Lo scrittore autore di 42 libri
Alain Elkann
Incontro Aharon Appelfeld, come faccio sempre quando mi trovo a Gerusalemme, alla Ticho House, il caffè dove va due volte la settimana per scrivere a lungo e a mano su un foglio di carta bianco con la sua biro.
Che cosa sta scrivendo in questo momento?
«Ho pubblicato qualche mese fa un libro per bambini che ha avuto un certo successo. E’ la storia di due bambini che vivono nei boschi durante la guerra. Adesso sto riscrivendo in ebraico un libro che ho pubblicato molti anni fa in America. E’ la storia di un uomo che torna a casa dopo la liberazione dal campo di concentramento e cerca di capire che cosa è successo. Sua madre andava pazza per la musica di Bach e amava le chiese. Suo padre era un uomo tranquillo, che viveva in una piccola città e lottava contro il provincialismo. Ma, sulla via di casa incontra una donna che amava suo padre prima che sposasse sua madre …».
Quanti libri ha scritto?
«Quarantadue e in qualche modo è come se fossero un solo libro. E’ sempre uno sguardo allargato sui miei genitori, la mia origine, la mia esperienza..»
I suoi libri per molti anni sono stati considerati strani in Israele.
«Per dirla in maniera gentile, erano considerati anti israeliani perché non parlavo di loro. Ma ora stanno comprendendo che le loro vere radici sono in Europa e gli ebrei sefarditi hanno le loro radici in Oriente. Quindi stanno arrivando ai miei libri. Ricevo molte lettere in cui si dice: “I nostri genitori erano sopravvissuti all’Olocausto, non ne hanno mai parlato, non abbiamo mai chiesto nulla, non hanno mai detto nulla. Ora capiamo cosa abbiamo perso e i suoi libri sono diventati la nostra famiglia».
Crede che la letteratura abbia ancora importanza?
«Sì perché la letteratura è umanità. Per il suo tramite tocchiamo la realtà. L’essenza fisica, reale dell’essere umano».
Che cos’è la fiction?
«La vita interiore degli esseri umani, non l’elenco cronologico degli eventi».
Che cosa pensa dell’importanza della narrazione nella fiction?
«E’ il dialogo profondo con se stessi e con l’ambiente circostante».
C’è musica nella letteratura?
«Sì, è molto importante. Non posso immaginare un buon brano di narrativa senza musicalità».
L’ebraico è un linguaggio adatto alla musicalità?
«Sì se si utilizza la lingua in modo corretto: scelta delle parole, punteggiatura, ritmo».
Lei scrive lentamente?
«Controllo e ricontrollo più volte ogni pagina. Ad esempio, scrivo una pagina il mattino, a notte rileggo la stessa pagina e la mattina seguente di nuovo».
In questo modo non si perde lo slancio della trama?
«No perché se si corre dietro alla trama, il testo rimarrà povero. In altre parole la frase e il paragrafo dovrebbero sempre rimanere autonomi. Ogni frase dovrebbe essere importante, così come ogni paragrafo. La trama è importante ma non ha valore senza un testo ricco».
Quale scrittore citerebbe ad esempio per spiegare questo?
«Kafka è un buon esempio. Amo molti grandi scrittori come Thomas Mann, Dostoevskij, Tolstoj, ma non sono nella stessa scala di Kafka».
Perché?
«Innanzitutto per la serietà. Ci sono scrittori che sono totalmente dediti al loro lavoro e Kafka è uno di questi. Dostoevskij amava due cose: la scrittura e il gioco d’azzardo, Tolstoj nei suoi ultimi anni voleva diventare un predicatore religioso e questo ha rovinato la sua scrittura. Mann aveva una mente scettica e non poteva raggiungere con la sua razionalità l’origine del mistero».
Oggi abbiamo ancora scrittori completamente dediti al loro lavoro come Kafka?
«Sono vicino a Philip Roth, Malamud, Saul Bellow. Sono stati tutti scrittori impegnati, ma su scala diversa».
Che cosa rende grande uno scrittore?
«La capacità di comprendere gli esseri umani e di essere loro vicino. Naturalmente c’è anche il talento. Non amo e non ho mai capito gli scrittori patologici, che odiano gli ebrei o tutti gli esseri umani».
Come Céline?
«Sì. È molto interessante, più che interessante. Ma sono anche stupito nel vedere che scrittori come Dostoevskij, che erano capaci di comprendere l’anima di un semplice contadino quanto quella di un aristocratico degenerato, quando si tratta di ebrei pensano che abbiano tutti il naso lungo e le tasche piene di denaro».
Perché considera Hemingway un grande scrittore?
«Era devoto alla propria debolezza. Lo ammiro per il suo stile fattuale e secco e perché non s’impone mai al lettore. E’ capace di capirsi».
E tra gli scrittori ebrei chi ammira?
«Kafka perché è molto interessante. Prevede che cosa sarebbe accaduto a lui, a noi. Ha scritto un racconto, “La colonia penale”, dove aveva previsto quello che sarebbe successo vent’anni dopo, l’Olocausto».
Qual è la missione di uno scrittore?
«Uno scrittore non dovrebbe pensare a una missione, dovrebbe essere occupato con le frasi o la trama della storia che sta scrivendo: questa è la sua missione. Dovrebbe sapere che non sarà lui a cambiare il mondo e dovrebbe essere modesto».
Ma la fiction è arte?
«Certo, in buone mani lo è».
