Nella Parashà di Pinchas, che leggeremo questo Shabbat, assistiamo ad un momento storico e decisivo, il momento in cui D-o informa Moshè della fine del suo ruolo. Moshè, il primo leader del popolo d’Israele, che liberò il popolo dalla schiavitù in Egitto, che fece da mediatore tra D-o e il popolo nell’evento unico dell’Apocalisse sul Monte Sinai e che lo guidò nel deserto per 40 anni, riceve il seguente messaggio: “Sali su questo monte di Avarim e contempla la terra che Ho dato ai figli d’Israele. Dopo averla vista, anche tu sarai riunito al tuo popolo, come fu riunito tuo fratello Aharon” (Bamidbar 27:12-13). Come detto, D-o attraverso queste parole informa Moshè: il tuo ruolo è terminato. Hai guidato il popolo fedelmente per gli ultimi 40 anni e ora, poco prima che il popolo raggiunga la sua destinazione ed entri nella Terra d’Israele, sei chiamato a farti da parte. Ti è data l’opportunità di vedere la terra da lontano, dal Monte Avarim, dal Monte Nevò, ma non ci potrai entrare.
Possiamo concludere da questo versetto che Moshè abbia fallito nel suo ruolo? Che abbia intrapreso un lungo viaggio ma non abbia raggiunto la destinazione? Che il viaggio di Moshè sia stato vano?
Potremmo giudicare la storia di Moshè in questo modo se Moshè, ricevuto questo comandamento, avesse reagito con rabbia o con un senso di opportunità persa. Se questa fosse stata la reazione di Moshè, potremmo in effetti concludere che sì, a suo avviso, si sia trattato di un fallimento. Ma Moshè risponde diversamente. Chiede a D-o che il popolo non rimanga senza guida usando delle espressioni particolari e degne di essere approfondite: “Il Signore, il D-o degli spiriti di ogni essere vivente, costituisca a guida della comunità un uomo che li preceda nell’uscire e nell’entrare, li faccia uscire e li faccia rientrare, perché la comunità del Signore non sia come un gregge senza pastore” (Bamidbar 27:16-17). Questo versetto dimostra come Moshè non considerava la fine del suo ruolo un fallimento. Moshè comprese di trovarsi di fronte a una sfida su come reagire all’annuncio di cui D-o lo aveva informato. Avrebbe potuto concentrarsi sulla sua storia personale, rimanere deluso per il fatto di non poter entrare nella Terra d’Israele, sentirsi offeso, umiliato, piangere o discutere. Ma Moshè non fece nulla di tutto ciò. Scelse di concentrarsi sulla storia del popolo. Sentiva di avere la responsabilità di guidare il popolo, e questa responsabilità non lo abbandonò nemmeno per un istante. Certo, avrebbe presto cessato il suo ruolo di leader, e questo avrebbe potuto essere deludente e molto triste, ma al momento era ancora al suo posto, ed era sua precisa responsabilità garantire che il popolo non rimanesse “come pecore senza pastore”.
La conclusione del ruolo di Moshè come leader del popolo ebraico non fu un fallimento, ma bensì la conquista di un’altra vetta. Tramite le sue azioni e tramite le sue parole, Moshè dimostrò di aver svolto il suo ruolo nel miglior modo possibile, con totale fedeltà e dedizione, ignorando la sua storia personale e concentrandosi sull’aspetto della guida del popolo, sulla leadership, sul bisogno collettivo. Come descritto dai Chachamim nel Midrash: “Per far conoscere la lode dei giusti, affinché, quando se ne vanno, mettano da parte i propri bisogni e si dedichino al bisogno del pubblico” (Sifri Numeri 138).
Dalle parole che usa Moshè, inoltre, possiamo comprendere come egli concepisse il suo ruolo. Quando descrive le sue aspettative sul prossimo leader, dice: “…chi uscirà e entrerà prima di loro, chi li condurrà fuori e chi li introdurrà”. Cosa significa?
