“Barukh attà ba ir u barukh attà ba saddè, barukh attà be voekha u barukh attà be zetekha – Benedetto sarai tu nella città, e benedetto sarai tu in campagna, benedetto sarai tu quando entri e benedetto sarai tu quando esci”.
Con queste parole si concludono le berakhot – benedizioni che, insieme alle kelalot – maledizioni, costituiscono la parte fondamentale della parashà che leggeremo questo shabbat.
C’è da notare che sia le une che le altre sono rivolte al popolo nella sua collettività, non al singolo ebreo.
Viene, con questa parashà ribadito il concetto di “arevut – responsabilità” individuale, rispetto alla collettività ebraica:
“Israel arevim zè la zè – ogni ebreo è responsabile dell’altro” insegnano i Maestri del Talmud.
Naturalmente, avvicinandoci ai giorni severi: Rosh ha shanà e Kippur, la Torà vuole metterci in guardia, riguardo al nostro comportamento.
Le selichot che vengono recitate ogni notte, da ormai venti giorni circa, sono espresse tutte alla prima persona plurale, così come il viddui – la confessione, che continuiamo a recitare fino a Kippur compreso, vuole essere l’esempio della presa di responsabilità collettiva di popolo.
La cosa che fanno notare i commentatori è che, sia per le berakhot che per le kelalot, la Torà usa il prefisso “im – se”.
Con ciò vuole concedere all’ebreo la possibilità di scegliere il comportamento che crede, assumendosi così tutte le responsabilità.
Shabbat shalom