“L’Eterno parlò a Mosè, dicendo: Manda degli uomini ad esplorare il paese di Canaan che io do ai figli d’Israele. Ne manderete uno per ogni tribù dei loro padri; siano tutti dei loro principi” (Numeri 13:1-2) Se venisse chiesto di quale peccato fossero colpevoli gli esploratori, la maggior parte delle persone risponderebbe che si tratta della maldicenza sulla terra promessa. Il Midrash rende il loro peccato ancora più grave affermando che gli esploratori non hanno imparato l’evidente lezione dall’ultimo episodio della precedente parashah, in cui si racconta che Miriam fece maldicenza su suo fratello Mosè e fu punita per questo.
Rav Joseph B. Soloveitchik (1903-1993) notò tuttavia un collegamento più sostanziale tra gli eventi. Miriam sbagliò perché non era riuscita a rendersi conto che suo fratello Mosè, il più grande profeta mai vissuto, era categoricamente diverso da tutti gli altri profeti, passati, presenti e futuri. La sua qualità speciale lo collocava in una categoria a parte. Allo stesso modo, gli esploratori non riuscirono a percepire la qualità speciale della Terra d’Israele, il suo carattere unico che la rende diversa da tutte le altre terre sulla faccia della terra.
Rav Soloveitchik, in almeno tre passi del Libro del Levitico, discerne il carattere speciale della Terra d’Israele, in particolare nel modo in cui risponde ai bisogni e alle attività del popolo ebraico che vi vive. La Torah prescrive di osservare un anno sabbatico ogni sette anni (Shemità), e un giubileo (Yovel) ogni cinquanta. In queste prescrizioni, è posta la questione di come avrà cibo il popolo ebraico se non lavora la terra, una domanda a cui la Torah stessa risponde dicendo che il Signore fornirà abbondanza di prodotti della terra negli altri anni. La Terra d’Israele è una terra in sintonia con i bisogni delle persone con qualità speciali che la abitano, “ha una particolarità vibrante e vitale che la distingue da tutte le altre terre”. L’anno sabbatico non è descritto come un anno di riposo per l’agricoltore, ma un “sabato” per la terra stessa: l’uomo riposa nello Shabbat, la Terra d’Israele riposa nell’ anno sabbatico. A differenza di altre terre, le trasgressioni commesse nella Terra d’Israele la contaminano, portando a una reazione quasi allergica, per la quale i suoi abitanti vengono espulsi o, più visceralmente, vomitati (Levitico 18:28). La Terra è in pace solo con la santità.
Non solo in questa terra scorrerebbe latte e miele, ma sarebbe un luogo speciale, scelto da Dio come unico luogo per la Sua Shekhinah (presenza divina) e per un popolo singolare, “una nazione, unica nel suo genere, che Dio ha progettato di preservare e cui diffondere i Suoi insegnamenti divini”.
Entrare in questa terra unica, come insegnato dal Maharal di Praga (Rabbì Judah Loew ben Bezalel, 1520-1609) faceva parte del piano stesso dell’Esodo e della fase finale della redenzione. Dio aveva trasmetto a Mosè questo messaggio fin dall’inizio: “Ti farò uscire…ti libererò…ti redimerò…ti porterò con me…ti condurrò nella terra” (Esodo 6:6-8).
Rav Soloveitchik ha paragonato l’unione ontologica dei singoli popoli con la loro terra, dove si sarebbe svolto il loro comune destino, a un matrimonio eterno. In questo contesto, ha citato una norma che afferma che un uomo non può sposare una moglie a scatola chiusa. Non importa quante raccomandazioni entusiastiche arrivino da fonti affidabili, il potenziale sposo deve fare la conoscenza personale della sua futura sposa. Il legame deve formarsi nel profondo del cuore e senza riserve. Pertanto, “prima che l’impegno potesse essere profondamente radicato e assunto irrevocabilmente”, i figli d’Israele dovevano “incontrare” la terra attraverso i rappresentanti di tutte le dodici tribù. Se si legge attentamente la lista delle informazioni che Mosè aveva richiesto, si noterà che ai dodici esploratori fu richiesto principalmente un rapporto demografico e agricolo. Sebbene la quantità e la qualità dei prodotti siano importanti per gli eserciti, è chiaro che le informazioni di valore militare erano secondarie rispetto ai dati sulla natura del territorio stesso. Altrimenti, perché prendersi la briga di riportare personalmente i grappoli d’uva invece di campionarli e valutarli sul posto?