I Chachamim del Midrash interpretano la prima parte della frase come segue: “Non come fanno gli altri leader, che mandano le loro truppe e arrivano alla fine, ma… ‘chi uscirà e entrerà prima di loro’ – in prima linea, ‘chi uscirà e entrerà prima di loro’ – in prima linea” (Sifri Bamidbar 139). L’esempio personale è il modo per guidare il popolo. E cosa significa il seguito della frase “e chi li condurrà fuori e chi li introdurrà”? Non sempre l’esempio personale ma distaccato è sufficiente. Il leader non può sperare che il pubblico lo segua solo con il suo esempio personale. Il leader ha la responsabilità di garantire che, effettivamente, il pubblico lo segua. Il leader deve essere non solo “davanti al popolo”, ma anche “con il popolo”, deve essere lì con loro, vicino.
Rav Hirsch, commentando le parole “Il Signore, il D-o degli spiriti di ogni essere vivente” scrive che lo stesso D-o che dà origine a ogni spirito che entra nel suo corrispondente involucro terreno, è D-o che assegna l’anima, lo spirito, a ciascuna persona, ogni essere vivente. «Poiché da Me», dice Isaia. 57, 16, “lo spirito entra nel suo guscio, e Io ho formato le anime“, Rabbì Eliezer aggiunge tuttavia: tieni presente questo: finché all’uomo è data la vita, la sua anima è preservata nella mano del suo Creatore e Proprietario, poiché è detto: nella cui mano è l’anima di ogni essere vivente. Se è morto, sarà custodito tra i tesori di D-o, poiché è detto: la tua anima sarà custodita nel tesoro della vita. Secondo questo, D-o è duplice: è Colui attraverso il quale lo spirito diventa carne in ogni carne, ed è Colui attraverso il quale lo spirito rimane in ogni carne. Egli invia lo spirito nel corpo terreno e, finché lo spirito rimane in questa connessione terrena, lo mantiene in questa connessione, proteggendolo, rafforzandolo e nutrendolo con talento e progresso, ed è quindi personalmente vicino a ogni spirito nella vita terrena per questa vita terrena in una modalità molto più grande di quando, dopo il suo pellegrinaggio terreno, l’anima è preservata nel “patto della vita” con tutte le altre anime raccolte per un nuovo futuro. Una verità che Rabbì Eliezer considerava così significativa e importante per la nostra coscienza qui sulla terra, da esortarci a tenerla sempre presente come punto di riferimento per il nostro cammino della nostra vita.
Ne consegue che D-o, in quanto Colui che essendo in ogni dove risiede nella terra d’Israele, conosce e sovrintende a tutti gli spiriti da Lui inviati nei corpi terreni, sa come trovare l’uomo adatto a succedere a Moshè; Può nominarlo. Anche se non c’è più bisogno di Mosè e di Aharon, c’è ancora bisogno di un uomo che realizzi il compito divino che ora sta giungendo a compimento, l’entrata del popolo di Israele nella terra promessa.
Questa invocazione di Moshè, oltre a dimostrare ancora una volta quanto fosse un grandissimo leader ineguagliato nella storia, l’unico meritevole del dono della profezia “faccia a faccia con D-o”, cela anche un’esortazione ed un insegnamento per tutti noi. D-o, creatore del mondo, e, come dice Moshè, che assegna gli spiriti in ogni essere vivente, sa benissimo chi possa essere capace e degno di essere leader e chi possa guidare il popolo. Tuttavia, proprio per questa Sua immensa conoscenza, D-o sa anche di cosa è capace ogni anima e di come, potenzialmente, ogni anima abbia la capacità di elevarsi, di mettere in campo le peculiarità della persona cui è stata assegnata. Non occorre essere leader per dare il meglio di noi stessi, non occorre essere leader per migliorarci, non occorre essere leader per ispirare il prossimo con il buon esempio e con la condotta corretta, guidata dai valori ebraici della Torà e delle mitzvot. Il vero influencer, non è colui che ha centinaia di migliaia se non milioni di seguaci (o di like), ma è colui che attraverso il suo buon esempio ispira anche qualche centinaio di persone, o anche qualche decina o anche meno. Attraverso un circolo virtuoso, questa persona sarà capace, a catena, di creare una rete di positività, di luce, di benessere che potrà influenzare a sua volta la società e la comunità in cui vive.