Tratto da una pubblicazione in onore di Keren Perugia per il suo bat-mitzwà, Chol Ha-Mo’ed Sukkot 5771. Da Torah.it
Gianfranco Di Segni
Una ben nota regola della Mishnà è che le donne sono esenti dalle mitzwòt ‘asè she-hazemàn gheramàn (mitzwot positive legate al tempo; Mishnà, Qiddushin 1, 7 e Talmud bavlì, Qiddushin 34a). Con questa espressione si intende dire “azioni da compiere in un determinato momento del giorno o dell’anno”. Per esempio, le donne non hanno l’obbligo di indossare né i tefillin né il talled, perché entrambe queste mitzwot, secondo l’opinione prevalente, si compiono solo di giorno e non di notte (se però, pur non avendone l’obbligo, le donne abbiano il permesso di osservare queste due mitzwot è un discorso complesso che esula da questo breve scritto).
Per quanto riguarda le mitzwot positive “non legate al tempo”, le donne sono tenute a osservarle quanto gli uomini: ad esempio, hanno anch’esse l’obbligo di offrire la tzedaqà (che si può fare in qualsiasi momento), e hanno l’obbligo di recitare la tefillà, anche se non necessariamente negli orari e nelle forme stabilite per gli uomini. Anche per le mitzwòt lo ta‘asè (mitzwot negative, ossia i divieti), sia quelle legate a un tempo specifico (p. es., il divieto di mangiare chametz a Pesach) sia quelle che non lo siano, le donne sono equiparate agli uomini e hanno anch’esse gli stessi divieti.
Queste regole presentano diverse eccezioni. Nel caso dei divieti, ce ne sono tre (su un totale di 365) che valgono solo per gli uomini: radersi con un rasoio i capelli e la barba e il divieto, per un kohen, di rendersi impuro (p. es. recandosi a un cimitero). Da qui la regola che la donna può usare se vuole il rasoio e, se è kohenet, andare al cimitero (vedi Mishnà, Qiddushin cap. 1, 7, ed. ital. a cura di Rav Roberto Della Rocca, le note 65-67).
Anche tra le mitzwot positive legate al tempo, da cui generalmente le donne sono esonerate, ce ne sono alcune che valgono anche per loro. Per esempio, l’obbligo di fare il qiddush di Shabbat: benché sia chiaramente una mitzwà positiva da compiere in un determinato momento della settimana e della giornata, il qiddush è obbligatorio anche per le donne. Il motivo, dice il Talmud, è che come le donne hanno il divieto di compiere melakhòt (lavori proibiti), così hanno l’obbligo di santificare lo Shabbat. Infatti, le due espressioni usate nei Dieci Comandamenti riguardo alla mitzwà dello Shabbat, zakhòr (ricorda, ossia “santifica”) e shamòr (osserva, ossia “non lavorare”), sono state dette “con un’unica emissione di voce” (bedibbùr echàd); quindi, chi osserva l’una deve osservare anche l’altra. Un’altra mitzwà legata al tempo che vale anche per le donne è l’obbligo di mangiare la matzà durante il Seder di Pesach. Dato che di Pesach vige non solo l’obbligo di mangiare la matzà ma anche il divieto di cibarsi di chametz, e questo vale sia per gli uomini che per le donne, allora anche le donne hanno l’obbligo di mangiare la matzà.
Qual è la regola per quanto riguarda le mitzwot caratteristiche della festa di Sukkot? Hanno le donne l’obbligo di mangiare in sukkà? Hanno l’obbligo della mitzwà del lulav? E se non hanno l’obbligo, possono comunque – se vogliono – mettere in pratica queste mitzwot? E in questo caso, devono o no recitare la berakhà relativa? Rispondiamo con ordine.
1) Mitzwà della sukkà: la Mishnà afferma (in Sukkà cap. 2, 8) che le donne sono esonerate dall’obbligo di risiedere nella sukkà. La Mishnà, come spesso fa, non dà una spiegazione di questa regola, ma il fatto stesso che venga specificata significa che non è affatto ovvio che la norma debba essere così. In altre parole, se la regola generale è che le mitzwot legate a un tempo determinato non sono obbligatorie per le donne, perché specificare che anche la sukkà non è obbligatoria per le donne? La Ghemarà, nel Talmud, fa proprio questa domanda e dà diverse risposte. Secondo Abbayè c’è necessità di precisare l’esenzione delle donne dalla norma della sukkà perché la Torà, in Waiqrà 23, 42, scrive che nella sukkà bisogna “risiedere” (teshevù), e tale “risiedere” va inteso nel senso che bisogna “abitare nella sukkà come si abita in una casa normale”. Si potrebbe quindi pensare che, come in una casa moglie e marito vivono insieme, così dovrebbe essere anche per la sukkà. Per evitare dunque che si pensi che l’obbligo della sukkà vale pure per le donne, la Mishnà, riportando una tradizione imparata da Moshè sul Monte Sinai (halakhà le-Moshè mi-Sinai), ci insegna che invece l’obbligo per le donne in questo caso non vale. Ravà fornisce una risposta diversa e afferma che dato che le feste di Pesach e Sukkot sono strettamente collegate (entrambe capitano il 15 del mese, Nisàn la prima e Tishrì la seconda, ed entrambe durano 7 giorni) potremmo pensare che, come per Pesach le donne hanno l’obbligo di mangiare la matzà (come abbiamo detto sopra), così hanno l’obbligo di mangiare in sukkà. La Mishnà ci dice invece che non è così. In ogni caso, per entrambe le opinioni, quella di Abbayè e quella di Ravà, vediamo che la sukkà sarebbe dovuta essere una norma obbligatoria per le donne, nonostante sia una mitzwà positiva legata al tempo, e solo grazie a un’antica tradizione risalente al Sinai non c’è l’obbligo per le donne di mangiare in sukkà.
