Ci viene descritta minuziosamente la preparazione dell’uscita dall’Egitto e ciò che gli ebrei dovranno fare per esserne degni.
Dopo la descrizione della cerimonia pasquale, la Torà più volte comanda l’insegnamento ai figli di ciò che accadde in Egitto e, soprattutto, la trasmissione della storia e di quella esperienza.
La prima volta è scritto:” Vehiggadtà levinkhà bajom ha hu… – E lo narrerai a tuo figlio in quel giorno… “; la seconda volta invece: ” Ve hajà ki ishalekhà binkhà machar lemor ma zot… – E sarà quando domani tuo figlio ti chiederà, cos’è questo? “.
In entrambi i casi la Torà consiglia il modo come rispondere e come insegnare ai figli le esperienze del passato .
Per entrambe le volte è comandata la mizvà dei tefillin, come “segno” e come “ricordo”.
I mefareshim si domandano cosa hanno a che fare i tefillin con l’uscita dall’Egitto?
Il motivo per cui indossiamo i tefillin tutti i giorni è il “zikkaron – il ricordo“; il ricordo è alla base dell’insegnamento.
L’esercizio più appropriato per la memoria è quello di ricordare sempre, in ogni momento della giornata, quella che è la nostra storia.
Il ricordo può essere di due tipi: razionale – con il cervello; sentimentale – con il cuore.
Noi – insegnanti o genitori – abbiamo il duplice dovere di far bilanciare i due tipi di ricordo: quello razionale – più distaccato, quasi asettico – quello sentimentale – più passionale – più di parte.
Il compito di un genitore o di un maestro è quello di trasmettere il passato come se fosse attuale, in modo da coinvolgere le nuove generazioni, come se anch’esse vivessero quei momenti in prima persona.
La mizvà della hanachat tefillin è fondamentale nella vita dell’ebreo, perché simboleggia la Torà che è l’insegnamento per eccellenza di esperienze di vita del nostro popolo.
Non a caso la parola SHEMOT, contiene anche la mizvà dei tefillin che, insieme all’osservanza dello shabbat e della milà, furono i requisiti necessari per far meritare al popolo ebraico la liberazione dalla schiavitù.
Shabbat shalom