Il tema del pentimento viene affrontato in varie culture e religioni ed è spesso l’argomento centrale di importanti romanzi. La coscienza spinge l’uomo a riflettere sulle proprie azioni e sulle colpe commesse, spingendolo a cambiare strada e fare teshuvà (tornare allo stato precedente al “delitto” commesso): molti romanzi ruotano intorno alla storia della Teshuvà – ritorno e non pentimento come viene tradotto erroneamente spesso. L’idea del pentimento è la strada scelta dalla maggior parte delle persone, ma non è quella consigliata da Friedrich Nietzsche: luomo o meglio il “superuomo” non dovrebbe mai piegarsi. Nietzsche loda l’antica cultura greca proprio perché essa ha una concezione non inquinata dall’idea di peccato che, secondo Nietzsche, il Cristianesimo ha ricavato dalle sue radici ebraiche.
Avere il sentimento di avere commesso un crimine, pentirsene e volere poi liberamente fare ammenda sembra il modo migliore per costruire una civiltà e una comunità: l’uomo può cambiare perché è stato creato libero e questo fatto lo rende responsabile delle sue azioni.
La colpa maggiore che l’uomo può fare è quella di lasciare spazio e abbandonarsi alla tristezza, mentre la gioia è considerata il modo migliore per affrontare la vita e tutte le traversie che l’uomo incontra nella vita. Negli ammonimenti della Torà, la peggiore delle “maledizioni”, perché può condurre alla depressione: l’uomo è chiamato a servire il Signore con gioia e se non lo fa dovrà subirne le conseguenze.
Tra i racconti popolari più noti può essere interessante analizzare “La avventure di Pinocchio”. La storia è di un burattino progettato da un uomo (Geppetto) che ne fa di cotte e di crude, allontanandosi da quello che era il progetto “educativo” che il padre avrebbe voluto. Nel corso della sua storia Pinocchio riceve varie sollecitazioni da varie persone e animali che lo allontanano dalla “retta via”: l’istinto buono (il grillo parlante) cerca di indurre Pinocchio a non seguire gli esempi “malvagi”, ma senza successo: vediamo qui la lotta tra yetzer hatov e yetzer harà, l’istinto che dovrebbe portare l’uomo a fare del bene, e quello negativo che nel romanzo si manifesta in mille modi. Dopo molte peripezie, Pinocchio va allaricerca del padre Geppetto che intanto era andato a finire nella pancia di un grande pesce: salva il padre e lo riporta a casa, riparando in parte a tutto il male che aveva fatto. Poi va a dormire e la mattina si sveglia come un bambino di carne ed ossa: la teshuvà, con l’aiuto di una Fata, ha permesso a un burattino (!) di diventare una persona….
Non è un caso che nel pomeriggio di Kippur, quasi nel momento in cui ci avviamo a terminare la giornata più significativa dell’anno, leggiamo la storia di Giona, anche lui ingoiato da un grande pesce epoi rigettato sulla spiaggia per andare a svolgere la sua missione per gli uomini di Ninive. Il testo ci dice che non possiamo “fuggire” dall’esperienza della Teshuvà. Il confronto con le avventure di Pinocchio ci insegna che ognuno può fare un percorso come quello di Pinocchio, anche se è partito da condizioniintellettuali, spirituali e pratiche molto difficili. Tutto dipende dall’impegno che riesce a mettere nella sua esperienza.
Scialom Bahbout