I maestri erano molto precisi nel programmare le letture settimanali della Torah. C’è sempre una qualche connessione, ovvia o nascosta, tra il brano della Torah settimanale e il periodo dell’anno in cui viene letto. Questo è il caso della parashà di Devarim che, ogni anno, leggiamo il sabato che precede Tisha BeAv, al culmine del periodo di lutto per la distruzione del Tempio di Gerusalemme.
I maestri del Talmud insegnano che quando il popolo d’Israele è in esilio, il Nome di Dio non è completo. Questo concetto deriva da quanto è scritto nell’ultimo versetto del Salmo 150: “Kol haneshama tehalel YaH/ogni anima loderà Dio”. Nella parola “Neshama/anima” si nota una relazione con la parola “Shama/desolato” per alludere al nostro stato di esilio quando il Tempio era in rovina. Il versetto ci dice che durante questo periodo di “Neshama”, di distruzione e desolazione, “Tehalel YaH” comunque possiamo lodare il Nome Signore, ma solo attraverso le prime due lettere del Tetragramma, “Yod-He”. Ma, in era messianica, le altre due lettere “Vav” e “He”, saranno aggiunte di nuovo “Yod” e “He” per completare e lodare in pienezza il Nome divino. Questo è ciò che auspichiamo quando santifichiamo il Signore recitando il Qaddish. Nell’espressione “Yeheh Shemeh Rabba Mevarakh/Sia il Suo Nome benedetto”, la parola “Shemeh/Suo Nome/שמיה” si riferisce al “Shem י״ה/Yod-He” che lodiamo in questo periodo e che desideriamo ardentemente che questo Nome sia reso “Rabba/grande”, cioè completo, con l’arrivo della redenzione finale.
Secondo un altro insegnamento dei maestri del Talmud, in realtà, il Nome divino avrebbe cinque lettere e non quattro. La lettera “Yod”, con cui inizia questo Nome, nel rotolo della Torah, è scritta con una “corona” decorativa, che può essere intesa come una lettera indipendente. Questa interpretazione, che il Nome divino possa essere di cinque lettere, sottintende che queste lettere corrispondono ai cinque libri della Torah: Bereshit corrisponde alla “corona” della “Yod”, Shemot alla lettera “Yod”, Vayikra rappresenta la prima “He”, Bemidbar simboleggia la “Vav” e il libro finale, Devarim, è collegato alla quinta e ultima lettera, la seconda “He”.
La lettura del libro di Devarim, quindi, non è solo un nuovo completamento del ciclo annuale della lettura della Torah, ma soprattutto l’espressione della speranza del completamento del Nome di Dio. Questo libro, che è collegato alla lettera finale del Tetra/Penta/gramma, rappresenta la nostra più alta aspirazione messianica.
Mosè stesso allude a questo concetto quando ricorda quanto i figli d’Israele fossero vicini alla terra d’Israele: “Achad ‘asar yom mechorev…’ad Qadesh Barnea‘/È a soli undici giorni da Chorev (monte Sinai) fino a Qadesh Barnea‘”. Il significato più profondo di questo versetto è che il percorso da “Chorev” (nel senso di “Churban/distruzione”) a “Qadesh” (nel senso di Qedushà, la santità dell’era messianica) è attraverso il numero 11, il valore numerico di “Vav” (6) e “He” (5), le lettere per ora mancanti del Nome di Dio.
Ecco perché iniziamo il Libro di Devarim sempre in questo periodo (nel mese di Av, l’undicesimo a partire da Tishry), quando piangiamo la distruzione del Tempio di Gerusalemme, poiché esprime la nostra convinta fiducia per la fine dell’esilio e l’arrivo del Mashiach.
Ma come possiamo riportare indietro queste due lettere per raggiungere la nostra redenzione finale?
La lettera “Vav”, il cui valore numerico è 6, rappresenta i sei libri della Mishnah e la “Heh” il cui valore numerico è 5, simboleggia i cinque libri della Torah. Pertanto, per ripristinare le lettere mancanti, è nostro dovere applicarci con serietà e dedicare tempo allo studio della Torah, scritta e orale.
Uno studio che porti alla conoscenza e all’osservanza delle mitwoth, unico mezzo a nostra disposizione per “salvare” le lettere mancanti “Vav-He” del Nome di Dio, riportarle indietro per farle combinare con il mezzo Nome “Yod-He” e permettere così la realizzazione della redenzione finale, presto e ai nostri giorni, Amen.
Shabbat Shalom!