Riccardo Calimani
Signor Primo Ministro,
sono costretto a scriverLe questa lettera aperta a seguito del suo discorso: «Ebrei, tornate a vivere in Israele perché è l’unico posto al mondo dove gli ebrei possono vivere da ebrei». Non sono affatto d’accordo con Lei e con le sue parole che considero anzi una interferenza indebita e lesiva. La mia famiglia vive a Venezia da oltre 5 secoli e non permetto a nessuno, né ad un primo ministro né a qualsiasi altro di decidere per me dove devo andare a vivere. Non solo non sono uno straniero ma non permetto a nessuno sia esso un antisemita o un politico israeliano di decidere dove io debba andare ad abitare.
Forse Lei non mi conosce ma posso assicurarle che da oltre trent’anni dedico ogni mio sforzo all’elogio dell’ebraismo e alla difesa della condizione esistenziale ebraica e combatto gli antisemiti, più o meno camuffati.
Sono a favore dello Stato di Israele e a fianco del popolo ebraico per la sua sopravvivenza ma questo non mi impedisce affatto di vedere che altri popoli soffrono e hanno bisogno di veder riconosciuti i loro diritti: quelli dei palestinesi in particolare sono urgenti e indifferibili.
Sono ebreo, sono veneziano, sono italiano, europeo e cittadino del mondo e combatto razzismo e violenza di ogni tipo e non mi piace affatto quando qualcuno cerca di parlare a mio nome. Lei invece con le sue parole che sono chiuse in se stesse e non ammettono replica mi impone una sua visione pericolosa, mi coinvolge mio malgrado e crede di poter parlare non solo a mio nome ma anche a nome degli ebrei della Diaspora: così facendo trascura deliberatamente la complessità e la ricchezza delle multiformi espressioni del mondo ebraico a favore di una maldestra operazione di pura propaganda contingente e politica.
Signor Primo Ministro, mi dispiace deluderla, ma lei cinicamente mostra di sfruttare la situazione attuale per tentare di portare in Israele un altro milione di ebrei; per farne cosa? Carne da cannone? A cinquant’anni di distanza lo stato di Israele è una straordinaria e magnifica realtà, ma oggi occorre più che mai che anche i palestinesi abbiano dignità e patria nell’interesse proprio degli uni e degli altri: ognuno deve essere scudo e garanzia dell’altro. Puntando a ottenere forzose immigrazioni secondo me lei punta a una conflittualità permanente e pericolosa, forse più vicina alla sua mentalità di generale e combattente che non a quella di un primo ministro saggio e guida del suo popolo.
Mio cugino, figlio di un ebreo assassinato ad Auschwitz vive da molti decenni in Israele: ha fatto tutte le guerre di difesa e mi ha detto: «Vincere il nemico è necessario per sopravvivere, umiliarlo è gravissimo». Questa frase è di una saggezza elementare, ci pensi anche Lei un po’.
Ora, i kamikaze sono certo frutto di una ideologia fanatica e condannabile ma anche di una tragica umiliazione e sarebbe bene che si cominciasse a ragionare in termini di strategia di lungo periodo e non di tattica fine a se stessa di breve periodo. Lei quando si fece eleggere grazie al suo grande nemico Arafat, complice come Lei della idea del tanto peggio e del tanto meglio, Lei promise sicurezza. Oggi il risultato della sua azione politica è disastroso: l’economia dell’intera regione di Israele e dei palestinesi è a rotoli, la sicurezza di Israele è in pericolo e il suo buon nome all’estero è offuscato anche tra coloro che gli sono alleati. Da Lei, signor Ministro, non posso aspettarmi troppo. Mi piacerebbe però che Lei non perdesse mai l’occasione di parlare di pace, mi piacerebbe vederLa pronto a mettere in atto qualche atto simbolico ma anche concreto di benevolenza verso il popolo palestinese. Sia ben chiaro, non polemizzo sul famoso muro, Lei sa benissimo proprio da generale che una Linea Maginot non può essere che simbolica, Lei sa benissimo che quel muro in realtà è soltanto un modo per esorcizzare l’angoscia che attanaglia i cittadini di Israele, Lei sa benissimo che quel muro forse non verrà mai completato ed è soltanto un fatto psicologico. Quello che Le chiedo, però, signor Ministro, è di ravvedersi dai suoi errori politici come fece il suo predecessore Rabin e Le chiedo di guidare il popolo d’Israele verso un destino migliore.
Quanto agli ebrei della Diaspora ognuno decide con la sua testa e non ha bisogno né dei suoi incitamenti né delle sue parole d’ordine che sono solo propaganda. Lei, signor Ministro, ci mostra un volto ostile e prepotente, ma spero che Lei e Arafat presto apparteniate al passato.
Sappia comunque che non La considero solo responsabile della crescente insicurezza in cui vivono i cittadini israeliani, ma anche della crescente insicurezza che colpisce tutti gli ebrei della Diaspora.