Jonathan Pacifici – www.torah.it
“E parlò il Signore a Moshè dicendo: ‘Parla ai figli d’Israel dicendo: ‘Una donna che sia fecondata e partorisca un maschio e sarà impura per sette giorni come i giorni del suo ciclo mestruale sarà impura. E nell’ottavo giorno sarà circoncisa la carne del suo prepuzio.” (Levitico XII, 1-3).
La doppia parashà di questa settimana ci introduce nel mondo della purità e dell’impurità, prima con le regole della partoriente e poi con le varie forme di tzaraat della pelle e delle case ed i relativi processi di purificazione.
Incastonato tra i versi che parlano dell’impurità della partoriente compare il verso “E nell’ottavo giorno sarà circoncisa la carne del suo prepuzio.” In realtà da questo verso non si impara il precetto della milà che è stato invece già dato ad Avraham. I nostri saggi evincono invece dal nostro verso i dettagli relativi alla tempistica della milà all’ottavo giorno ed in particolare relativamente alla milà di Shabbat.
Shadal individua la necessità dell’espressione di questi dettagli in questo punto per via del fatto che l’‘otto’ è un numero poco consueto nelle regole della Torà: in genere si conta in base ‘sette’ o ‘dieci’, numeri generalmente preferiti dalla Torà. Il legame con l’impurità della madre diviene allora chiaro: la milà deve avvenire dopo che la madre ha avuto il tempo tecnico di purificarsi (chiaramente non si parla qui di ogni donna ma si stabilisce un principio che verte sul tempo minimo richiesto). Shadal individua tre ragioni per questo.
La prima è un idea di Rabbì Shimon bar Yochai (Niddà 31b) che afferma che la milà è un momento di gioia e sembrerebbe quindi logico che i genitori, per gustarla appieno, siano usciti dal periodo in cui vige la proibizione di rapporti coniugali.
Il secondo motivo è quanto dice Sforno sul nostro verso: la radice del sostentamento del feto è nel sangue del mestruo della madre. Questo sangue, impuro, ci mette otto giorni ad essere metabolizzato dal neonato e quindi la milà avviene non appena il bambino si è liberato di ogni traccia di impurità.
Il terzo motivo è un’idea dello stesso Shadal: l’orlà, il prepuzio è una forma di impurità definita anche dalle parole di Isaia (LII, 1) ‘incirconciso ed impuro’. Il bambino si libera di questa impurità contestualmente alla purificazione della madre.
Anche l’Or Achajm HaKadosh riflette sulla collocazione del nostro verso: il Midrash dice ‘e nell’ottavo giorno, persino di Shabbat’. Non si capisce però perché non sia stato collocato il verso sul respingimento della milà da parte dello Shabbat negli stessi versi che stabiliscono il precetto di Avraham nostro padre. Ciò ha a che fare con il dono della Torà. Ricorderemo che noi non circoncidiamo i nostri figli perché così comandò Iddio ad Avraham, piuttosto noi pratichiamo la Milà per via del fatto che Moshè ha ricevuto sul Sinai la mizvà di praticare la milà così come Iddio aveva comandato precedentemente ad Avraham. Allora se la milà di Shabbat fosse stata data con la milà di Avraham avremmo potuto dire che questo valeva per Avraham a cui non era stato ancora comandato lo Shabbat, ma non per noi. Quantunque Avraham chiaramente osservasse lo Shabbat secondo il principio che i Padri mettevano già in pratica la Torà, egli non aveva la mizvà dello Shabbat. Si sarebbe creato allora un corto- circuito tra il comandamento della milà e l’‘ancora non comandamento’ dello Shabbat.
L’Or HaChajm ricorda ancora che i nostri Maestri hanno detto che Iddio ha ordinato la milà all’ottavo giorno in modo che il bambino abbia abbastanza forza per sostenerla e ciò avviene dall’ottavo giorno, così come per i korbanot. Per il Maestro questo si impara anche nello Zohar (qui e su Emor) secondo il quale è necessario che prima della milà il bambino sperimenti uno Shabbat intero (per la qual cosa servono almeno otto giorni). E ciò in base all’opinione dei Maestri che ritenevano che il mondo fosse debole ed instabile prima che fosse dato lo Shabbat. È lo Shabbat che porta forza al mondo ed anche al neonato.
Un ulteriore analisi dell’Or HaChajm verte sulla notissima domanda di Turnus Rufus a Rabbì Akivà. Nel Midrash Temurà egli chiede quali opere siano migliori: se quelle del Signore o quelle umane. Senza scomporsi troppo, il nostro grande maestro afferma che sono senz’altro meglio quelle dell’uomo, così come un pane è migliore del grano. E quando questi chiede come mai allora, se Iddio preferisce veramente le cose in maniera diversa, ad esempio la circoncisione, non crei l’uomo già circonciso, Rabbì Akiva insegna: ‘Dal momento che non ha dato Iddio le mizvot ad Israele altro che per migliorarli attraverso di loro’.
