La prima parashà della Torà inizia con le parole ” All’inizio Iddio creò il cielo e la terra”.
R. Daniel Terni (Ancona, 1740-1814, Firenze) in Shem ‘Olàm, nel suo commento a questa parashà, cita i maestri in Pirkè Avòt (Massime dei padri, 5:1) che affermano che “Con dieci comandi (maamaròt) fu creato il mondo”.
R. Yoseph Colombo (Livorno, 1897-1975, Milano) in una nota alla sua traduzione dei Pirkè Avòt, scrive: “I dieci comandi a cui allude sono rappresentati dai seguenti passi: Genesi I, 1, 3, 6, 9, 11, 14, 20, 24, 29, e II,18, cioè dai nove vajomer del racconto biblico della creazione, più l’inizio dello stesso passo in cui i Rabbini dividono la prima parola bereshith in due bi rishith (Per me fu il principio). La possibilità cui si accenna che Dio avrebbe avuto di creare il mondo con un solo comando, allude alla creazione ex nihilo. Un importante concetto morale e metafisico è espresso in questo paragrafo. Gli uomini giusti con le loro azioni perfezionano il mondo; i peccatori lo mandano in rovina. Concezione idealistica: il mondo non è tutto fatto ma attende dall’uomo il suo compimento, il suo miglioramento. Ecco il fine elevato della vita umana sulla terra”.
R. Terni cita lo Zòhar (Vaykrà, 11b) dove i maestri affermano che i dieci comandamenti sono paralleli ai dieci maamaròt con i quali fu creato il mondo.
Riguardo il primo dei dieci comandamenti r. Yehudà Halevi (Spagna, 1075-1141, Eretz Israel), autore del Kuzari, chiese a r. Abraham ibn ‘Ezra (Tudela, 1089-1164, Saragozza) il motivo per cui è scritto “Io sono l’Eterno tuo Dio che ti ho tratto fuori dal paese d’Egitto” (commento a Shemòt, 20:2) e non è invece scritto “Che ho fatto il cielo e la terra e ho fatto te”. R. Ibn ‘Ezra rispose che anche coloro che sono meno colti sanno che è stato il Signore che ci ha fatto uscire dall’Egitto, mentre una discussione sulla creazione del mondo è molto più difficile.
R. Terni cita anche r. Joseph ben r. Moshe di Przemysl il cui commento alla Haggadà di Pèsach intitolato Ketònet Passìm (stampata a Lublino nel 1685) contiene una derashà sulla festa di Shavu’ot (che inizia con le parole “kedè lehavìn”). In questa derashà vi è un’altra risposta alla domanda di r. Yehuda Halevi. Nel trattato ‘Eruvìn (13b) del Talmud babilonese è citata una discussione tra la scuola di Shammài e la scuola di Hillèl: È meglio che l’uomo sia stato creato, oppure sarebbe stato meglio che non fosse stato creato? Alla fine conclusero: sarebbe stato meglio che l’uomo non fosse stato creato; ma ora che è stato creato esamini le sue azioni. Pertanto non era opportuno che la Torà scrivesse “Che ti ho creato” e per questo è stato scritto “Che ti ho fatto uscire”.
Se così, afferma r. Terni, perché Dio creò l’uomo? E risponde: le parole “Sia luce”, si riferiscono alle azioni degli uomini giusti. Questo significa che Dio creò l’uomo allo scopo che fosse giusto; e se è giusto certamente è meglio che sia creato piuttosto che non lo sia. E così è detto in Kohèlet (Ecclesiaste, 7:29): “Dio ha fatto l’uomo retto, ma gli uomini hanno cercato molti sotterfugi”.
R. Terni offre anche una spiegazione alla posizione della scuola di Hillèl che afferma che è meglio che l’uomo sia stato creato. Il Santo Benedetto conta i buoni pensieri insieme con le susseguenti buone azioni, mentre non conta i cattivi pensieri insieme alle cattive azioni. E poiché contando anche i buoni pensieri vi sono più mitzvòt positive (248 moltiplicate per due cioè 496) di quelle negative (365), la scuola di Hillèl sosteneva che vi era un vantaggio nella creazione dell’uomo.