Un paradosso: un giorno di afflizione vissuto come un giorno di gioia
Sappiamo tutti che il giorno di Kippùr espia le colpe commesse. Ma non tutte le colpe sono uguali per gravità, per intenzione (volontarie, involontarie ecc.), per il tipo di rapporti che coinvolgono (colpe nei confronti della natura, nei confronti di altre persone, nei confronti di D.), per l’atteggiamento successivo di chi le ha commesse (soddisfazione, rimorso, pentimento ecc.). E allora in che modo interviene il Kippùr?
La domanda è molto antica, ed è interessante sapere che fu proprio a Roma, 19 secoli fa, che l’argomento fu discusso e messo in ordine dai Maestri (Yomà 86a). A Roma viveva Mattià ben Cherèsh, un Maestro molto autorevole, che ricevette la visita di una delegazione di Maestri che venivano a Roma da Eretz Israel per motivi politici.
Praticamente la tradizione fa questa classificazione:
“Se una persona ha peccato omettendo di fare un mitzvà “positiva” (sono le mitzvòt in cui si deve fare una certa azione: dare tzedaqà, agitare il lulàv ecc.), e se ne pente, viene immediatamente perdonato.
Se una persona ha peccato trasgredendo un divieto e se ne pente, il suo pentimento (teshuvà) “sospende” (tolè) e il giorno di Kippur cancella (mekhappèr).
Se sono stati trasgrediti divieti gravi, punibili con il Karèt o la pena capitale, la teshuvà e il giorno di Kippùr sospendono e le sofferenze sciolgono (memarqin).
Per chi ha profanato pubblicamente il nome divino non bastano la teshuvà a sospendere, il Kippùr a cancellare e le sofferenze a sciogliere; tutti insieme sospendono e solo la morte scioglie”. 1
“Sospende” significa che le possibili conseguenze derivanti dalla colpa – quali che esse siano – non sono cancellate, ma neppure vengono attivate, e rimangono sospese; “cancella”, rende l’ebraico mekhappèr, che ha stessa radice del Kippùr, e può significare espiazione, eliminazione, copertura (nel senso che non è più visibile); Shaddàl faceva notare come siano paralleli nel suono e nei significati la radice ebraica kpr e l’italiano coprire. In termini giudiziari è come se ci fosse una cancellazione dallo schedario penale o una invisibilità del dato; la colpa non c’è più. Lo “scioglimento” è una specie di consumazione, un’eliminazione lenta della macchia, quando è particolarmente grave.
Riassumendo in termini un po’ differenti: ogni colpa determina una sorta di macchia nella coscienza e nel rapporto con D.; questa macchia può essere cancellata con la teshuvà, che è la presa di coscienza di ciò che si è fatto e l’impegno a non ripeterlo; il processo di cancellazione è per gradi, a seconda della gravità dell’azione, e il Kippùr ha un ruolo determinante, anche se variabile, in questo processo.
Un dato importante che emerge da questa analisi è che qui si parla soltanto della ricostituzione di un rapporto positivo tra la persona e D., dopo che l’armonia è stata turbata da una trasgressione. Non si parla dei rapporti tra le persone, se non per la conseguenza indiretta che reati tra persone possono portare ad una disarmonia anche con D. Kippùr non pulisce i conti dei rapporti tra le persone; questi rapporti vanno regolati prima che inizi il Kippur. Per questo motivo nei giorni di teshuvà e in particolare alla vigilia del Kippùr, bisogna andare a chiedere scusa alle persone a cui si è fatto un torto.
Giorno di afflizione o di gioia?
Kippùr è un giorno in cui c’è l’obbligo dell’ ‘innùi nefesh, “l’afflizione della persona”. “Afflizione” viene da una radice comune con il termine ‘anì, “povero”, colui che soffre per mancanza di beni materiali; come a dire: bisogna rendere povere le nostre persone. E’ la Torà che comanda l’afflizione (Lev. 16:29) 2, ma non specifica come debba essere procurata. Lo spiega la tradizione orale, imponendo 5 divieti:
– mangiare e bere
– lavarsi
– ungersi (=profumarsi)
– calzare scarpe di pelle
– avere rapporti sessuali (Mishnà Yomà 8:1) 3
E’ importante avere come riferimento la tradizione orale, perché altrimenti il concetto di afflizione potrebbe avere diverse letture e applicazioni, dalle più blande alle più sadiche (torture, fustigazioni ecc.). Una volta regolata la materia con norme precise, c’è una base comune di condivisione, ma anche un mondo simbolico estremamente ricco. E’ noto che queste regole, benché rigorose, non sono assolute, per cui esistono precise deroghe per i malati (consultare prima il medico e poi il rabbino in questi casi).
C’è un paradosso legato al Kippùr: fin dalle origini questo giorno di afflizione è stato vissuto non come una giornata di lutto ma come uno yom-tov, un giorno di gioia. Come si spiega questo fatto?
La risposta è nella visione ottimistica di fondo. Kippùr è essenzialmente un giorno di riconciliazione, di unificazione, di pacificazione, di rinascita spirituale. Alla base di tutto c’è la certezza di superare le debolezze della persona e di poter ristabilire un rapporto positivo con D., sempre pronto a perdonare, a cancellare il male e a far crescere l’uomo. Questa idea è radicata nel pensiero religioso ebraico, e consente a ognuno di ritrovare la sua strada (è il senso letterale della parola teshuvà) senza mediazioni, senza eventi epocali nella storia. Si rifletta sulla differenza tra il nostro calendario liturgico e quello di altre religioni che pure si richiamano all’ebraismo; solo noi abbiamo il Kippùr, che in sé assume quei valori di perdono e riconciliazione che in altri mondi richiedono ben diverse elaborazioni teologiche.
