Molte volte ci siamo chiesti come mai una parashà così importante come quella che leggeremo shabbat, inizia con il nome di un non ebreo, tanto più, come sottolinea il testo: Cohen Midian”
sacerdote di Midian, e tutti sappiamo bene che le nazioni dell’epoca avevano una cultura politeista.
Itrò, (la cui figlia divenne moglie di Moshè che per questo più volte oggetto di critica), ha delle capacità di comprensione particolarmente elevate.
Molti commentatori biblici sostengono che, oltre ad essere un sacerdote di un culto pagano era anche uno studioso di altre religioni esistenti all’epoca.
Il popolo ebraico, in quel preciso momento, aveva sicuramente fatto notizia, a causa della sua clamorosa uscita dall’Egitto, ma soprattutto per il miracoloso attraversamento del Mar Rosso all’asciutto, vedendo così la morte della gran parte dell’esercito egiziano.
Tutto ciò non poteva passare inosservato da Itrò, il quale, oltre ad essere il sacerdote di Midian, era anche il suocero di colui che fu il protagonista principale di un evento così grande.
“’ATTA’ JADA’TI KI GADOL A’ MICCOL HAELOHIM”
“ ORA SO BENE CHE IL SIGNORE E’ IL PIU’ GRANDE FRA TUTTE LE DIVINITA’”
Questa espressione pronunciata da Itrò appena incontra nuovamente Mosè e il popolo di Israele, fa comprendere la sua qualità di studioso ma soprattutto il riconoscimento che il Signore D-o di Israele è superiore alle altre divinità.
Tutto ciò non prevede un attestazione di monoteismo o una conversione all’ebraismo di Itrò, quanto un atto di riconoscimento verso il D-o di Israele, sicuramente superiore alle altre divinità – persino a quelle di cui lui era sacerdote.
Questo atteggiamento può sicuramente far considerare Itrò un CHASSID UMMOT HA OLAM –
“giusto fra le nazioni”, termine che in questa nostra era viene usato, molte volte per definire chi, a rischio della propria vita, salva un essere umano, riconoscendo in lui un aspetto divino, ma soprattutto il diritto alla vita libera.
Itrò aveva operato in questo modo, nei confronti di Moshè, anche quando questi gli disse di dover tornare in Egitto, perchè il Signore era apparso a lui e gli aveva comandato di fare ciò.
Itrò risponde con una frase che può definirsi, non solo la partecipazione a questo fatto, ma anche la sua approvazione. “Lech le shalom” va in pace, ossia senza alcun remora e alcuna riserva, ma fa tutto ciò che la tua coscienza ti chiede di fare.
Itrò dopo aver rivisto tutto il popolo finalmente libero dal giogo oppressivo della schiavitù, si permette anche di esprimere una lode a D-o, benedicendolo proprio nello stesso modo in cui è uso degli ebrei fare:
“ BARUCH A’ ASHER HIZZIL ETCHEM MIJAD MIZRAIM U MIJAD FARO’”
“Benedetto sia il Signore Iddio che vi ha salvati dall’Egitto, dalla mano del Faraone”
Questa non è soltanto una benedizione o una espressione di ringraziamento, ma una cantica del tipo della shirat ha jam, di cui non si era più ascoltato , ma soprattutto secondo ciò che insegnano gli esegeti, non era ancora entrata in uso come formula di ringraziamento l’espressione BARUCH A’.
Questa è la grandezza di quest’uomo, questa è la democrazia che la Torà ci insegna, questo è il motivo per cui la parashà dei Dieci Comandamenti viene chiamata con il nome di Itrò.