Nella seconda parashà dello Shema’ che appare in questa parashà è scritto: “Guardate bene però che il vostro cuore non sia sedotto e vi sviate, servendo altri dei e prostrandovi loro” (Devarìm, 11:16).
R. Joseph Beer Soloveitchik (Belarus, 1903-1993, Boston) in Mesoras Harav (p. 96) commenta che sappiamo quanto la Torà odi il paganesimo e quante volte avverta Israele di non cadere nel peccato dell’idolatria. Leggendo la Torà si potrebbe pensare che tutto questo valeva migliaia di anni fa quando l’umanità viveva nell’orbita dei politeismo. Ma oggi che valore può avere per noi un avvertimento simile?
Già da secoli Cristianesimo e Islam hanno accettato fondamentalmente il messaggio del monoteismo diffuso dal popolo ebraico. Chi sono dunque gli idolatri tra di noi? Al giorno d’oggi la gente o sostiene l’esistenza di un Creatore oppure si dichiarano atei.
Chi è dunque l’idolo adorato dagli uomini? È l’uomo stesso! La peggiore forma di culto idolatrico è la deificazione dell’uomo.
In un suo discorso tenuto nel 1948 e intitolato “Jewish Sovereignty and the Redemption of the Shekhinah” (pp. 134-7), r. Soloveitchik affermò che l’idolatria non si manifesta con il culto religioso tramite specifiche cerimonie e riti. Quando una persona trasferisce il rapporto che si ha con il Creatore a un essere umano, è diventato un’idolatra.
Il rapporto tra l’uomo è il Creatore è quello di sentirsi totalmente dipendenti da Dio. Questo senso di dipendenza genera serenità spirituale. Quando questo senso di dipendenza viene trasferito a un essere umano, anche al più grande essere umano, si cade nell’idolatria. Questo tipo di rapporto non è solo un peccato individuale, ma anche un peccato collettivo. La deificazione di una personalità verso la quale avere assoluta fiducia, può essere trasformata in una tremenda forza storica che è idolatria.
Noi ebrei abbiamo commesso questo peccato in esilio. E con questo non si intende l’esilio medievale, ma proprio quello dei nostri tempi. Abbiamo creduto con passione in certi movimenti rivoluzionari. Gli ebrei di Berlino deificavano Goethe e Kant, a Parigi deificavano Voltaire, Rousseau e la Rivoluzione Francese. All’inizio del secolo passato i nostri giovani da Varsavia a Vilna giurarono fedeltà a Marx, Engels e Kautsky. Tutto questo con assoluta fiducia nell’uomo e nella deificazione dei suoi valori culturali.
È vero che la Torà insegna il concetto che l’uomo è stato creato a immagine divina. R. ‘Ovadià Sforno (Cesena, 1475-1550, Bologna) nel suo commento alla Torà , spiega che “immagine” significa la sua intelligenza (Vaykrà, 13:47). L’uomo viene glorificato nei Tehillìm (Salmi, 8:6-7): “Tu l’hai fatto poco meno che divino, l’hai adornato di gloria e maestà…”. Nello stesso tempo non si possono negare i poteri mefistofelici che sono nascosti nell’uomo. La storia ebraica degli ultimi centocinquant’anni adorò l’uomo e gli diede qualcosa che apparteneva al Padrone del Mondo: “Gli occhi di tutti Ti guardano aspettanti” (Salmi, 145:15). L’idolatria di oggi.