Ma allora come si spiega l’afflizione? Dal punto di vista strettamente tecnico le forme di afflizione rappresentano un modo comune e collettivo di esprimere la volontà di superare la crisi.
L’ebraismo non si accontenta mai della teoria, della semplice disposizione di spirito, richiede gesti formali e concreti, che coinvolgano il fisico perché ognuno di noi non è solo spirito, ma corpo e spirito.
Le stesse forme di afflizione sono quelle che noi applichiamo nel giorno più funesto dell’anno, il 9 di Av, ma lo spirito con cui si applicano è radicalmente differente. Nel 9 di Av ricordiamo la caduta del popolo ebraico, la perdita di tutto ciò che può rendere felice un popolo, la perdita della dignità e dei riferimenti essenziali.
Le stesse forme di afflizione a Kippùr rappresentano una perdita di umanità, ma in senso opposto, sono una prefigurazione del mondo futuro. Nel mondo futuro saremo simili ad angeli, senza bisogno di mangiare e bere, senza pulsioni sessuali, con un essenza spirituale che non ha bisogno di lavarsi; che è sospesa per aria e non ha bisogno di scarpe per camminare sulla terra; oppure come Mosè che si avvicina al roveto ardente, a cui viene ordinato di togliersi le scarpe, perché la terra che sta calpestando è admàt qòdesh, terra che appartiene a Colui che è Santo (Esodo 3:5) 4.
A Kippùr è come se tutta la terra sia diventata possesso di Colui che è Santo. E’ come se se tutti noi fossimo diventati creature angeliche, svincolati dai bisogni materiali. Stiamo in un altra dimensione.
L’inizio e la fine
L’inizio e la fine del Kippùr sono celebrati con particolare solennità. Poco prima che faccia buio ci si veste con il tallèd (è l’unica sera dell’anno in cui lo si indossa), ed è anche questo una sorta di rivestimento angelico. Al cospetto dei Sefarìm, come si richiede per dichiarazioni di speciale importanza, il Rabbino legge tre volte la formula del Kol Nedarim (in ebraico, secondo il rito italiano, in aramaico: Kal Nidrei negli alti riti). Tecnicamente è la formula che scioglie tutti i voti e gli impegni fatti in determinate circostanze; in alcune varianti non solo quelli già fatti ma anche quelli che si faranno. Il momento della lettura è particolarmente solenne; nel rito ashkenazita, in particolare, la melodia è tra le più struggenti e care. Qui si pongono due domande: perché tanta importanza a questa formula, e poi che senso ha annullare gli impegni. Nella letteratura antisemita la circostanza fornisce una delle migliori occasioni per dimostrare l’assoluta inaffidabilità degli ebrei, che anche se si assumono con gli altri un impegno con giuramento, sanno che non è valido perché è cancellato a Kippur. In realtà la portata giuridica dell’annullamento è ben limitata e può applicarsi a impegni fatti in incompleta incoscienza e che vengono dimenticati; piuttosto è l’aspetto simbolico quello che conta.
Il voto, o ogni forma di impegno preso sotto giuramento, costituisce una sorta di forzatura della volontà; ci si impegna solennemente a fare qualcosa, chiamando a garanzia ciò che è Sacro, perché altrimenti non si riuscirebbe, con le proprie forze, ad imporsi una disciplina. Il voto è una limitazione della propria libertà, con l’aggravante che “scomoda” ciò che è Sacro, chiamandolo garante. In altri termini il voto esprime una fondamentale debolezza umana, una difficoltà di muoversi nella realtà, una mancanza di disciplina; per questo è bene astenersene. L’annullamento dei voti proprio all’inizio di Kippùr ha un fondamento giuridico, perché nel momento in cui si deve ricomporre il rapporto con il Sacro bisogna azzerare tutti i conti; ma simbolicamente conta proprio in quel momento perché è in gioco il senso della vita di ognuno, della debolezza e della forza della personalità, di come ognuno sappia in ogni momento scegliere.
La fine del Kippùr è parimenti solenne, con i Sefarim esposti, la ripetizione dell’Hashem hu haE-loqim sette volte, in una sorta di accompagnamento della Shekhinà che sale in alto con la nostra parte spirituale purificata e il suono dello Shofar.
Tecnicamente lo Shofàr dell’uscita di Kippùr non sarebbe tanto importante, perché l’obbligo vero è quello del Rosh haShanà, e se lo si suona è principalmente per ricordo del Giubileo che iniziava all’uscita del Kippur. Ma il Giubileo proclamava la libertà per tutti, il ritorno alla condizione originale, la rigenerazione, ed è esattamente questo lo stato in cui dovremmo essere alla fine del Kippùr, dopo aver vissuto l’esperienza della condizione angelica e avere azzerato i conti.
Per questo il suono dello shofàr assume importanza, come segno di inizio di una nuova vita. Ma attenzione, il Kippùr non finisce esattamente con il suono dello shofàr, bisogna aspettare ancora pochi minuti, la fine dell’Arvit e l’havdalà. Solo da quel momento riprenderemo la vita normale, da esseri umani con tutte le debolezze ma anche con tutte le grandi potenzialità che ciascuno ha in sé nascoste.
http://www.shalom.it/modules.php?name=News&file=article&sid=265