Il commento a uno strano particolare del brutto racconto della vendita di Yosèf da parte dei fratelli, che leggeremo questo shabbàt
Dal sito Maestri della Torà
“Ed ecco una carovana di ismaeliti viene da Gil’ad e i loro cammelli trasportano spezie, balsamo e loto.” [Parashà di Vayeshev – Bereshit 37, 25] Commento di Rashi: “Perché il testo rivela il contenuto del loro carico? Per far conoscere la ricompensa dei giusti, poiché in genere gli arabi trasportano solo nafta e catrame, il cui odore è sgradevole; invece per lui il Cielo ha fatto in modo che non venisse importunato dal cattivo odore.“Vediamo di ricostruire la situzione: Yossef, il figlio preferito di Yaakov, viene inviato da suo padre a visitare i suoi fratelli che pascolavano il gregge per verificare che tutto andasse bene. Malgrado l’astio che essi provavano per lui, Yossef obbedì a suo padre e seguì la traccia dei fratelli finché li trovò nei presi di Dotan. Quelli, lungi dall’apprezzare la visita, complottarono per sopprimerlo e fu grazie all’intervento di Reuven, il primogenito, che Yossef ebbe la vita salva. Imprigionato in una cisterna vuota (ma il Midrash racconta che vi si trovavano comunque serpenti e scorpioni), ne fu tratto solo per essere venduto come schiavo a una carovana che passava di lì, in direzione dell’Egitto.
Dunque, un ragazzo di diciassette anni, orfano di sua madre Rachel e odiato dai propri fratelli maggiori, vede sparire ogni traccia della sua vita precedente, senza apparentemente alcuna speranza di ritrovarla. Privo di qualsiasi possibilità di contatto con il padre Yaakov, con il nonno Yitzchak e con il fratellino Binyamin, Yossef è ora schiavo, proprietà di questi commercianti diretti in Egitto, la superpotenza dell’epoca. Non è difficile immaginare come nel mondo di 35 secoli fa fosse impensabile sperare di sottrarsi all’amarissimo destino di una vita da schiavo. Come fu il caso per milioni di altri individui nella storia dell’umanità, la caduta in schiavitù significava una tragedia immane dalla quale non c’era ritorno: è noto che in diverse regioni del mondo e malgrado le comunizioni moderne, questa realtà esiste ancora.
Perciò, tra le domande che il versetto che abbiamo citato può suscitare, Rashi sceglie proprio di insegnarci che il Cielo ricompensò Yossef di essere un giusto mandandogli una carovana di commercianti di spezie profumate anziché di nafta maleodorante. Eppure un ragazzo rapito e ridotto in schiavitù vive una disgrazia indescrivibile. Non è difficile immaginare quale terribile angoscia aggredisca il ragazzo prigioniero, precipitandolo nella più profonda disperazione. Che ricompensa è quella di prendersi cura del suo olfatto e assicurarsi che le merci trasportate insieme al povero schiavo ebreo olezzino di spezie aromatiche? Chi è veramente disperato non pensa ai profumi: i suoi unici pensieri sono il dolore per la separazione dai propri cari, il terrore per il futuro che lo aspetta e probabilmente tanta rabbia per essere costretto a subire suo malgrado un così terribile destino. Si chiede quindi uno dei grandi Maestri della Yeshivà di Telz (non siamo purtroppo riusciti a sapere quale di loro come capire il significato e l’insegnamento di questo commento di Rashi: che ricompensa sono queste spezie, che consolazione possono offrire a Yossef di fronte al buio pesto di un futuro nero?
Il Maestro di Telz offre una straordinaria risposta al quesito che egli stesso ha posto: il Santo, benedetto Egli sia, non getta mai un giusto in una situzione di oscurità totale, senza nessun aspetto positivo. Anzi, Egli lascia sempre, anche nelle peggiori avversità, un lumicino che serve a far capire all’uomo di non essere solo. È vero quindi che l’odore delle spezie non rappresentava in sé un grandissimo vantaggio; tuttavia esso offriva a Yossef un segnale sicuro che Hashem era con lui. Per questo motivo Rashi precisa che il trasporto di spezie non rientrava nelle abitudini di quei commercianti arabi. L’eccezionalità del trasporto poteva spiegarsi solo come un messaggio destinato al giusto per dirgli che il Santo, benedetto Egli sia, è con lui, come dicono i salmi (Tehillim 91, 15): “Sono con lui nell’avversità“. Yossef capisce quindi che ciò che gli capita non è un durissimo scherzo di un destino infido e gramo, bensì un programma preciso della Provvidenza Divina, anche se non se ne conosce ancora il lieto fine.
La storia di Yossef infatti non finisce qui: anche durante il periodo di servitù in casa del ministro Potifar, Yossef meritò di percepire la presenza del Santo, benedetto Egli sia, accanto a lui (Bereshit 39, 2): “E Hashem fu con lui” e (Bereshit 39, 3) “che Hashem era con lui“; e di conseguenza (ibid.) “Hashem era con lui e lo faceva riuscire in tutti i sui intenti“. Più avanti, imprigionato nelle carceri di Faraone (Bereshit 39, 21): “Hashem fu con Yossef e attirò su di lui la benevolenza” e (Bereshit 39, 23) ‘Perché Hashem era con lui e lo faceva riuscire nei sui intenti“. Nella sua disgrazia, Yossef percepiva sempre un dettaglio positivo e perciò sapeva di non essere abbandonato e di essere sempre con Hashem. E stando così le cose, era più facile sopportare lo stato di servitù e capire che al contrario delle apparenze la sua situazione non era disperata. Così dicono i salmi (Tehillim 34, 9): “Felice è l’uomo che si rifugia in Lui“. Infatti, come tutti sappiamo, dopo anni di servitù e di prigione in Egitto Yossef fu elevato da Faraone alla più alta carica del regno, ciò che gli permise di salvare la sua famiglia, con cui si ricongiunse dopo ventidue anni, perdonando i fratelli e riabbracciando Yaakov e Binyamin.
Il re David dice (Tehillim 23, 4): “Anche se dovessi camminare nella valle dell’ombra della morte, non temerò alcun male, perché Tu sei con me! Il Tuo bastone e il Tuo appoggio mi consolano.” Da una parte il Santo, benedetto Egli sia, punisce col Suo bastone e dall’altra offre il Suo appoggio: in questo modo l’uomo sa che anche le avversità provengono da Lui. Infatti, le punizioni inflitte ai malvagi per i loro peccati sono complete e definitive; invece, le avversità che affliggono i giusti hanno come unico scopo il loro bene e perciò non conducono alla loro perdita. Anzi, il fatto che esse siano sempre accompagnate da un qualsiasi aspetto positivo conforta il giusto provandogli di non essere solo e che Hashem è accanto a lui per guidarlo verso la salvezza.
La Torà non ha la vocazione di raccontarci delle belle storie fini a sé stesse; piuttosto insegna a ognuno di noi come vivere durante tutti i nostri giorni terreni. Perfino nel commento di in un versetto apparentemente anodino, Rashi coglie nel segno e ci trasmette un insegnamento straordinario: finanche un dettaglio dall’apparenza insignificante, come il contenuto del carico di un’anonima carovana partita millenni fa verso una terra lontana, ci insegna come affrontare ognuna delle mille avversità della vita e come riuscire a percepire la presenza di Hashem accanto a noi. Anche in questo lunghissimo esilio e nei suoi tanti dolori dobbiamo vedere la mano di Hashem che ci conduce fino alla piena e totale Gheulà, presto e nei nostri giorni.
http://www.anzarouth.com/2011/12/parasha-vayeshev-telz.html
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