Come ebrei, quello che ci caratterizza è il ” kol Yaakov”, la voce di Yaakov che ci distingue sia per il potere spirituale della preghiera che per l’uso della parola stessa che ci permette di fare un discorso piacevole e persuasivo. Questa capacità, è rilevata dal commento di Rashi sul versetto in Bereshit 27:21-22 dal quale siamo partiti: perché [Yaakov] parla con un tono supplichevole [di rispetto]: “Alzati, ti prego”. Esav, tuttavia, parlò con un tono aspro (Bereshit 27:31): “Che mio padre si alzi” (Midrash Tanchuma, Toledot 11). Nella Parashà di Chukkat, troviamo riportate entrambe le modalità, quella di Yaakov e quella di Esav, quando Moshe invia un messaggio al re di Edom chiedendogli il permesso di attraversare il suo territorio sulla strada per la terra di Canaan (Bamidbar 20:14-21). Rashi in loco commenta la risposta del re di Edom basandosi sul Midrash Tanchumà: “Vi vantate della “voce” che vostro padre vi ha lasciato in eredità come benedizione, dicendo: “E abbiamo gridato al Signore ed Egli ha udito la nostra voce”; a causa di questo, io uscirò contro di voi con ciò che mio padre mi ha lasciato in eredità quando disse: “E della tua spada vivrai” (Bereshit 27:40). Per evitare il confronto, Moshe chiede umilmente il permesso a questo re, includendo nel suo messaggio una menzione specifica di come D-o avesse ascoltato le nostre preghiere e risposto redimendoci dall’Egitto. L’approccio di Moshè viene respinto, poiché Edom ha risposto in accordo con quanto presente nella propria eredità, le “yedè Esav” – la mano forte e la spada – allontanando il popolo ebraico con minacce di battaglia e di una dimostrazione di forza.
È degno di nota che questo episodio sia riportato subito dopo l’episodio della rivolta di Mé Merivà, le Acque della Contesa. Fu allora che Moshè, che era stato istruito da D-o a parlare alla roccia per ottenere l’acqua per dissetare il popolo ebraico, scelse di colpirla (Bamidbar 20:8-11). A seguito di questo evento sembra emergere come, una volta che di nostra spontanea volontà abbiamo scelto di mettere da parte il nostro potere di parola, il kol Yaakov, in favore degli strumenti di forza, le yedè Esav, rendiamo di fatto irrilevante il kol Yaakov e non sia più possibile contare sul suo potere. I Chachamim, infatti, insegnano che Moshè avrebbe potuto potenzialmente condurre il popolo ebraico in Eretz Yisrael senza bisogno di armi e di battaglie. Probabilmente la necessità di utilizzare quelle armi nacque come conseguenza diretta della fatidica scelta di Moshè di utilizzare il bastone invece di parlare alla roccia. Rashi stesso, nel suo commento al versetto nella Parashà di Devarim in cui D-o esorta alla conquista delle terra (“bòu urshù et haaretz, venite e conquistate la terra”) sembre in effetti seguire questa stessa idea: Nessuno contesterà la questione, e non avrete bisogno di fare guerra. In effetti, se non avessero inviato gli esploratori, ma avessero confidato nella promessa di D-o, non avrebbero avuto bisogno di armi da guerra (Rashi su Devarim 1:8).
Questo potrebbe essere anche stato il caso anche quando per la prima volta il popolo ebraico è costretto ad imbracciare le armi come nazione appena nata e formata nella guerra contro Amalek. La sequenza degli eventi (Shemot cap. 17) inizia con il popolo ebraico che si lamenta con Moshè per la mancanza d’acqua. In quel momento, forse in relazione alle parole forti che vengono usate, Hashem disse a Moshè di portare l’acqua battendo la roccia con il suo bastone, il che porterà a sua volta all’attacco di Amalek, discendente di Esav. Una volta attaccato, il popolo ebraico non ha avuto altra scelta che rispondere con la spada portata da Yehoshua e dalle sue truppe, mentre Moshè sedeva in cima alla montagna assicurandosi che il potere della tefillà non fosse messo da parte nemmeno per un istante.
