La scorsa settimana abbiamo letto la descrizione di uno degli eventi più significativi della storia ebraica, il dono dei Dieci Comandamenti sul Monte Sinai. La Parashà di questa settimana, Mishpatim, ci riporta sul terreno della realtà quotidiana. Danni, responsabilità, schiavi, corruzione, interessi, violenze, omicidi e furti sono le halachot di cui leggiamo questa settimana. Alla fine della Parashà, siamo sorpresi di scoprire che tutte queste halachot sono incluse in un documento chiamato Sefer haBerit, (Il Libro dell’Alleanza). Questo ci insegna che trattare con i livelli considerati più bassi della vita e con gli aspetti meno attraenti della società umana è una parte inseparabile dell’alleanza con D-o. La rivelazione sul Monte Sinai non si è conclusa con esperienze elevate, ma ha in definitiva risvegliato nell’uomo il desiderio di un vero cambiamento sociale che penetri tutti gli aspetti della vita.
Nel primo versetto della Parashà leggiamo: “E queste sono le leggi che tu porrai davanti a loro” (Shemot 21, 1). La frase “che porrai loro davanti” è interessante. Naturalmente, questo è un termine metaforico, dal momento che le leggi della Torà non sono un elemento tangibile che può essere esposto davanti a un gruppo di persone. Qual è quindi il motivo per l’utilizzo di una frase metaforica piuttosto che usare la frase spesso usata nella Torà, “Parla ai figli di Israele e insegna loro”? A chi si riferisce il termine “loro”? Di fronte a chi dovrebbero essere poste queste direttive?
I commentatori classici intendono il termine “loro” come riferito all’intera nazione ebraica. Così, ad esempio, Rav Chaim ibn Attar spiega che l’utilizzo di questo termine serve perchè si potrebbe pensare che ci siano parti della Torà di cui ogni persona deve essere a conoscenza, come le leggi relative alla kasherut e allo Shabbat, ed altre parti della Torà, come quelle relative ai danni, che solo i professionisti devono comprendere in profondità. Questo è ciò che la Torà vuole negare. Le leggi sui danni materiali e spirituali, come anche altre questioni sociali negative, devono essere poste, insegnate, all’intera nazione. La conoscenza di queste leggi fa parte del processo educativo che forma una persona che si sente vicina e si identifica con la vita morale che si riflette in queste leggi.
La frase “posta davanti a loro” esige comunque un esame più approfondito. Due dei più grandi commentatori del Medioevo commentano il significato di questa frase e ci insegnano due importanti princìpi educativi. Uno dei più grandi commentatori, Rashi vede la frase “posta davanti a loro” come una direttiva riguardo alla necessaria chiarezza nell’educazione e nell’apprendimento. Rashi scrive: “Il Santo, benedetto Egli Sia, disse a Moshè: Non pensare di dire ‘Insegnerò loro il capitolo o la legge due o tre volte finché non lo conoscano bene, come è stato insegnato, ma non lo farò e mi preoccupo di consentire loro di comprendere le ragioni della questione e la sua spiegazione.’ Pertanto, è detto: ‘Devi apparecchiare davanti a loro’, come un tavolo, apparecchiato e preparato per mangiare, davanti a qualcuno “(Rashi, Sehmot). Quando insegniamo, il nostro obiettivo non è solo trasmettere conoscenza. Vogliamo che il nostro studente interiorizzi il contenuto. Il materiale deve essere presentato agli studenti “come una tavola apparecchiata e preparata per mangiare”. Allo stesso modo, Rav Yosef Karo spiega nella sua introduzione la scelta del nome Shulchan Aruch (che letteralmente significa “tavola apparecchiata”), nome dato al suo monumentale libro di Halacha: “E ho chiamato questa opera Shulchan Aruch perché il pensatore troverà in esso diverse prelibatezze impostate, conservate, organizzate e chiare” (Introduzione allo Shulchan Aruch).
Contrariamente ai commentatori citati, un altro commentatore del Medioevo, il Ramban legge un significato diverso nella frase “posta davanti a loro”. “Ciò significa che disse loro: “Ecco, ho presentato davanti a voi le parole [di D-o]. Scegliete voi oggi se le osserverete o meno. Perciò gli risposero: Tutto ciò che l’Eterno ha detto, noi lo faremo. Questo è simile al significato nel versetto: Vedi, oggi ho posto davanti a te la vita e il bene, e la morte e il male, e anche: E queste sono le leggi che tu porrai loro davanti, nel senso che devono dire se sceglieranno di osservarle e accettarle su di loro. È per questo motivo che lì si dice: E Moshè venne e riferì al popolo tutte le parole dell’Eterno e tutti i decreti; E tutto il popolo rispose con una sola voce e disse: Noi osserveremo tutte le parole che l’Eterno ha detto. Allo stesso modo, “E questa è la legge che Moshè pose davanti ai figli d’Israele” significa che Moshè chiese alla generazione che sarebbe entrata in Eretz Kenaan se avrebbe accettato la Torà, poiché stava per fare un patto con loro sulle pianure di Moav, come aveva fatto con i loro padri sul Chorev. E il Gaon Rav Saadia disse che l’espressione, “e lui pose davanti a loro”, è simile nel significato all’espressione, “mettilo nella loro bocca”, [essendo questo un riferimento alla Legge Orale, che è il commento alla Legge Scritta]…’” (Nachmanide su Shemot 19,7).
Il principio che emerge è che non è giusto costringere uno studente ad adottare i punti di vista dell’educatore. L’educatore deve presentare allo studente i contenuti, i valori e le leggi, lo studente sceglierà se accettarli o rifiutarli. Non dobbiamo pensare di avere la capacità di costringere gli studenti, o i nostri figli, a intraprendere il percorso che scegliamo per loro. Dobbiamo comunicare chiaramente ed insegnare i princìpi morali e i princìpi in cui crediamo. Se saremo dei bravi insegnanti saremo in grado di costruire una società basata sulla giustizia ed equilibrata.