“E prese Qorach figlio di Ytzhar figlio di Qehat figlio di Levi…
“…siccome tutta la congregazione è di santi e in mezzo ai quali c’è l’Eterno, perché vi ergete al di sopra della comunità di D-o?” (Numeri 16:1 e 3).
La Torà racconta uno degli episodi più negativi della storia degli ebrei nel deserto, la ribellione di Qorach.
Rashy (Rabbi Shelomo Yitzhaqi 1040-1105), nel suo commento, spiega che Qorach si ingelosì della nomina del cugino Elizafan ben Uziel a rappresentante della famiglia di Qehat (secondo figlio di Levi), cui lui apparteneva. Qorach sosteneva l’ingiustizia di questa nomina e protestò contro Mosè e Aronne: sta bene che Aronne e Mosè, figli di Amram primogenito di Qehat, avessero le cariche più importanti (Re e Sommo Sacerdozio), ma quella di Nasì (principe/rappresentante) della famiglia di Qehat sarebbe dovuta cadere su di lui, figlio di Ytzhar secondogenito di Kehat.
La contestazione di Qorach, che alla luce di quanto spiegato da Rashy potrebbe sembrare legittima, perché nelle Massime dei Padri (Avot 5:23) viene definita come la discussione che, per eccellenza, non ha finalità costruttive (leshem shamaim)?
Per capirlo forse dobbiamo ricordare un fatto che vede coinvolti direttamente e indirettamente gli stessi personaggi.
Quando morirono i figli di Aronne, Nadav e Avihu, all’interno del Tabernacolo il giorno della sua inaugurazione, per estrarre i loro corpi furono chiamati da Mosè, Mishael ed Elizafan figli di Uziel figlio di Qehat e non Qorach figlio di Ytzhar figlio di Qehat.
Perchè Qorach, in quella situazione, non fece rimostranza alcuna rivendicando per sé quel triste incarico?
Forse, perché si trattava di occuparsi di defunti, perché si trattava di compiere un dovere, una scocciatura per la quale era stato meglio che altri venissero incaricati. Quando invece si tratta di cariche onorifiche e diritti, come la nomina a rappresentante del casato paterno, in Qorach si desta “l’orgoglio della rappresentanza”.
Per la propria ambizione, per la ricerca dalla gloria, Qorach cadrà in rovina ma la questione più grave sta nel fatto che le sue azioni hanno si portaro danno anche a tutte le altre persone attirate dalla sua propaganda di uguaglianza universale.
La Torà ci propone dunque due grandi insegnamenti, validissimi ancora ai nostri giorni:
1. dobbiamo ambire all’adempimento delle mitzwoth, i nostri doveri, e creare sempre e comunque le condizioni per farle adempiere agli altri;
2. non dobbiamo accampare diritti, anche quelli che riteniamo acquisiti, se motivati dalla frenesia dell’apparire e delle rappresentanze.
I diritti sono la naturale conseguenza dell’esecuzione dei nostri doveri, Shabbat Shalom!