Se il libro di Shemòt è chiamato “sefer ha gheullà – il libro della redenzione”, la nostra parashà è il rinnovo del patto, che vincola questa promessa.
Infatti, dopo aver ricordato a Moshè il Suo nome – mai rivelato, nemmeno ai Patriarchi – D-o gli rinnova il patto stipulato con Abramo Isacco e Giacobbe, in cui viene promessa la Terra di Israele: “…E manterrò il mio patto stipulato con loro, di dare la Terra a loro (il popolo) come retaggio”.
Le espressioni della gheullà che troviamo nella nostra parashà, sono quattro:
“E li farò uscire da sotto il gioco egiziano. E li salverò dalla loro schiavitù. E li redimerò con braccio disteso e con grandi prodigi. E li prenderò come popolo”.
Queste quattro espressioni, scandiscono cronologicamente i momenti del passaggio, dalla schiavitù alla libertà: da schiavi a popolo.
Manca però la finalità di tutto ciò. Quando un prigioniero tenta la fuga, per prima cosa cerca di scappare e, soltanto quando sarà libero, potrà pensare alla destinazione dove rifugiarsi.
Quando Hagar serva di Abramo e Sara viene cacciata e durante la sua fuga incontra un messaggero divino che gli chiede: “da dove vieni e dove vai”, ella risponde che sta fuggendo dalla sua padrona Sara, ma non sa rispondere alla domanda dove sta recandosi.
Il popolo ebraico, sin dai tempi di Abramo sa quale è la sua destinazione, ma non sa quando la raggiungerà. Infatti il quinto elemento della gheullà è la quinta espressione della Torà che suona con le parole:
“E vi condurrò verso il Paese che ho giurato ai vostri Padri, di concedervi…”. Dovrà trascorrere molto tempo prima di avere accesso alla “Terra di Israele”.
Infatti, nell’incontro tra D-o e Moshè viene per prima cosa ribadita la promessa che il popolo verrà condotto in Eretz Israel, poi la liberazione e la redenzione.
Un uomo, per considerarsi veramente libero deve conoscere prima di tutto la finalità delle sue battaglie; soltanto dopo, in funzione della finalità potrà fare tutti i suoi progetti.
Shabbat Shalom