La possibilità di tornare sui propri passi che gli ebrei hanno donato al mondo intero
Alfredo Mordechai Rabello
Le nostre fonti ci insegnano che il periodo tra Pesach e Shavu’ot è diventato un periodo triste a causa della morte di migliaia di allievi di Rabbì Akivà “che avevano mancato di rispetto l’uno verso l’altro“. Vi è chi vuole vedere un accenno alla difficile situazione creatasi con l’occupazione romana di Erez Israel e la conseguente rivolta di Bar Kochbà, seguace di Rabbì Akivà, ai tempi dell’imperatore Adriano. Fra i Saggi di questo periodo ricordiamo Rabbì Chaninà ben Teradion, il quale, nonostante il divieto imperiale, proseguiva a studiare ed a riunire pubbliche assemblee allo scopo di insegnare la Torà, fino a che le autorità romane lo arrestarono e decretarono per lui la pena di morte: egli avrebbe dovuto cioè essere bruciato vivo.
I Romani prepararono l’esecuzione della pena cercando di prolungare il più possibile il supplizio, legando attorno al Saggio il rotolo della Bibbia in pergamena, e mettendo fra la carne e il rotolo spugne imbevute di acqua per far sì che il fuoco operasse più lentamente e l’agonia fosse quindi prolungata, ed appiccarono il fuoco. I suoi discepoli gli stanno accanto, soffrendo essi pure nel vedere le atrocità commesse verso il loro Maestro e le sue sofferenze, e gli chiedono: “cosa vedi, Maestro?” e questi prosegue ad insegnare, fino all’ultimo secondo della sua vita terrena e risponde (TB. Avodà Zharà 18a): “vedo il rotolo che si brucia, ma le lettere volano in alto..“
I persecutori riescono sì a colpire la materia, a bruciare il corpo, a bruciare il rotolo della Torà ma non riusciranno a colpire il nostro spirito, a distruggere l’insegnamento biblico; volano le lettere ebraiche intorno ai roghi, ma non sono distrutte…. Ed i discepoli continuano ad assistere, finché non resistono più e si rivolgono nuovamente al Maestro sofferente con un suggerimento: “apri la bocca, e entrerà il fuoco dentro di te” (per farti morire prima). Ma il Saggio prosegue a resistere, come se avvertisse che la sua missione umana non è ancora giunta al termine, e risponde: “È meglio che la prenda (la vita) chi l’ha data, e che (l’uomo) non si leda da solo..” (cioè che non acceleri io stesso la mia morte). Era lì presente anche il centurione romano (quastionarius), che aveva il compito di sorvegliare che tutto si svolgesse secondo le regole e di eseguire la pena di morte. Colpito anch’egli dall’atteggiamento del Maestro di fronte alle sofferenze, gli si rivolse chiedendogli: “Rabbi, se io aumentassi il fuoco e ti togliessi le spugne di lana dal tuo cuore, tu mi porteresti nel mondo futuro? Gli disse: “si`”. Rispose: “giuramelo” e glie lo giurò. Subito aumentò le fiamme, tolse le spugne e, nel momento in cui le fiamme si alzavano alte anche il centurione vi si buttò in mezzo e morirono entrambi, Rabbì Chaninà ed il centurione… Si udì una voce celeste che disse: “Rabbì Chaninà ben Teradion e il centurione sono invitati alla vita del mondo futuro”.
È questo un episodio che viene normalmente studiato per far vedere quanto grande sia la forza della Teshuvà, del pentimento e delle buone azioni, senza distinzione fra ebreo o pagano: il soldato romano acquistò in un momento di pentimento e di sublimazione quel mondo futuro che Rabbì Chaninà ben Teradion si era conquistato naturalmente, con una intera vita condotta in santità, servendo D-o, studiando e insegnando la Sua Torà. Esaminando il testo più da vicino ci rendiamo conto della sua peculiarità. Chaninà ben Teradion è considerato uno dei più grandi saggi dell’epoca, suocero di Rabbì Meir, Maestro di molti saggi, che non volle staccarsi un momento dalla fonte di vita, dalla Bibbia; il suo atteggiamento non stupisce; era quello che ci si poteva attendere da un Saggio come lui: tutta la sua vita era stata purezza e amore per D-o. Ma Rabbi Chaninà viene a darci un ulteriore insegnamento con il suo atteggiamento al momento della morte. Perchè non aveva voluto accettare il suggerimento dei discepoli ed accelerare la morte? Rabbi Chaninà avrebbe voluto mostrare fino a che punto l’uomo deve esser pronto a servire l’unico
D-o con amore e abnegazione. Chi può dire cosa succede nell’anima umana nella sua ultima ora, chi può sapere che effetto purificatorio possono avere le sofferenze (senza con questo voler toglier minimamente la responsabilità degli aguzzini!)? Cosa è successo nel caso di Rabbì Chaninà? La cosa è eccezionale e per comprenderla dobbiamo ora prendere in considerazione la vita del boia romano: che vita differente la sua, tutta trascorsa nel sangue e nel lutto provocato al popolo ebraico con l’uccisione dei suoi maestri… Ebbene il proseguimento delle sofferenze indicibili del Rav, gli ha permesso di far mutare completamente la vita del centurione romano, di fargli sentire finalmente pena per le sofferenze altrui fino ad essere disposto a trasgredire l’ordine ricevuto (l’ubbidienza ad ordini disumani infatti non lascia libera la coscienza umana ancor oggi…) e di indurre il centurione a togliere le spugne dal Maestro per alleviare almeno un poco le sue sofferenze. Riemersa l’umanità del centurione creato anch’egli ad immagine di D-o ed ora eccoli uniti assieme nelle fiamme, il saggio e il suo aguzzino.
Un momento di pentimento sincero, travolgente, il rimorso per le pene provocate è bastato a far cambiare la vita del boia, a dare un significato altissimo alla sua ultima azione ed a farlo rendere degno di partecipare alla vita del mondo futuro. È un cambiamento di un attimo, che ci fa vedere la vanità della vita vissuta dal centurione, ma anche ci fa conquistare, in quello stesso momento, un nuovo mondo: questo mutamento travolgente si chiama in ebraico Teshuvà…
Jerushalaim