoconti dicono, anche quelli di organi di stampa ostili al governo israeliano del momento, che nella Striscia non si può criticare la pretesa di Hamas di essere insieme il puntello di un governo che tratta e la base logistica di un esercito di terroristi che ambisce a mettere sotto minaccia la popolazione civile della comunità vicina, perché tuttora non ne riconosce la legittimità e la vita. La voce della buona coscienza e delle anime belle non si sente al di là della barriera difensiva, al di là del santo muro che protegge le vite degli ebrei e degli altri che vivono entro i confini della democrazia israeliana.
In Europa, a parte le dichiarazioni solenni e definizioni di Hamas come gruppo terroristico, non esistono boicottaggi della sua classe dirigente criminale, magari raccordati con una inesistente opinione pubblica. C’è solo l’infinita e comprensibile compassione per le popolazioni del formicaio colpite dalle durezze di guerra, ma senza mai specificare di chi siano le responsabilità strategiche della guerra. Comodo, molto comodo.
Il Foglio 22 luglio 2014 (Grazie a Shalom7)
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