Tempio di via Eupili – Milano
I nomi, almeno nel lessico della Torà, sono certamente più che titoli cerimoniali, definiscono ciò che rappresentano . Ad esempio, la Torà chiama Pesach “Chag haMatzot”, un appellativo che mette in risalto le matzot, uno degli aspetti principali della festa. “Chag haSukkot”, il termine che la Torà usa per Sukkot, sottolinea il punto cruciale della festività, la Sukkà, che rappresenta il ricordo delle nubi che proteggevano l’accampamento degli ebrei nel deserto. La pertinenza del nome deve, ovviamente, essere vera per tutti i nostri Yamim Tovim, poiché nella Torà nulla è superficiale. Come interpretiamo allora “Shemini Atzeret?” Una traduzione semplicistica potrebbe essere “Shemini”, l’ottavo – Shemini Atzeret è un addendum alla festa di Sukkot – e “Atzeret”, trattenersi (dal lavorare).
Qual è la vera essenza di Shemini Atzeret? Shemini Atzeret è semplicemente un’aggiunta di un giorno a Sukkot senza una propria identità chiaramente distinguibile? Atzeret sembra porre un’enfasi eccessiva sugli aspetti restrittivi della festa, il fermarsi dalle attività lavorative, senza sottolinearne eventuali aspetti positivi. Qual è quindi il messaggio di Shemini Atzeret?
Uno sguardo a due numeri molto importanti può aiutare a chiarire questa questione. Sheva (sette), più di ogni altro numero, è il vero elemento costitutivo del tempo ebraico. La settimana ebraica è conosciuta come shavua (stessa radice del numero sette) ed è composta da sette giorni. Il Kuzari osserva che originariamente la società avrebbe potuto strutturare settimane composte da sequenze di otto, dieci o qualsiasi altro numero di giorni. Rav Shimshon Rafael Hirsch nota che i due mesi festivi di Nissan e Tishre sono intervallati da sette mesi l’uno dall’altro. Un’ altra occorrenza di questo sistema numerico sono i sette anni sabbatici (Shemità).
Rabbenu Bechaya, commentando la Parashà di Bo, cita il Midrash affermando: “chi ha i tefillin in testa e sul braccio, chi indossa gli tzitzit ai quattro angoli delle sue vesti e ha una mezuza sulla sua porta (per un totale di sette oggetti) si presume non sia un peccatore”. I sette aspetti di queste mitzvot si combinano per formare una sorta di aura protettiva. Anche il nostro lignaggio si basa sui risultati combinati di sette grandi del nostro popolo: i nostri tre patriarchi e le quattro matriarche. Il Midrash Rabbà Vayikra 29, incapsula questo concetto affermando che “kol hashviim chavivim” (tutti “i settimi” sono amati). Il Midrash quindi fornisce prova storica di questo assioma elencando una serie di generazioni e sequenze che hanno raggiunto il picco al settimo ciclo; Il settimo di un ciclo è il suo culmine e completamento. L’etimologia stessa di sheva (sette) trasmette l’idea sopra menzionata. Il Maharal, correla sheva (sette) a sòva’ (soddisfazione); Un ciclo composto sulla base di sette, ci permette di portare a termine tutto ciò che ci eravamo prefissati. Il sette simboleggia la possibile realizzazione del nostro potenziale. Le nostre vite quotidiane sono quindi strutturate in sequenze di sette.
Tuttavia, sette non è sempre il numero giusto. Ci sono momenti nella nostra vita che non sono né banali né quotidiani. Questi momenti non si adattano alla struttura abituale della nostra vita quotidiana e non possono essere risolti con i normali cicli di sette. Questi cicli possono essere rappresentati da un altro numero, l’otto.
Otto era il numero ricorrente del Beit Hamikdash. Rabbenu Bechaya, commentando Vayikra 9,1 afferma che la maggior parte degli aspetti del Tempio erano multipli di otto: Gli otto articoli del vestiario del Sommo Sacerdote, gli otto aromi dell’olio dell’unzione e l’incenso, gli otto portatori delle stanghe. Il Maharal, concretizza questo aspetto associando shemini (otto) a shemen (eccesso grasso) interpretandolo come al di là del solito, più del necessario. La Milà è un’altra mitzvà orientata attorno al numero otto. È eseguita l’ottavo giorno di vita di un bambino, perché lo scopo della circoncisione è differenziarci ed elevarci al di sopra del livello di ciò che ci circonda. Tefillin e tzitzit potrebbero essere altri esempi. Gli otto filamenti dello tzitzit e gli otto brani della Torà contenuti nei tefillin dovrebbero costituire un promemoria per evitare che la Torà si allontani dai nostri cuori e per seguire un comportamento corretto.
Shemini Atzeret arriva alla fine della serie di festività annuali. La prima festività tra le feste di pellegrinaggio menzionata nella Torà sono i sette giorni di Pesach, con le sette mitzvot del Seder: Pesach, matza e maror (per Avraham, Yitzchak e Yaakov) e i quattro bicchieri di vino (per le quattro matriarche), come commenta il Maharal sull’Haggadà. Da Pesach si contano sette settimane che culminano con la festa di Shavuot; Tra Rosh haShanà e Kippur ci sono sette giorni penitenziali. Infine, celebriamo i sette giorni di Sukkot in cui afferriamo un etrog, un lulav, due aravot e tre haddasim – le sette parti delle quattro specie. Solo attraverso questo lungo processo saremo capaci di andare oltre la normale struttura della nostra vita quotidiana e di arrivare a Shemini Atzeret, alla peculiarità rappresentata dal numero otto. Lo Sforno commentando Vayikra 23, 36 nota che Shemini Atzeret “è lo Yom Tov in cui si completano tutte le festività di Yom Tov”. Shemini Atzeret, uno Yom Tov il cui nome evidenzia il fatto che si tratta di un ottavo giorno di festa, è molto più di un’aggiunta: È, come spiega il Maharal, una festività dal grande potenziale che va ben oltre quello delle altre festività. Essere chiamato Shemini (ottavo), quindi, è un attributo piuttosto che detrazione.
Un altro aspetto singolare di Shemini Atzeret è la sua mancanza di struttura. Pesach e Sukkot hanno i loro particolari comandamenti positivi (matzà, sukkà) e negativi. Shemini Atzeret non ha mitzvot particolari. Il Gaon di Vilna interpreta la frase “e dovresti solo essere gioioso”, (Devarim 16) sostenendo che la gioia è l’unica mitzva di Shemini Atzeret. Shemini Atzeret non si concentra su dettagli particolari. Avendo vissuto le festività precedenti con le loro mitzvot peculiari, in questa festa siamo pronti per il mondo illimitato, ma ancora indefinito. Ci rallegriamo del fatto che abbiamo un altro giorno da trascorrere a Yerushalayim, affinando le lezioni assorbite da tutti i precedenti Yamim Tovim. Essendo “azeret” una definizione poco chiara, e quindi aperta a tutte le possibilità spirituali, permette di comprendere la grandezza della giornata.
Il messaggio è molto rilevante anche per noi; Shemini Atzeret ci viene ad insegnare che solo dopo aver interiorizzato il messaggio delle festività che l’hanno preceduto possiamo espandere i nostri orizzonti e progredire verso il mondo speciale di Shemonè (otto) – Shemini Atzeret. Possiamo e dobbiamo crescere, anelare ad arrivare a nuovi obiettivi, al nostro “otto” personale ma, prima di poterlo fare, dobbiamo assorbire e comprendere pienamente ciò che già abbiamo, il nostro “sette”. Solo allora avremo il diritto di chiedere di più a D-o.