(traduzione Carla Reschia)
http://www.lastampa.it/2013/10/20/societa/aharon-appelfeld-la-letteratura-spiega-il-mondo-ma-non-lo-cambia-vZbTPpOel0nwHP5Z3XqqjM/pagina.html
«Ho pubblicato qualche mese fa un libro per bambini che ha avuto un certo successo. E’ la storia di due bambini che vivono nei boschi durante la guerra. Adesso sto riscrivendo in ebraico un libro che ho pubblicato molti anni fa in America. E’ la storia di un uomo che torna a casa dopo la liberazione dal campo di concentramento e cerca di capire che cosa è successo. Sua madre andava pazza per la musica di Bach e amava le chiese. Suo padre era un uomo tranquillo, che viveva in una piccola città e lottava contro il provincialismo. Ma, sulla via di casa incontra una donna che amava suo padre prima che sposasse sua madre …».
Quanti libri ha scritto?
«Quarantadue e in qualche modo è come se fossero un solo libro. E’ sempre uno sguardo allargato sui miei genitori, la mia origine, la mia esperienza..»
I suoi libri per molti anni sono stati considerati strani in Israele.
«Per dirla in maniera gentile, erano considerati anti israeliani perché non parlavo di loro. Ma ora stanno comprendendo che le loro vere radici sono in Europa e gli ebrei sefarditi hanno le loro radici in Oriente. Quindi stanno arrivando ai miei libri. Ricevo molte lettere in cui si dice: “I nostri genitori erano sopravvissuti all’Olocausto, non ne hanno mai parlato, non abbiamo mai chiesto nulla, non hanno mai detto nulla. Ora capiamo cosa abbiamo perso e i suoi libri sono diventati la nostra famiglia».
Crede che la letteratura abbia ancora importanza?
«Sì perché la letteratura è umanità. Per il suo tramite tocchiamo la realtà. L’essenza fisica, reale dell’essere umano».
Che cos’è la fiction?
«La vita interiore degli esseri umani, non l’elenco cronologico degli eventi».
Che cosa pensa dell’importanza della narrazione nella fiction?
«E’ il dialogo profondo con se stessi e con l’ambiente circostante».
C’è musica nella letteratura?
«Sì, è molto importante. Non posso immaginare un buon brano di narrativa senza musicalità».
L’ebraico è un linguaggio adatto alla musicalità?
«Sì se si utilizza la lingua in modo corretto: scelta delle parole, punteggiatura, ritmo».
Lei scrive lentamente?
«Controllo e ricontrollo più volte ogni pagina. Ad esempio, scrivo una pagina il mattino, a notte rileggo la stessa pagina e la mattina seguente di nuovo».
In questo modo non si perde lo slancio della trama?
«No perché se si corre dietro alla trama, il testo rimarrà povero. In altre parole la frase e il paragrafo dovrebbero sempre rimanere autonomi. Ogni frase dovrebbe essere importante, così come ogni paragrafo. La trama è importante ma non ha valore senza un testo ricco».
Quale scrittore citerebbe ad esempio per spiegare questo?
«Kafka è un buon esempio. Amo molti grandi scrittori come Thomas Mann, Dostoevskij, Tolstoj, ma non sono nella stessa scala di Kafka».
Perché?
«Innanzitutto per la serietà. Ci sono scrittori che sono totalmente dediti al loro lavoro e Kafka è uno di questi. Dostoevskij amava due cose: la scrittura e il gioco d’azzardo, Tolstoj nei suoi ultimi anni voleva diventare un predicatore religioso e questo ha rovinato la sua scrittura. Mann aveva una mente scettica e non poteva raggiungere con la sua razionalità l’origine del mistero».
Oggi abbiamo ancora scrittori completamente dediti al loro lavoro come Kafka?
«Sono vicino a Philip Roth, Malamud, Saul Bellow. Sono stati tutti scrittori impegnati, ma su scala diversa».
Che cosa rende grande uno scrittore?
«La capacità di comprendere gli esseri umani e di essere loro vicino. Naturalmente c’è anche il talento. Non amo e non ho mai capito gli scrittori patologici, che odiano gli ebrei o tutti gli esseri umani».
Come Céline?
«Sì. È molto interessante, più che interessante. Ma sono anche stupito nel vedere che scrittori come Dostoevskij, che erano capaci di comprendere l’anima di un semplice contadino quanto quella di un aristocratico degenerato, quando si tratta di ebrei pensano che abbiano tutti il naso lungo e le tasche piene di denaro».
Perché considera Hemingway un grande scrittore?
«Era devoto alla propria debolezza. Lo ammiro per il suo stile fattuale e secco e perché non s’impone mai al lettore. E’ capace di capirsi».
E tra gli scrittori ebrei chi ammira?
«Kafka perché è molto interessante. Prevede che cosa sarebbe accaduto a lui, a noi. Ha scritto un racconto, “La colonia penale”, dove aveva previsto quello che sarebbe successo vent’anni dopo, l’Olocausto».
Qual è la missione di uno scrittore?
«Uno scrittore non dovrebbe pensare a una missione, dovrebbe essere occupato con le frasi o la trama della storia che sta scrivendo: questa è la sua missione. Dovrebbe sapere che non sarà lui a cambiare il mondo e dovrebbe essere modesto».
Ma la fiction è arte?
«Certo, in buone mani lo è».
(traduzione Carla Reschia)
http://www.lastampa.it/2013/10/20/societa/aharon-appelfeld-la-letteratura-spiega-il-mondo-ma-non-lo-cambia-vZbTPpOel0nwHP5Z3XqqjM/pagina.html