Come si dovrebbe celebrare il ricevimento della Torà? Il Talmud (Pesachim 68b) cita un argomento apparentemente strano su come celebrare adeguatamente Yom Tov in generale, e Shavuot in particolare. “Rav Eliezer dice che una persona a Yom Tov mangia e beve oppure si siede e impara”. Si può scegliere come festeggiare, ma tale scelta deve essere fatta con piena dedizione. Apparentemente, quindi, cercare di celebrare Yom Tov in due modi diversi non dà il risultato che si dovrebbe raggiungere.
L’opinione di Rav Yehoshua, che è quella accettata dalll’Halachà, è che si dovrebbe “dividere la giornata, metà per mangiare e bere e metà per lo studio”. Yom Tov celebra la combinazione e il culmine della collaborazione dell’uomo con D-o, un’azione comune nella storia, ed è quindi diviso tra le attività rivolte al sacro e quelle semplicemente fisiche e umane. Il Talmud prosegue poi con l’affermazione piuttosto sorprendente che a Shavuot tutti concordano sul fatto che si debba festeggiare mangiando e bevendo, poiché è il giorno in cui abbiamo ricevuto la Torà.
A prima vista si sarebbe potuto pensare l’esatto contrario. Il giorno in cui riceviamo la nostra eredità spirituale non dovrebbe essere segnato dallo studio della Torà? Questo ragionamento è alla base dell’abitudine di molti di restare svegli l’intera notte di Shavuot, assorbiti nello studio della Torà. Perché allora questa enfasi sul mangiare? È particolarmente strano se si considera che mentre riceveva la Torà da D-o, Moshe afferma che “stetti sulla montagna quaranta giorni e quaranta notti; non mangiai pane e non bevvi acqua” (Devarim 9:9).
Il Bet Halevi spiega che questa insistenza sul cibo a Shavuot è radicata in un famoso passaggio midrashico relativo al Matan Torà, al dono della Torà. Il Talmud (Shabbat 88b) racconta che, quando Moshe ascese al Sinai, gli angeli supplicarono D-o di non dare la Torà all’uomo. Dopotutto, sostenevano, l’uomo è un peccatore e tende ad ingannare: Sarebbe meglio “seppellire” la Torà piuttosto che donarla a qualcuno che spesso ne ignorerà gli insegnamenti. Il Talmud riporta che D-o fece sì che fosse Moshe a rispondere a questa argomentazione piuttosto convincente degli angeli; Solo una buona confutazione avrebbe consentito di correre il rischio di affidare la Torà agli esseri umani. Moshe fornì una serie di risposte sottolineando le numerose mitzvot che riguardano la nostra esistenza fisica. La Torà non è destinata all’élite spirituale perché, se così fosse, sarebbe potuta rimanere in Cielo. Piuttosto, la Torà è destinata a coloro che vivono nel mondo fisico, insegnando all’uomo, ad esempio, come trasformare il mangiare in una seudat mitzvà o il matrimonio in un atto di santità. La Torà ha lo scopo di affinare il nostro carattere, sfidandoci ad essere all’altezza del nostro potenziale. È proprio perché l’uomo è un peccatore naturale che abbiamo bisogno della Torà. Quale modo migliore per dimostrare questo assioma se non intraprendere il più animalesco degli atti, mangiare, e trasformare i nostri pasti in un’occasione per il servizio di D-o? Mangiare ci permette di mostrare gratitudine al nostro Creatore e di condividere la nostra generosità con i meno fortunati, compresi gli animali che devono essere nutriti prima di sederci a mangiare. Questo insegna all’uomo la disciplina e la moderazione, aiuta a formare amicizie, preserva l’integrità della comunità ebraica costringendoci a mangiare tra coloro che condividono le nostre leggi. L’usanza di mangiare latticini a Shavuot, spiega il Bet Halevi, è nata per dimostrare la nostra fedeltà alle leggi della kashrut. Yom Tov richiede che si mangi un pasto a base di carne, ma noi mangiamo di proposito prima un pasto a base di latticini separato, dimostrando la nostra accettazione delle leggi della kashrut.
Shavuot non è l’unica occasione in cui celebriamo il ricevimento della Torà. La Torà che abbiamo oggi fu in realtà data durante lo Yom Kippur, poiché il patto stabilito a Shavuot fu infranto dalla costruzione del vitello d’oro. Sebbene la gravità dello Yom Kippur precluda il mangiare, l’Halachà in realtà richiede che si mangi il 9 di Tishrì, la vigilia della ricorrenza. Ricevere la Torà richiede cibo. Yom Kippur è la data del perdono, della supplica davanti a D-o che ci sforzeremo di fare meglio. Gli sforzi di Moshe durante il primo Yom Kippur hanno permesso di ristabilire l’alleanza tra D-o e il popolo ebraico, e la Torà è stata ricevuta nuovamente. Questi due motivi, pentimento e accettazione della Torà, richiedono due modalità di osservanza; Digiuno e banchetti. Circa 900 anni dopo, nel giorno di Purim, il popolo ebraico accettò nuovamente la Torà, una Torà che sarebbe stata centrale nella vita ebraica della Diaspora. Da quel momento la guida del popolo ebraico sarebbe stata costituita dai Chachamim, poiché il periodo della profezia era giunto al termine. Il Midrash Tanchumà arriva al punto di affermare che ai piedi del Monte Sinai il popolo ebraico accettò solo la Torà scritta, e che fu solo a Purim che venne accettata volontariamente la Torà orale. Questa nuova accettazione della Torà richiede di mangiare e bere, qualcosa che siamo tenuti a fare in abbondanza a Purim. E anche lì, proprio accanto alla celebrazione, osserviamo un giorno di digiuno, per ricordare la vera minaccia affrontata dal popolo ebraico. Fu questa minaccia che portò al pentimento collettivo, evidenziato da un digiuno di tre giorni nel giorno di Pesach di quell’anno, mentre riaffermavamo ciò che avevamo ricevuto ai piedi del Monte Sinai.
La Torà è una meraviglia, un dono di D-o all’uomo. Ci consente, anzi ci obbliga, di godere del mondo fisico davanti a noi e di elevarlo, ma richiede anche che cerchiamo D-o e che riflettiamo sui nostri difetti, un processo che, a volte, richiede l’astensione dai piaceri fisici di questo mondo. A Shavuot, il popolo ebraico, anche se solo per pochi fugaci momenti, raggiunse tali vette spirituali che non vi fu bisogno di stabilire un digiuno. È il giorno della pura celebrazione ma può diventare anche il giorno in cui, nel momento di gioia per il dono ricevuto, scegliamo di fare introspezione e di migliorare noi stessi, perché quello che è accaduto subito dopo il ricevimento della Torà ai piedi del Monte Sinai ci insegna che anche se cadiamo, se facciamo qualcosa di sbagliato, è sempre possibile alzarsi nuovamente e rimettere la propria vita in carreggiata.