La Parashà della settimana conclude il libro di Bereshìt e ci propone una chiusura piuttosto oscura; l’ultimo versetto infatti recita: “E morì Yosèf all’età di 110 anni, fu imbalsamato e messo in una bara in Egitto”. Per quale ragione la Torà conclude un ciclo così importante con queste parole? I Maestri richiamano l’attenzione sulla terminologia impiegata nel versetto: la bara di Yosèf viene infatti chiamata aròn. Il Talmud nel trattato di Sotà sottolinea che nel Tanàkh il solo riferimento all’aròn è quello relativo al contenitore in cui vennero riposte le Tavole della Legge, per cui per analogia, si deduce che la kedushà di Yosèf era al pari di quella delle Tavole della Legge. Il Pri Zadik inoltre si chiede per quale motivo il versetto specifichi che Yosèf fu messo in un aròn in Egitto; non abbiamo infatti ragione di pensare che fosse altrove! Egli risponde che la Torà vuole insegnarci che Yosèf approfittò dell’esilio in maniera egregia, elevandosi ai livelli delle Tavole della Legge proprio in Egitto e non altrove, il che rappresenta un importante insegnamento per noi: l’esilio non è una punizione ma una realtà con cui confrontarsi quotidianamente e attraverso la quale si possono raggiungere mete molto elevate.