Un commento di Rabbenu Bachya sembra poter rappresentare un perfetto trait-d’union a questi commenti. Nel commentare il versetto citato precedentemente: “hakol kol Yaakov vehayadaim yedè Esav”, la voce è quella di Yaakov ma le mani sono quelle di Esav, Rabbenu Bachya scrive: Nel Midrash Bereshit Rabbà 65,21 ci viene insegnato che “Yaakov (il popolo ebraico) controlla (usa come sua arma) solo la sua voce (la sua arma è la preghiera)”. Il Midrash basa questo commento sul nostro versetto. Il Midrash continua affermando che, allo stesso modo, il controllo di Esav si estende solo alle sue mani (si affida solo alla spada), come aveva aggiunto Yitzchak: “e le mani sono le mani di Esav”. Analogamente, nei Tehillim 20,8 troviamo un versetto: “Essi (si affidano ai) carri, essi (si affidano ai) cavalli, ma noi invochiamo il nome del Signore nostro D-o”. Moshè vi fece riferimento in Bamidbar 20,16 quando ricordò e riportò al re di Edom le esperienze del popolo ebraico in Egitto. Disse infatti: “Abbiamo gridato al Signore ed Egli ha ascoltato la nostra voce”.
Rabbi Abbà bar Kahane raccontò che ai più eminenti filosofi non ebrei, come Bil’am figlio di Beor e Avnimus l’Ardi, fu chiesto come fosse possibile sconfiggere il potere del popolo ebraico. Fu detto loro di recarsi nelle sinagoghe e verificare se i bambini fossero impegnati a studiare la Torà e a lodare il Signore. Se questo fosse stato quello che avrebbero visto, fu detto loro, non c’era alcuna possibilità al mondo di sconfiggere queste persone, poiché la loro arma principale era la loro voce che invocava D-o affinché venisse in loro aiuto.
Questa continua ad essere la nostra realtà attuale, poiché dobbiamo affrontare le armi dei nemici che ci circondano con le nostre potenti armi e con il supporto delle preghiere del Popolo di Israele. Tuttavia, come nel caso di Moshè a Mé Merivà, dobbiamo sempre tenere presente l’impatto che le nostre scelte hanno su questa dinamica. In questo mondo pieno di violenza atti immorali e retorica aspra, possiamo scegliere come popolo di Israele di essere parte della cura. Tramite il nostro comportamento, possiamo essere un esempio di rettitudine.
Questo può essere messo in pratica partendo dal commento di Rav Moshe Feinstein. L’Onnipotente preferì che Moshè parlasse alla roccia perché voleva insegnare la lezione che bisogna dire parole di Torà e di etica anche a coloro che sembrano non comprendere. Ripetere e ripassare porta infine alla comprensione. Un genitore, ad esempio, non deve mai disperare di educare i propri figli solo perché sembrano non capire ciò che si dice loro. Bisogna insegnare e parlare costantemente al prossimo, ancora e ancora, finché non capisce e agisce di conseguenza, proprio come la roccia che non poteva capire ma alla fine ha compiuto la volontà di D-o. Certamente, anche gli esseri umani, anche se ora sembrano non capire affatto, alla fine raggiungeranno la comprensione.
L’insegnamento che scaturisce è che le nostre parole, quando sincere e pure, non sono sprecate. Gli insegnamenti che cerchiamo di impartire vengono alla fine ascoltati. Non dobbiamo rinunciare ai nostri tentativi di ispirare, istruire ed influenzare positivamente gli altri.
In questo modo, partendo dai bambini, anche se questo è applicabile anche agli adulti, possiamo in effetti esercitare e sviluppare la nostra kol Yaakov, la nostra voce di Yaakov, per rendere efficace, quando necessario e siamo costretti ad utilizzare, anche e non solo le yedè Esav, le mani di Esav. La mancanza della voce di Yaakov, una caratteristica molto importante del popolo ebraico, mette fortemente a rischio il successo delle nostre azioni.