Fecero cantare l’Italia fascista ma non riuscirono a sfuggire alle leggi razziali
Elena Loewenthal
«Signorine grandi firme». Terza scena: buio. Nulla, se non un silenzio pesante. Dove sono sparite le tre sorelle? Alexandra, Judith e Kitty Leschan nascono in Olanda fra il 1910 e il 1919. Non si sa esattamente dove, visto che vengono al mondo in un nomade circo. Il padre Alexander è un contorsionista ungherese costretto a riconvertirsi in clown da un incidente di percorso. È anche acrobata e saltatore: soprattutto nei letti, a giudicare dalle figlie che dissemina in giro. Poi un giorno sposa la diciottenne Eva De Leeuwe, circense cantante d’operetta: olandese ed ebrea, viene da una dinastia di umoristi, maghi, musicisti. Le loro tre figlie, avviate quasi in fasce a una carriera sotto il tendone, prenderanno la strada di artiste indipendenti. La madre è l’«eterno carabiniere» che le seguirà quasi ovunque e morirà a novantaquattro anni, mentre del padre si perdono le tracce.
È nel 1935 che le prime due sorelle Lescano sbarcano in Italia come «Sunday Sister», una coppia di acrobate che ha già girato tutta l’Europa. Poco dopo, fiutando una luminosa carriera che arriverà senza neanche dar loro il tempo di rendersene conto, mamma Eva richiama dall’Olanda anche la piccola Caterina, chiusa in collegio.
L’Italia fascista ha bisogno di musica. La radio sta entrando nelle case degli italiani. L’autarchia arresta ai confini del paese tutto quel che è straniero, compreso il jazz e tanti altri generi. «Non si può importare, ma si può imitare», spiega Gabriele Eschenazi autore del libro Le regine dello swing. Il trio Lescano: una storia fra cronaca e costume in uscita per Einaudi (nonchè sceneggiatore della fiction televisiva dedicata al Trio di imminente programmazione). Il collettivismo spinto del regime, che esige massa d’urto e ha diffidenza d’ogni protagonismo che non sia quello del duce, non vuole voci soliste.
Così, il trio Lescano – che abita in una bella casa di via Artisti, a Torino, e si può persino permettere un automobile con tanto di autista – conquista il Paese: con quelle facce un poco stordite, gli occhi acquosi e i rotoli di capelli sulla fronte come dettava la moda (anzi, come dettavano loro tre). Le voci limpide, il ritmo swing che entra in testa e non esce più, le rime baciate infuse, forse, di una garbatissima ironia. Maramao perché sei morto, Ciribiribin, Pippo non lo sa (che non piacque al regime, perché quel «quando passa ride tutta la città» sembrava scritto apposta per il gerarca Achille Starace), Tulipan (omaggio alla loro terra natìa) hanno varcato gli anni, la guerra, le generazioni. Ce le abbiamo ancora nelle orecchie, insomma.
La parabola di Alessandra, Giuditta e Caterina Lescano – così italianizzano i loro nomi, in nome dell’autarchia – è vertiginosa. Ma ben presto arrivano le leggi razziali. Le sorelle sono straniere, di padre non ebreo e troppo famose per essere stroncate brutalmente dalle obbrobriose disposizioni: ottengono uno status speciale che consente loro di continuare a cantare. Ma non senza preoccupazioni, soprattutto per mamma Eva (in Olanda la sua famiglia sarà sterminata). Nel novembre del 1943, dopo un’esibizione al Teatro Grattacielo di Genova, le sorelle Lescano vengono arrestate. Difficile dire quanto rimasero a Marassi e come ne uscirono per raggiungere fortunosamente la madre, in clandestinità a Valperga Caluso nel Canavese.
Finita la guerra nulla sarà più come prima: Caterinetta, la piccola, scalpita. Vuole metter su famiglia, condurre una vita «normale». Il trio si spacca. Quel che ne resta parte per il Sudamerica insieme a un surrogato della sorella mancante, una giovanissima Maria Bria che nei quattro anni di tournées sotto l’equatore sarà costretta a fingere di essere una Lescano. In quelle terre remote esce di scena anche Giuditta. Sandra tornerà invece in Italia al seguito di un marito, per non cantare mai più.
È una storia bellissima, avvincente e anche crudele, quella del trio Lescano. Una storia paradigmatica eppure ambigua. Rappresenta il nostro il paese e i suoi travagli, ma è misteriosa come gli sguardi persi delle sorelle, le loro peregrinazioni, la loro noncuranza delle radici. Le partenze che si susseguono senza ritorno, le bisticciate epocali. Gli impresari che le sfruttano, i mariti che le conquistano. Nessuna di loro ha avuto figli, e alla fine si sono perse anche fra loro, come i mulini a vento che tanti anni prima avevano «lasciati per questo cielo blu».