Rav Soloveitchik notò inoltre che nel nostro caso non viene impiegata la consueta radice ebraica per spionaggio (ר-ג-ל), che troviamo invece nella haftarà, ma una radice ((ת-ו-ר che sembra indicare un viaggio esplorativo. Tutto questo ha senso nell’ambito di una partita combinata.
Alla gente era stata promessa una terra stillante latte e miele, tuttavia Mosè volle che i rappresentanti del popolo conoscessero l’intera terra, con i pregi e i difetti. Pertanto, secondo Rav Soloveitchik, l’errore commesso dai dodici principi fu quello di aver fatto un rapporto di spie e non quello di esploratori; bilanciarono i debiti con i crediti e dichiararono l’intera impresa senza speranza. Nonostante avessero a disposizione la grandezza del Signore che li guardava dall’alto, tutto ciò che riuscirono a fare fu un mero calcolo di bilancio: se ci stiamo dentro andiamo, altrimenti torniamo indietro in Egitto.
La Terra d’Israele ha un certo “je ne sais quoi”, una natura e una caratteristica che vanno oltre la definizione razionale e le categorie logiche, la sua elezione è espressione assoluta della volontà di Dio. Come Miriam non riuscì a vedere ciò che rendeva speciale Mosè, i principi e il popolo di conseguenza per il loro resoconto, non riuscirono a vedere l’eccezionalità di quella terra.
Questo grave errore commesso millenni fa, quello di sottovalutare il rapporto vitale tra la Terra d’Israele e il nostro popolo, continua ad avere un effetto dannoso su generazioni di ebrei che, fino ad oggi, non riescono a riconoscere l’indispensabilità della terra per vivere una vita pienamente impegnata nella Torah.
In termini diversi, si può dire che gli esploratori hanno considerato la terra d’Israele in modo troppo “cerebrale” e non lasciarono spazio al cuore affinché li guidasse in quell’incontro iniziale.
Il primo rabbino capo ashkenazita della Terra d’Israele sotto il mandato britannico, Rav Avraham Yitzchak Hakohen Kook, una volta fece una battuta che esprimeva la stessa idea. Un ebreo della diaspora visitò il paese e voleva esplorare la possibilità di viverci permanentemente, fece numerosi calcoli per cercare di determinare se ne valeva la pena di vivere lì e presentò così a Rav Kook tutte le sue considerazioni. Rav Kook gli rispose: “Prima che gli ebrei entrassero nel paese, uccisero Sichon il re di Cheshbon” (il nome di questa località significa calcolo, conto).
Per trovare il proprio posto in Eretz Israel, è necessario eliminare i calcoli e fare il grande passo. Inoltre, è nostro dovere cancellare la sottovalutazione della terra da parte delle spie dalla nostra coscienza in ogni singola generazione e di inculcare la centralità della terra nella nostra esistenza.
Rav Soloveitchik suggerì che possiamo imparare da Mosè stesso cosa significa desiderare la Terra d’Israele. Mosè viveva nell’accampamento dei leviti, nel punto più vicino al Mishkan, vi entrava e aveva un contatto regolare e diretto con Dio. Tuttavia, era ben consapevole che lo stare fuori dalla Terra, gli avrebbe fatto mancare una dimensione indispensabile della sua vita spirituale.
Tutti noi dovremmo imparare meglio da Mosè, da colui che aveva quel desiderio insopprimibile e che voleva vivere nell’Eretz Segulah, nella terra speciale d’Israele, ma non ha potuto. Noi possiamo ancora…Shabbat Shalom!