La figura dello tzaddik descrittaci dalla Torà sin dai tempi di Noè, è quella di chi ha il coraggio di mettere a repentaglio la propria vita per salvare qualcun’altro. Noè salva in un certo senso il mondo dalla distruzione totale; Abramo discute con D-o per salvare Sodoma e Gomorra dalla loro distruzione, nel caso vi fossero dei giusti.
Josef – chiamato dalla tradizione rabbinica tzaddik – fa qualcosa di più: nonostante la sua vita in Egitto e la sua posizione politica, non nasconde mai la sua identità di ebreo, né rinuncia all’osservanza delle tradizioni abramitiche.
Verso la fine della nostra parashà, la Torà ci descrive un quadretto di vita alla corte del Faraone, dicendo che gli ebrei mangiavano da una parte e gli egiziani da un’altra, perché non potevano mangiare insieme.
Questo dimostra che nonostante l’alta carica che Josef ricopriva in Egitto (era vicerè) mai aveva rinunciato ad osservare le proprie tradizioni.
Nello stesso modo si comportarono i Maccabim, quando la cultura ellenica prese il sopravvento anche sulla terra di Israele. Nonostante una buona parte del popolo, affascinata da quella cultura dimenticò le proprie origini per abbracciare qualcosa che non gli apparteneva, essi si batterono per ripristinare il vecchio culto del monoteismo e per mantenere integro lo studio della Torà e l’osservanza delle mizvot.
Non c’è dubbio che in queste parashot del libro di Bereshit (quella che abbiamo letto lo scorso shabbat e quella che leggeremo questo shabbat), vi sono forti accenni alla festa di Chanuccà che è considerata la sconfitta del paganesimo e dei suoi valori.
L’olio simboleggia la forte identità del nostro popolo che, nonostante ciò che ci circonda mantiene, a volte con grande sacrificio e con il coinvolgimento di tutti, inalterati i propri usi e i propri costumi.
Shabbat shalom e Chag chanuccà sameach