La Parashà che leggeremo sabato mattina racconta delle ultime tre piaghe che il Signore mandò sull’Egitto per far sì che il Faraone finalmente si decidesse a liberare il popolo di Israele dalla schiavitù.
La parte centrale della parashà narra quindi della preparazione del popolo ad uscire dall’Egitto nel momento stesso in cui si compie l’ultima e forse la più dura delle dieci piaghe: la morte dei primogeniti.
Mentre gli egiziani stanno per essere colpiti da questa potente piaga, che convince finalmente il Faraone a liberare gli Ebrei, questi si accingono a preparare una celebrazione che diviene poi un’istituzione millenaria del popolo ebraico, cioè la “cena del seder”.
Mangiando l’agnello (di un anno, di sesso maschile, integro, preso già da quattro giorni prima e custodito presso le loro case), insieme alle erbe amare e al pane cotto senza essere lievitato, i Figli di Israele, sanciscono con il Signore un patto eterno di alleanza, in onore di un bene che in seguito diverrà la più grande aspirazione di ogni Uomo- la LIBERTÀ.
Il concetto di libertà è un concetto assai moderno, a cui ogni uomo anela e lotta per difendere, ma nasce con il popolo ebraico, che lo origina soltanto dopo aver patito per ben quattrocentotrenta anni una sofferenza più morale che fisica, che li rendeva schiavi di non poter manifestare i propri diritti e le proprie tradizioni.
Essere liberi infatti, non significa fare ciò che si vuole ma significa concedere al proprio prossimo il diritto di esprimere con rispetto ed educazione le proprie opinioni.
La Pasqua celebrata in Egitto, dai nostri Padri è chiamata dalla tradizione rabbinica con il nome di Pesach Mizraim (la pasqua d’Egitto), mentre quella celebrata dall’anno successivo, fino ai nostri giorni è chiamata Pesach dorot (la pasqua delle generazioni).
Perchè questa differenza?
La differenza è sostanziale in quanto la prima Pesach Mizraim, fu celebrata in condizione di schiavitù, mentre tutte le altre da uomini liberi.
I nostri Maestri si chiedono quale sia la condizione fondamentale per non ritornare mai più nella condizione di schiavi.
A questo quesito, risponde la Torà stessa, dicendo:
“ e sarà, quando tuo figlio ti chiederà domani, che cosa è questo? Tu dirai a lui, con mano potente il Signore ci ha fatti uscire dall’Egitto dalla casa degli schiavi” (Esodo cap.13 v.14).
La Torà ci comanda con questo versetto, due cose:
1) quando domani sarai libero, hai il dovere di ricordare e raccontare a tuo figlio, ciò che ti accadde in schiavitù, facendo sì che anch’egli possa considerarsi parte in causa.
2) Osservando scrupolosamente ciò che ci è stato comandato di fare, dalla Torà in quella occasione, senza dire: “sono ormai trascorsi tremila e cinquecento anni, quindi anche se non osservo più, non cambia nulla.
L’osservare e mettere in pratica le Mizvot, coinvolgendo i figli e stimolandoli ad osservare anch’essi, è secondo la tradizione ebraica, il requisito fondamentale per non cadere mai più in una qualsiasi forma di schiavitù.
Non a caso, il periodo che inizia con la festa di Pesach, si conclude con Shavuot- la festa della donazione della Torà- della “Legge”.
Perchè nella tradizione ebraica, può considerarsi libero soltanto chi osserva la Torà e le sue mizvot.
Esse sono infatti la garanzia che ogni ebreo che le osserva non farà mai un atto di oltraggio al proprio fratello privandolo di uno dei suoi diritti principali:
quello di far sentire la propria voce.
Shabbat shalom