Se la donna vuole mettere in pratica la mitzwà di mangiare in sukkà, può farlo. È infatti considerato un atto meritorio di grande importanza, perché chi compie questa mitzwà entra in contatto, per così dire, con la Shekhinà, la Presenza Divina che risiede nella sukkà. Inoltre, la donna che compie la mitzwà della sukkà rende più piacevole al proprio marito l’osservanza di questa norma, perché fa della sukkà una vera e propria casa.
Riguardo alla recitazione della berakhà sulla sukkà da parte delle donne, c’è discussione fra i poseqìm (decisori in materia di halakhà): Rabbi Yosef Caro, l’autore dello Shulchan Arukh, sostiene che chi non ha l’obbligo di una certa mitzwà, non può recitare la relativa berakhà perché non può dire le parole “che ci hai comandato” (we-tziwwànu). Rabbi Moshè Isserles (il Ramà), nelle glosse allo Shulchan Arukh, sostiene invece che le donne possono recitare la berakhà. Il primo si basa sull’opinione del Rambam, mentre il secondo su quella di Rabbenu Tam (Shulchan Arukh, Orach Chayim 589, 6; la regola è qui riportata riguardo allo shofar, ma vale anche per gli altri casi simili).
Vorrei aggiungere un paio di annotazioni personali riguardo alla sukkà e le donne: quando ero piccolo, a Sukkot usavo andare nella sukkà del tempio di via Balbo. Lì veniva anche mia zia Gina, moglie di Rav Angelo Sacerdoti, che era stato rabbino capo di Roma dal 1912 al 1935. L’immagine di zia Gina, che ancora molti anni dopo la morte del marito compiva la mitzwà di mangiare in sukkà e offriva a me e agli altri bambini un dolcetto, è forse il ricordo più vivido che ho di lei. Una seconda annotazione riguarda gli anni che ho passato a Seattle, durante i miei studi universitari. Seattle è considerata la città più piovosa degli Stati Uniti. Per questo motivo, come in molte città del Nord-Europa, le sukkot sono costruite in modo tale da avere un lato all’aperto e un altro sotto un tetto: così, gli uomini si siedono nel lato all’aperto, come vuole la norma secondo cui la prima sera, anche se piove, si deve comunque mangiare in sukkà, e le donne siedono nel lato coperto, in modo da non doversi bagnare. Il punto notevole è che si cerca in ogni caso di osservare la norma stando tutti insieme, uomini e donne: non è infatti pensabile che la festa più gioiosa fra gli Shalosh Regalim, le “tre feste di pellegrinaggio”, si festeggi separando le famiglie.
2) Mitzwà del lulav. Come per la mitzwà della sukkà (e dello shofar), le donne sono esenti dalla mitzwà del lulav. Anche questa, infatti, è legata a un tempo determinato: si compie di giorno e solo nei giorni di Sukkot. La Mishnà fa un riferimento a un eventuale coinvolgimento della donna nella mitzwà del lulav alla fine del cap. 3 del trattato Sukkà, dove si dice che “la donna riceve [il lulav] dalle mani del figlio e del marito e lo rimette nell’acqua di Shabbat”. Questa mishnà parla del caso in cui, quando esisteva il Santuario, era permesso usare il lulav di Shabbat: ai tempi nostri di Shabbat non si compie la mitzwà del lulav, quindi questa regola non è valida. In ogni caso, c’è chi ha voluto imparare da questa mishnà che ci fosse l’uso anche per le donne di compiere la mitzwà del lulav, se vogliono. Per quanto riguarda la berakhà, la stessa discussione che abbiamo visto sopra per la sukkà e per lo shofar vale anche in questo caso: secondo Rabbi Yosef Caro le donne non recitano la berakhà sul lulav, secondo il Ramà esse invece la dicono.
A prescindere dal problema della berakhà, c’è da sottolineare che la mitzwà del lulav non è molto osservata fra le donne, soprattutto fra le sefardite, a differenza della mitzwà della sukkà, clima permettendo. Perché questa differenza? Una risposta può essere che il lulav è visto come un oggetto rituale da usare soprattutto in sinagoga, durante le tefillot, che sono dominio specifico degli uomini. La sukkà, invece, è – come abbiamo visto – equiparata alla casa e in quanto tale dominio precipuo delle donne. C’è comunque un’eccezione anche riguardo al lulav: nel giorno di Osha‘anà Rabbà si usano prendere in mano dei rami aggiuntivi di salice. In questo caso, in particolare a Roma, il tempio si riempie di gente, uomini e donne, senza alcuna differenza, e tutti recitano con molta partecipazione i canti tipici del giorno e agitano con fervore i rami di salice. Qui le donne hanno una parte importante nel festeggiamento: forse perché la ‘aravà è l’unica delle quattro specie del lulav ad avere un nome femminile? Lascio al lettore la risposta a questa domanda e la ricerca di altre possibili spiegazioni del perché la mitzwà della sukkà è più osservata di quella del lulav da parte delle donne.
Auguro di tutto cuore a Keren di osservare con amore e con kawwanà le mitzwot della sukkà e del lulav, pur non avendone l’obbligo, e di meritare di poterle insegnare ai suoi figli e ai suoi nipoti. Mazal tov!
Il file .pdf di questa lezione è disponibile nel sito www.torah.it
http://www.archivio-torah.it/feste/succot/donnamizvotsuccot.pdf