L’Or HaChajm pensa che se anche Turnus Rufus si fa andare bene la risposta, noi invece dobbiamo capirla meglio. Chi genera, genera a sua immagine. Ed allora perché il circonciso genera un incirconciso? Il papà circonciso ha già avuto rimossa la sua klipà. Non parliamo chiaramente qui di genetica ma di etica. E vale appunto l’esempio contrario. Moshè nasce circonciso biologicamente ma genera un incirconciso, lo sappiamo bene dai versi che descrivono la milà che opera Zipporà.
L’orlà rappresenta ogni negatività.
“Quando Avram ebbe novantanove anni, il Signore apparve ad Avram e gli disse: ‘Io sono ‘El Shadai’ procedi dinanzi a Me e sii perfetto’”. (Genesi XVII, 1).
‘Procedi dinanzi a Me: secondo il suo Targum [la traduzione aramaica di Onkelos], attaccati al Mio servizio. E sii perfetto: anche questo è un ordine che segue un ordine. Sii integro in tutte le Mie prove. E secondo il suo Midrash: procedi dinanzi a me con la mizvà della milà e con ciò sarai perfetto, poiché per tutto il tempo in cui hai il prepuzio, tu sei imperfetto dinanzi a Me…’ (Rashì).
Adam viene creato circonciso, nella creazione perfetta del Signore non c’è orlà. Il pane cresce dalla terra: il cibo è a disposizione senza fatica. Non c’è gravidanza, la donna partorisce contestualmente al rapporto sessuale. È il peccato che innesca tutto, come i nostri Saggi hanno insegnato in TB Sanedrhin 38: con il peccato Adam si è riattaccato la milà ed è diventato arel.
È lì che parte il concetto di mestruo e niddut (TB Eruvin 100b, Ketubot 10b) e lì parte anche il concetto delle klippot delle bucce che avvolgono il cibo tanto che il grano necessità di dieci fasi di lavorazione (TB Shabbat 73b) che lo Zohar associa alle dieci maledizioni che scompariranno in futuro quando la terra produrrà direttamente il pane.
Per Turnus Rufus Iddio dovrebbe farsi esecutore del proprio Volere senza nesso con l’azione umana, ma questa è l’antitesi del senso del mondo post-peccato. Noi siamo chiamati a migliorarci attraverso le mizvot. E per questo allora milà ed impurità della partoriente vengono dati assieme. Per spiegarci che la loro radice è la stessa, il tikun, l’aggiustamento di quanto distrutto con il peccato di Adam e Chavvà. L’Or HaChajm sostiene che la milà è collocata all’ottavo giorno quasi che il neonato debba contare i propri shivà nekiim, i propri sette giorni puliti, come la donna mestruata. Ed all’ottavo viene circonciso appena dopo il mikve della madre.
Rabbì Akivà spiega a Turnus Rufus che tutta la Torà, tutte le mizvot, servono a migliorarci perché è un processo che noi e solo noi dobbiamo e possiamo fare.
Ed abbiamo già visto come per lo Sfat Emet la milà sia anche una chiave per la Torà stessa. I Tosafisti, e lo riporta poi anche il nostro Sfer HaTadir (Rabbì Moshè Bar Yekutiel MeAdumim da Roma) vedono nel verso ‘Mì Iaalè Lanu Ashamaima’ ‘Chi salirà per noi in cielo [a prendere la Torà]’, le iniziali della parola milà. Per i Saggi il verso intende che anche se la Torà fosse in cielo dovremmo andarcela a prendere. Lo Sfat Emet aggiunge che proprio attraverso la milà noi riusciamo a salire in cielo, a ricongiungere materia e spirito. Attraverso la milà possiamo veramente ricongiungere la Torà terrestre alla Torà celeste. Possiamo prendere il mondo come è e riportarlo a come Iddio lo Voleva.
Abbiamo visto in passato che il precetto della milà è strettamente legato all’ereditarietà della Terra: è solo dopo essersi circoncisi che gli ebrei entrano in Erez Israel uscendo dall’Egitto.
Alla vigilia dell’ingresso, Israele viene nuovamente contato con una particolare attenzione ai nomi delle famiglie che vengono quasi timbrati con le lettere del Nome di D. a testimoniare la loro purità. Ebbene questo censimento si rende necessario per il Rabbi di Gur proprio in vista della presa di possesso di Erez Israel, poiché ognuno deve avere la sua specifica parte in Erez Israel. Questa identità tra Israele popolo ed Israele terra, passa per il Rabbi attraverso il brit hamaor, il patto della pelle, la milà. Iddio sancisce la purità familiare nel computo di Israele per ricordarci che questa è la condizione necessaria per ereditare la Terra e distinguerci da quelle genti che in essa hanno invece perpetrato ogni tipo di abominio sessuale.
Contestualmente all’ingresso finisce la manna, “e mangiarono dal prodotto della Terra di Kenaan”.
È in Eretz Israel che noi possiamo trovare il nostro ruolo di moalim del Creato. Circoncidendo i nostri figli e circoncidendo la natura attraverso il lavoro del prodotto della terra.
Shabbat Shalom e Moadim LeSimchà LeGheullà Shelemà, Jonathan Pacifici