Uno dei film più interessanti e delicati presentati a Venezia è quello della regista ultra-ortodossa (ma non erano tutte in cucina?) Rama Burstein. Ed è solo l’inizio.
Francesco Gallo
‘Fill the Void’, scritto e diretto da Rama Burshtein, unico film israeliano in concorso alla Mostra di Venezia, è uno di quei lavori da non sottovalutare. Quasi un film da camera molto low-cost – è stato girato quasi interamente in interni – ci porta dentro un mondo a molti sconosciuto. Ovvero dentro una famiglia ebrea ortodossa di Tel Aviv dove anche l’amore ha il sapore di quelli che racconta la Bibbia. Tutto si svolge in una comunità di Haredim (coloro che tremano davanti alla parola di Dio) che, vestiti come impone la loro religione, studiano i sacri testi all’interno di una vita in cui tutto è scandito da rassicuranti norme.
Questa la storia del film. Shira (Hadas Yaron) è una bella ragazza di 18 anni. La più giovane figlia della famiglia Mendelman. Ora la ragazza si sta per sposare con un giovane della sua stessa età (come vuole il costume). E’ un sogno che si avvera e diventa realtà anche perché il ragazzo le piace e Shira si sente pronta ed eccitata per questo grande passo. Ma nella famiglia Mendelman accade una disgrazia del tutto inattesa. Esther (Renana Raz), la sorella ventottenne di Shira, muore dopo aver partorito il piccolo Mordechai. Questo dramma provoca un vero shock all’interno della famiglia che cambierà, alla fine, anche lo stesso destino di Shira.
La madre della ragazza pensa bene, anche per non perdere il nipotino, che Shira potrebbe prendere il posto della sorella maggiore e sposare il vedovo Yochay (Yiftach Klein) che è però molto più grande del promesso sposo della giovane. Shira non accetta subito questa imposizione della famiglia, che intanto ha consultato il rabbino e ne ha ottenuto l’assenso. In realtà la ragazza comincia a provare un certo interesse per Yochai, ma poi, con una certa civetteria, lo respinge ben due volte prima di accettare di sposarlo. In Fill The Void, che sarà distribuito in Italia da Lucky Red, la storia di questo amore che ha difficoltà a nascere ha la bellezza di ciò che accade all’interno di una comunità in cui i rapporti tra uomo e donna sono ancora fatti di pudichi incontri e sguardi. Insomma, per Shira Yochai, un amore antico in cui i tempi del corteggiamento hanno una loro forte identità e forza.
Singolare la storia della regista Rama Burshtein, nata a New York nel 1967. Si laurea prima alla Sam Spiegel Film and Television School di Gerusalemme nel 1994 e, solo successivamente, si avvicina alle tematiche religiose, tanto da utilizzare il mezzo cinematografico come strumento di espressione per la comunità ortodossa, per la quale ha scritto, diretto e prodotto numerosi film realizzati all’interno di università quali la Maale Film School, Yad Benjamin Film School for Woman e la Ulpena Arts School di Gerusalemme.
“Mi sono lanciata in questa avventura per un profondo dolore che portavo dentro – ha spiegato -. Sentivo che la comunità ultra-ortodossa non aveva alcuna voce nell’ambito del dialogo culturale. Si potrebbe dire che siamo muti. La nostra voce sul piano politico è forte, perfino roboante, ma sul piano artistico e culturale resta debole e soffocata”.
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